Il finanziamento dei progetti per le smart city: modelli di collaborazione pubblico – privato

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La smart city si configura come luogo di confluenza di molteplici interessi, orientata ai cittadini e ai loro bisogni, un luogo che al governo politico della città integra la governance di soggetti pubblici e privati (enti pubblici, imprese, cittadini, banche, istituti di ricerca, università) i quali detengono conoscenza, condividono processi, producono innovazione e coinvestono risorse, con l’obiettivo di definire un nuovo modello di sostenibilità, basato sia su interventi tecnologici che innovazioni gestionali.

15 Aprile 2013

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Greta Nasi e Veronica Vecchi

La smart city si configura come luogo di confluenza di molteplici interessi, orientata ai cittadini e ai loro bisogni, un luogo che al governo politico della città integra la governance di soggetti pubblici e privati (enti pubblici, imprese, cittadini, banche, istituti di ricerca, università) i quali detengono conoscenza, condividono processi, producono innovazione e coinvestono risorse, con l’obiettivo di definire un nuovo modello di sostenibilità, basato sia su interventi tecnologici che innovazioni gestionali.

Le Amministrazioni Pubbliche che vogliano candidarsi ad avere un ruolo attivo nel processo di trasformazione delle proprie realtà territoriali in smart city, devono dotarsi non solo di grandi capacità di project management e di gestione di nuove tecnologie, ma anche di modalità innovative di relazione con gli altri attori coinvolti, finalizzate a definire nuovi perimetri e processi per attirare risorse, competenze e soluzioni in grado di generare risultati e impatti. L’ente locale, in particolare, può cogliere l’occasione per ridefinire il suo ruolo, passando da soggetto erogatore o committente di beni o prodotti a soggetto capace di interpretare bisogni e catalizzare attori e risorse secondo modelli di collaborazione più o meno formalizzati e istituzionalizzati.

Questa capacità di networking, di innovazione e di project management ha per esempio contraddistinto alcune esperienze di successo realizzate nella città di Amsterdam (Amsterdam’s Climate Street, iniziativa realizzata con Vodafone, Home Automation Europe, Plugwise, JCDecaux, Philips, TNT, LAJDuncker e Tauw); di Charlotte nel North Carolina (progetto di efficientemente energetico realizzato con Duke Energy, Verizon Wireless, Cisco e Bank of America); di Istanbul (Istanbul in Motion, progetto realizzato con Vodafone Global Enterprise e IBM).

Perché modelli pubblico – privato per il finanziamento dei progetti per le smart city?

La situazione economica attuale rende alquanto problematico il finanziamento di progetti innovativi. Da un lato, la riduzione dei trasferimenti, accentuata dalla spending review, e, dall’altro, i vincoli imposti dal patto di stabilità che riducono le capacità di spesa e soprattutto di investimento e mettono a dura prova le capacità degli enti di realizzare progetti per le smart city. In una logica di cooperazione tra i diversi stakeholders, occorre che il modello di finanziamento per realizzare una smart city si sposti dall’utilizzo di strumenti “tradizionali” (risorse comunali, regionali, nazionali) a modelli contrattuali di partnership pubblico privato (PPP), capaci di attirare capitali privati. Tra l’altro, l’attuale quadro normativo propone differenti forme contrattuali e procedurali per l’utilizzo di risorse private.

Tuttavia vale proprio la pena evidenziare che non è tutto oro quello che luccica, soprattutto in un momento di crisi finanziaria e recessione, quando i capitali privati sono scarsi, sia quelli provenienti da operatori industriali che finanziari, e in cui vi è scarsissima capacità di attirare risorse internazionali per la situazione di instabilità politica e istituzionale. Va comunque detto che laddove i progetti sono strutturati in modo adeguato, con chiara esplicitazione delle procedure e dei tempi, dei rischi e dell’allocazione, dei risultati sociali e finanziari, allora l’attrazione di capitali privati, anche facendo leva su risorse pubbliche, magari di derivazione comunitaria, può essere possibile e anzi può rappresentare un importante valore aggiunto per il successo del progetto. Infatti, l’esperienza insegna che laddove sono coinvolti capitali privati vi è una maggior attenzione alla valutazione ex ante e all’esplicitazione delle condizioni necessarie per raggiungere i risultati attesi e ovviamente dei risultati medesimi. Inoltre, vi è una maggior attenzione alla dimensione gestionale e alla sua economicità e sostenibilità nel tempo. In passato, infatti, la disponibilità di ingenti risorse pubbliche ha consentito il finanziamento di progetti valutati fattibili solo perché vi era la copertura dei costi esplicitati nel quadro economico dell’investimento.

Il coinvolgimento di capitali privati richiede la costruzione di piani economici e finanziari nei quali esplicitare chiaramente i costi di investimento, i costi di gestione, il costo del capitale (di debito e dei mezzi propri/equity), i tempi della realizzazione e della gestione, i ricavi. Il piano economico e finanziario diventa quindi il documento in cui deve trovare una sintesi e un equilibrio l’interesse pubblico e quello privato. Laddove non vi è un equilibrio del piano economico e finanziario non vi può essere una partnership pubblico privato. Naturalmente elemento fondamentale per l’equilibrio sono i ritorni che ciascun stakeholder si attende dal progetto. Progetti per la realizzazione delle smart city, con forti implicazioni di tipo sociale, potrebbero certamente attirare l’interesse di Impact Investors, ovvero coloro che sono alla ricerca di iniziative in grado di generare ritorni di tipo blended (ovvero misti, finanziari e sociali).

Quali strumenti di finanziamento?

I modelli di PPP per le smart city sono svariati. Innanzi tutto è importante evitare l’effetto imitazione. Infatti, uno dei vantaggi delle PPP è la possibilità di costruire contratti su misura, sulla base delle esigenze del territorio e delle caratteristiche del progetto che si intende realizzare. Per evitare l’effetto imitazione, che spesso è alla base della propagazione di errori, è importante capire che una partnership si fonda su tre elementi: il contratto, la procedura e la struttura finanziaria. Su questo la Commissione Europea – attraverso le sue direttive, le sue raccomandazioni e linee guida – ha sempre cercato di insistere. Purtroppo, il codice dei contratti non aiuta. Infatti, spesso, contratti, procedure e strutture finanziarie sono sovrapposti. Per esempio, la ESCO (Energy Service Company) viene vista come modalità alternativa a una concessione; la concessione è vista come alternativa a un project financing, che è visto, a sua volta, come alternativa a un contratto di disponibilità o a un project financing nei servizi. Mettiamo quindi un po’ d’ordine.

I contratti di PPP possono essere ricondotti ad alcune fattispecie, in cui vi è un mix di:

  • progettazione (design – D)
  • finanziamento (F)
  • costruzione o fornitura (build – B)
  • manutenzione (M); gestione (operation – O)
  • leasing (L).

I modelli più frequenti sono:

  • design & build (DB)
  • operation & maintenance (O&M)
  • build, lease and transfer (BLT)
  • design, build, finance and operate (DBFO)
  • build, operate and transfer (BOT).

Al di là di questi modelli standard, come scritto sopra, è importante scegliere il modello di PPP giusto per il progetto da realizzare e potrebbe essere utile strutturare un contratto “su misura”, in cui identificare chiaramente le responsabilità tra pubblico e privato, condizione fondamentale per attirare i capitali privati. Gli istituti giuridici alla base di questi modelli possono essere appalti, appalti misti o concessioni di costruzione e gestione o di gestione.

Da un punto di vista finanziario, questi modelli possono essere realizzati attraverso differenti strutture: un finanziamento strutturato, in cui l’operatore industriale investe mezzi propri e risorse prese a prestito dal sistema bancario; modelli di project financing, in cui un veicolo costituito ad hoc (che potrebbe essere anche una ESCO) finanzia il progetto con prevalenti risorse prese a prestito dal sistema bancario (investimento a leva); modelli di leasing finanziario o operativo. Tutti questi modelli di finanziamenti possono prevedere anche il cofinanziamento pubblico, utilizzando per esempio risorse derivanti dai fondi strutturali.

A tal proposito, l’Unione Europea predilige sicuramente modelli di cofinanziamento pubblici che siano in grado di generare una leva sui capitali privati e, infatti, in questa direzione vanno JESSICA (Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas – Sostegno europeo congiunto per investimenti sostenibili nelle aree urbane) e la Smart Cities & Communities European Innovation Partnership (SCC). Quest’ultima è una iniziativa con la quale la Commissione Europea intende stimolare lo sviluppo e l’inserimento delle tecnologie intelligenti nelle città, attraverso una serie limitata di progetti dimostrativi, che saranno realizzati in collaborazione con le città stesse.

Tra le fonti di finanziamento che possono essere utilizzate per alimentare iniziative di PPP, vi sono anche le donazioni. Un esempio famoso, seppur non rientrante nell’alveo delle smart city, è quello del Colosseo. Va detto, comunque, che la filantropia potrà incidere in modo limitato; mentre un modo in forte espansione per catalizzare i capitali sociali è l’utilizzo di modelli di impact investing.

Da un punto di vista procedurale, il codice dei contratti (D. lgs 163/2006 e successive modifiche) offre differenti spunti che vanno dalla concessione di costruzione e gestione a iniziativa pubblica (ex art. 143) o a iniziativa privata (ex art. 153); al leasing immobiliare in costruendo (ex art. 160 bis – sono in uscita peraltro le linee guida applicative dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici); al contratto di disponibilità (ex art. 160 ter) al cosiddetto “project financing nei servizi” (ex art. 278 del decreto attuativo DPR 207/2010).

Va detto che l’innovatività dei progetti per le smart city ben si sposa con l’utilizzo di procedure innovative di dialogo con il mercato, quali il dialogo competitivo e quello tecnico. Quest’ultimo può diventare fondamentale in fase di design del progetto e di verifica delle condizioni di realizzabilità. Infine, da un punto di vista procedurale, interessante può essere anche il cosiddetto Pre Commercial Procurement, che consente di stimolare la generazione da parte del mercato di innovazioni specifiche richieste dal committente pubblico attraverso modelli demand – driven.

Quali ingredienti per l’utilizzo di modelli di PPP?

Uno degli ingredienti fondamentali per strutturare e gestire partnership pubblico – privato sono cultura e competenze, sia per gli enti sia per gli operatori privati. A tal proposito interventi di formazione congiunta posso rappresentare una soluzione interessante per stimolare lo sviluppo di sensibilità e di conoscenze necessarie a costruire progetti di collaborazione. Inoltre, esperienze internazionali in generale e nazionali su alcuni ambiti specifici dimostrano che il coinvolgimento di attori in grado di interconnettere e facilitare la coprogettazione e la cogestione (come per esempio università e scuole di management, anche attraverso iniziative di learning by doing) hanno consentito la realizzazione di partnership di successo.


Greta Nasi (greta.nasi@sdabocconi.it) è direttore dell’Area Public Management e Policy di SDA Bocconi, Professore Associato di Management Pubblico presso l’Università Bocconi, esperta di innovazioni tecnologiche nel settore pubblico.

Veronica Vecchi (veronica.vecchi@sdabocconi.it) è docente di Public Management presso SDA Bocconi, esperta di Partnership Pubblico Privato e sviluppo locale e responsabile della Public & Private Factory di SDA Bocconi, iniziativa di formazione manageriale e sviluppo culturale per la realizzazione di partnership sostenibili ed efficaci.

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