Servizi sanitari digitali, necessario superare il gap tra le regioni

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Il divario nei servizi digitali sanitari tra le realtà più avanzate e quelle più arretrate è oggi in diversi campi così elevato da rendere la differenza di servizio una disuguaglianza. Prendendo ad esempio il caso degli accessi al pronto soccorso, ecco qualche suggerimento

15 Maggio 2016

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Nello iacono, Stati Generali dell'Innovazione

È insito nel processo naturale di evoluzione dei servizi che questa non possa che avvenire non in modo disomogeneo, per avanguardie, fughe in avanti delle realtà più capaci o più visionarie, per poi avere una omogeneizzazione delle realtà rimaste indietro. A maggior ragione ci si aspetta un percorso del genere in una realtà frammentata come quella sanitaria italiana, dove i centri decisionali sono posti a più livelli (nazionale, regionale, aziendale) con autonomie non trascurabili. È naturale e, se coordinato in modo lungimirante e sistematico, è anche un processo efficiente, perché permette alle realtà meno pronte (per competenze, per infrastrutture, per esperienze) di recuperare rapidamente grazie alle sperimentazioni delle realtà più attrezzate.

Certo, è necessario un forte coordinamento, perché la distanza tra le realtà più avanzate e quelle più arretrate non si trasformi in un divario così elevato da rendere la differenza di servizio una disuguaglianza. Nociva non solo in termini di diritti violati, in quanto siamo tutti all’interno di un Sistema Sanitario Nazionale, ma anche perché induce mobilità non necessaria (dei pazienti verso strutture di regioni diverse dalla propria) e determina differenze di costo anche nelle prestazioni, oltre che spingere verso una ricerca di soluzione nelle strutture private.

Tra questi diritti in gioco c’è anche quello dell’informazione, utile spesso per effettuare azioni adeguate in situazioni di emergenza. Nel campo sanitario mi sembra sempre più emblematico il caso delle informazioni sui tempi di attesa ai servizi di pronto soccorso.

Sulla base di una navigazione sui siti delle regioni e delle aziende sanitarie e ospedaliere, oltre che utilizzando i motori di ricerca come si fa spesso in casi di emergenza (soprattutto se si è fuori sede), e quindi senza pretendere di riportare un censimento o un’analisi esaustiva, mi sembra si possano derivare queste riflessioni:

  • solo poche regioni (es. Lazio, Friuli Venezia Giulia ) o province autonome come Trento propongono un prospetto unico su tutto il territorio delle situazioni dei pronto soccorso;
  • alcune (poche) regioni espongono i dati in un unico sito ma articolati per area provinciale (es. Puglia, Sardegna);
  • in molti casi l’esposizione dei dati sulle attese è reperibile soltanto sul sito della singola azienda sanitaria (es. azienda sanitaria di Firenze ) o azienda ospedaliera (es. Palermo);
  • in molti casi i dati non sono disponibili (buona parte delle regioni);
  • in diversi casi i dati non sono aperti, e quindi non è possibile realizzare servizi da parte dei privati se non tramite accordi specifici con le aziende;
  • in nessun caso l’accesso ai dati è possibile da mappa sovraregionale, e quindi la ricerca deve essere sempre condotta per regione o in alcuni casi per azienda (sanitaria od ospedaliera).

Siamo, così, in una situazione in cui è in atto lo sfilacciamento di cui si accennava: il divario è elevato al punto da avere come estremi l’assenza e la piena copertura. E poiché è un divario presente anche tra regioni confinanti, fa sì che questa presenza a macchia di leopardo riduca l’utilità e l’efficacia anche dei servizi forniti dalle regioni più virtuose, oltre che rendere impossibile lo sviluppo di servizi da parte di privati (che possono basare l’appetibilità di un servizio sul numero di potenziali clienti, a prescindere, naturalmente, dai confini regionali).

E questo è uno dei tanti campi dove si manifesta un divario insostenibile. Solo come esempi, sono citabili quello della telemedicina, dove registriamo, in una situazione media nazionale sconfortante (secondo il Centro Studi Fimmg la telemedicina viene utilizzata dal solo 2% dei medici di famiglia italiani ) alcune isole di eccellenza e alcuni progetti, come quello promosso sa Fimmg in Lombardia, che sembrano mostrare ottimi risultati, e quello del FSE, dove al momento risultano soltanto 6 le regioni operative, con pratiche di eccellenza molto avanzate, e dove abbiamo regioni che non hanno nemmeno dichiarato di aver avviato la fase di implementazione.

Cosa fare per velocizzare la riduzione del divario? Certamente le azioni sul coordinamento tra le regioni sono essenziali, così come un nuovo impulso all’attuazione del Patto della Sanità Digitale, e probabilmente anche l’aggiornamento dei LEA includendo alcuni servizi digitali essenziali per diritto all’informazione (es. pronto soccorso, FSE) e inserendo anche il principio del “massimo divario consentito”, necessario in un mondo di servizi in rapida evoluzione. Come prima applicazione, si potrebbe intanto partire proprio dal tema del pronto soccorso, dove Ministero della Salute e Regioni potrebbero, ad esempio,

  • convenire su tempi e modalità per la pubblicazione dei dati in tempo reale di accesso e trattamento dei punti di pronto soccorso, in formato aperto, definendo su questo punto un progetto interregionale ( affidato all’area di coordinamento che è stata costituita sulla sanità digitale);
  • avviare un sistema di monitoraggio che evidenzi le differenze tra le aree (territoriali, regionali) su alcuni servizi digitali essenziali, evidenziando i casi di “divario eccessivo” oltre che quelli di servizi non in linea con gli obiettivi, così da attivare prontamente le azioni di allineamento.

Sarebbe un passo, concreto, in cui l’approccio sui servizi è, con chiarezza, dal punto di vista dei cittadini.

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