Confesercenti: “Bene la moneta elettronica, ma con sgravi e sconti sull’IVA”

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Un approccio volontario e non costrittivo
potrebbe funzionare in Italia, dove la diffusione di POS
sembrerebbe essere dovuta più a stimoli del mercato che alla coercizione
normativa. Nel nostro Paese la base installata dei
POS nel 2014 ha raggiunto il numero di
1,8
milioni di unità: circa il 18% in più rispetto
al 2013

21 Marzo 2016

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Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti

Una maggiore diffusione della moneta elettronica potrebbe costituire un vantaggio per tutti, a patto però che si eviti assolutamente di creare nuovi vincoli ed obblighi per le imprese e che i costi dell’operazione ricadano interamente su di esse.

Negli anni, spinti da necessità di cassa, i Governi di alcuni Paesi del mondo sono intervenuti direttamente per favorire l’utilizzo della cosiddetta moneta elettronica, nell’accezione più restrittiva di transazioni attraverso carte di credito e di debito. L’intervento italiano, stabilito dal Governo Monti e poi rinnovato una prima volta dall’esecutivo Letta e successivamente da quello Renzi, si è caratterizzato per l’alto livello di coercizione: in due diversi momenti, infatti, è stato posto un limite all’uso di contante (999 euro) e stabilito per legge che ogni soggetto venditore di beni o servizi sia tenuto ad accettare transazioni elettroniche dai 30 euro in su; nell’ultima previsione normativa i limiti, eccessivamente bassi, sono stati rivisti a 3mila euro, ma il tetto di obbligo di accettazione è stato esteso anche alle micro-transazioni.

Da anni Confesercenti sottolinea come un maggiore uso di Pos, carte di credito e bancomat in Italia sarebbe senz’altro positivo, perché diminuirebbe i rischi ed i costi connessi alla gestione del contante e andrebbe nella direzione di una maggiore possibilità di scelta da parte dei cittadini, ma anche perché l’uso del Pos, tutti i dati lo dimostrano, favorisce i consumi andando incontro alle esigenze di una parte consistente della clientela.

Occorre però evitare di soffocare la libertà di imprenditore e consumatore e stare attenti ai possibili effetti collaterali per le PMI, in particolare adesso che la Legge di Stabilità ha imposto a esercizi pubblici e attività commerciali l’obbligo di accettare anche micro-pagamenti sotto i 5 euro. In queste condizioni l’aggravio portato dall’obbligo di Bancomat potrebbe raggiungere , secondo le nostre stime, i 1.700 euro l’anno per impresa. Un problema che riguarda tutte indistintamente le attività commerciali anche se i benzinai, i tabaccai, le edicole e tutti coloro che vendono valori per lo Stato sono certamente i più penalizzati , visto che si tratta di esercizi caratterizzati da pagamenti di piccola entità, ma di grande volume. Che vedranno il proprio margine, già messo a dura prova dalla crisi, ridursi ulteriormente.

Il problema di questa tipologia di attività è stato implicitamente riconosciuto anche a livello normativo: non a caso, tempo fa, si era arrivati ad emanare una legge (poi ritirata) che prevedeva, per i distributori carburanti che accettavano transazioni elettroniche, l’eliminazione di tutte le commissioni per i pagamenti inferiori ai 100 euro. Sulle commissioni non c’è certezza nemmeno oggi. Nonostante la legge di stabilità abbia infatti stabilito l’esonero dall’onere di accettazione dei pagamenti con carta per cause tecniche oggettivamente bloccanti, promozione delle operazioni di micro-pagamento (al di sotto di 5 Euro) mediante la corretta e integrale applicazione del regolamento (UE) n. 751/2015 (il regolamento Europeo che fissa dei limiti alle commissioni dei pagamenti con carte), sanzioni amministrative, si attende ancora l’emanazione di opportuni decreti interministeriali per renderli operativi.

Nel frattempo in Italia, infatti, le commissioni non sono state ridotte come previsto dal regolamento Ue: secondo le nostre stime, il costo medio è ancora dello 0,7% per i bancomat, e 1,5% per le carte di credito. A questi costi si devono aggiungere quelli relativi al canone del lettore, 30 euro medi mensili e il costo di accredito sul conto, che, se giornaliero, ha un costo medio di 1,5 euro.

Se davvero vogliamo favorire la moneta elettronica, però, riteniamo sarebbe meglio percorrere una strada differente. Gli interventi varati fino ad oggi da altri Paesi, infatti, hanno seguito generalmente una di queste tre direzioni:

  • Riduzione delle commissioni interbancarie (MIF) sulle carte, pagate all’interno del Merchant Service Change (MSC) ed a carico degli esercenti.
  • Detrazioni/scontri fiscali per i consumatori che pagano attraverso carte di debito/credito
  • Sconti IVA per gli esercenti

L’intervento della Ue segue la prima direzione : ha previsto, infatti, l’istituzione di un ‘cap’ alle commissioni interbancarie. E’ una sorta di tetto massimo, che comporta un’immediata riduzione delle commissioni, e che è simile alle strategie usate solitamente nel campo delle utility (gas, energia, acqua, etc…) per mantenere bassi i prezzi. In alcuni dei Paesi, dove sono state messe in campo misure di questo tipo, si sono a volte rivelate controproducenti, portando ad un innalzamento nel breve periodo dei canoni sui Pos, sui conti correnti – a partire da quelli speciali per le imprese – sui prelievi da Bancomat e sulle carte stesse, trasferendo il peso dell’intervento su consumatori ed esercenti. E’ il caso degli Usa, dove, a seguito di un intervento normativo similare, il costo delle carte e dei servizi di POS sono aumentati in due anni rispettivamente di 13 dollari e del 4%, mentre non si è registrato alcun incremento del numero di carte di debito e di credito circolanti.

Nel 2001, nell’ambito di un più ampio intervento di recupero dell’evasione, l’Argentina ha invece varato una misura che prevedeva un rimborso IVA del 5% per i consumatori che avessero usato carte di debito per transazioni sotto i 1.000 euro e del 3% per colo che avessero invece utilizzato carte di credito. Il meccanismo di rimborso avveniva in sede di dichiarazione dei redditi, previa presentazione scontrino. La politica argentina ha espanso con successo il numero di carte circolanti, passate dai 21 milioni del 2002 ai 33 del 2009, anno di termine della policy: nello stesso arco temporale le operazioni con carte di credito su POS sono aumentate del 62%, mentre quelle con carte di debito addirittura del 568%. Si è trattato dunque di un intervento efficace, ma iniquo, perché ha escluso del tutto gli operatori, che hanno visto aumentare la quantità di transazioni su cui pagare commissioni bancarie.

Alla fine degli anni ’90 la Corea del Sud ha dovuto affrontare una crisi finanziaria molto pesante, che aveva accentuato in modo evidente il fenomeno dell’evasione fiscale, particolarmente presente nelle imprese di dimensioni medie e piccole (circa 2,5 milioni all’epoca). Negli anni successivi, ed in particolare a partire dal 2001, la necessità di trovare risorse per finanziare il bilancio pubblico ha spinto il governo a varare una serie di misure per favorire l’uso di moneta elettronica come strumento anti evasione. La scelta vincente, in questo caso, è stata la decisione di agire su entrambi gli attori della filiera (titolari delle carte di credito e merchant) senza imporre misure restrittive alle banche. Per quanto accompagnata da un limite alle transazioni in contanti (fissato intorno ai 42 dollari), la strategia coreana ha infatti ‘mitigato’ gli effetti dell’obbligo lanciando un programma di defiscalizzazione per commercianti e consumatori. Questi ultimi, a patto di aver conservato le ricevute, hanno potuto accedere fino al 2009 (era un piano decennale) di uno sconto fiscale massimo di 4.200 dollari sul transato attraverso strumenti elettronici. Per i commercianti è stata invece stabilito l’abbattimento del 2% dell’iva sulle transazioni elettroniche. Grazie a questi interventi, in Corea è aumentato enormemente l’utilizzo della moneta elettronica: la spesa con carta è diventato il principale veicolo dei consumi del settore privato, passando dal 19% del 1999 al 55% del 2010.

L’idea di un approccio volontario e non costrittivo potrebbe funzionare anche in Italia, dove la diffusione di POS sembrerebbe essere dovuta più a stimoli del mercato che alla coercizione normativa. Nel nostro Paese la base installata dei POS, i dispositivi point of sales necessari per accettare pagamenti via carte di credito o di debito, nel 2014 ha raggiunto il numero di 1,8 milioni di unità , circa il 18% in più – pari a 270mila POS – rispetto all’anno precedente.

L’incremento del numero di POS registrato tra il 2014 ed il 2013 è stato straordinario, soprattutto se si considera che si tratta dell’aumento maggiore registrato negli ultimi 5 anni. Il tasso di incremento dei terminali per i pagamenti supera persino quelli delle operazioni con carte di credito o debito, che tra il 2013 ed il 2014 sono aumentate ‘solo’ del 13,4%.

Se il trend d aumento dei POS dovesse proseguire allo stesso ritmo, entro la fine anno di quest’anno il numero di terminali attivi nel nostro Paese supererà la soglia dei 2 milioni. Le imprese, in particolare quelle del commercio, hanno deciso liberamente di adottare sistemi di pagamento elettronici, nonostante il legislatore non prevedesse sanzioni per chi non lo facesse. Troviamo inoltre significativo che, dal 2009 ad oggi, il numero di POS installati sia calato una sola volta: è stato nel 2011, quando è iniziata la crisi del debito italiana.

Questi dati dimostrano chiaramente che non servono sanzioni per aiutare la diffusione della moneta elettronica. Meglio creare condizioni favorevoli per le imprese: un passo avanti è già stato compiuto con il recepimento delle regole europee sulle commissioni, che speriamo venga presto rispettato in toto dal sistema bancario. Insomma, l’auspicio è che non si ripeta quanto accaduto nel 2012, quando la normativa che tagliava le commissioni sulle transazioni elettroniche sotto i 100 euro per gli acquisti di carburante è stata disattesa dalla banche e successivamente ritirata. C’è anche, però, da risolvere un problema infrastrutturale: in molte attività l’uso dei POS è frenato dall’assenza di una copertura sufficiente di servizi di trasmissione dati senza fili. Complessivamente, serve comunque un piano che punti a favorire gli strumenti di pagamento innovativi più utili nel caso dei piccoli pagamenti, come i POS contactless. Un settore dove siamo ancora in ritardo: secondo le stime disponibili, ce ne sono solo tra i 200 ed i 250mila. La loro diffusione va sostenuta, magari prevedendo sgravi per le attività che decidono di implementare questi nuovi sistemi, sempre senza incidere sulla libertà di scelta delle imprese.

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