EDITORIALE
Conte, Popper e la visione del futuro
Ho letto due volte e con grande attenzione il discorso programmatico pronunciato ieri dal nuovo Primo Ministro Giuseppe Conte al Senato. Provo quindi a dirvi la mia, ovviamente solo per le materie di cui sono competente: innovazione, pubblica amministrazione, trasformazione digitale. Lo faccio con la libertà di sempre, che mi deriva anche dall’essere questo il 19° discorso di richiesta di fiducia che ho ascoltato e commentato, da quando ho cominciato ad occuparmi di Pubblica Amministrazione.
6 Giugno 2018
Carlo Mochi Sismondi
Ho letto due volte e con grande attenzione il discorso programmatico pronunciato ieri dal nuovo Primo Ministro Giuseppe Conte al Senato. Provo quindi a dirvi la mia, ovviamente solo per le materie di cui sono competente: innovazione, pubblica amministrazione, trasformazione digitale. Lo faccio con la libertà di sempre, che mi deriva anche dall’essere questo il 19° discorso di richiesta di fiducia che ho ascoltato e commentato, da quando ho cominciato ad occuparmi di Pubblica Amministrazione.
Parto da due considerazioni semplici che possono guidare la nostra analisi: la prima posso farla risalire al grande filosofo della scienza Karl Popper oppure a mio nonno. Popper diceva che non è scienza quello che non è possibile falsificare; mio nonno diceva, di fronte alla mia esuberante retorica infantile: “se dici qualcosa su cui tutti sono d’accordo, potevi anche star zitto!”. Con questa coppia di assiomi, di ben diversa caratura, abbiamo già eliminato dalla nostra analisi una buona parte del discorso di Conte (e per la verità non solo di Conte). Chi non vorrebbe una giustizia veloce e dalla parte dei cittadini? chi non vorrebbe un’Europa amica? Chi non vorrebbe maggiore attenzione alle fasce deboli e alla disabilità? chi non vorrebbe un fisco giusto e tasse pagate da tutti? chi non si è indignato per i privilegi? … e potrei continuare per un’ora e 11 minuti quanto è durato il discorso del neo Presidente.
Il punto che potrebbe portare alla “prova del nove”, in grado di falsificare o convalidare la teoria, sta tutto nel come, ma di questo Conte oggi non ha parlato e forse neanche avrebbe potuto. Per ora quindi giudizio sospeso, ma aspetto un discorso programmatico che oggi non ho avuto.
La seconda considerazione è più grave: io non ho capito, ma se qualcuno l’ha capito è pregato di spiegarmelo e io prometto di ascoltare con onestà intellettuale, quale futuro questo Governo ha in mente per l’Italia. Non il futuro di pochi mesi o di due o tre anni, e neanche quello di una collocazione geopolitica incerta, ma il futuro dell’Italia del 2030. Io mi occupo di PA con un amore trentennale, ma se non mi dite che Paese volete non so dirvi che PA ci serve. La politica dovrebbe essere questo: avere una visione del futuro e mettersi in cammino per realizzarlo. Ma per farlo sono necessarie delle scelte, scelte anche dolorose. Perché le risorse non sono scarse oggi, ma domani saranno abbondanti: la scarsità di risorse rispetto all’abbondanza dei bisogni è quello che ci distingue ieri, oggi e domani dall’Eden biblico. Ma è anche quel che rende necessaria la politica, altrimenti basterebbe cogliere i frutti dagli alberi! Politica che è appunto arte della scelta e della mediazione di interessi diversi.
Allora proviamo ad esplicitare qualcuna di queste scelte: più spazio ai giovani e al loro inserimento nella vita attiva o più pensioni ai vecchi? più ricerca e istruzione o più infrastrutture fisiche come strade, ponti, ferrovie? più digitale o più incentivi? più spesa sanitaria o più sanità digitale? più cancellieri nei tribunali o più giustizia digitale? più strumenti di partecipazione veri e consapevoli o più norme? più leggi o più manuali? più smart working e spazio per la creatività e i percorsi individuali o più posti fissi protetti e strettamente regolati? più responsabilità per le persone perché prendano in mano la propria vita, accompagnati da una Repubblica fondata sul lavoro, o più uffici di collocamento e redditi garantiti? più spazio all’innovazione nelle fabbriche (industria x.0) perché liberi l’uomo dai lavori più pesanti e gli dia spazi di pensiero e di decisione o più tasse sui robot? più apertura, contaminazione culturale, attenzione alla ricchezza della diversità e alla ricchezza di relazioni nella rete globale o più muri e più protezioni? più competitività o più dazi? più investimenti per la creazione di nuova cultura o più spesa sulla conservazione e fruizione di quel che hanno fatto i nostri antenati?
Ciascuna di queste scelte è una “sliding door” che ci porta a futuri diversi. Che futuro vogliamo? Che futuro ha in mente questo Governo? Dire che potremo fare tutto perché taglieremo gli sprechi è un insulto alla nostra intelligenza, non dire dove si vuole andare è un insulto alla stessa ragion d’essere della Politica.
Per questa ragione abbiamo chiuso il FORUM PA 2018 impostando una rubrica di “consigli” al Governo (la trovate come “ Caro Governo…”) e chiedendo a gran voce, o almeno con tutta la voce che noi 16mila innovatori abbiamo trovato, un “ministro del futuro” . E non lo ha chiesto una parte politica, ma migliaia di “innovatori”, dentro e fuori la PA che ancora ci credono, che si mettono in gioco, che collaborano, che costruiscono piccole e grandi reti.
Lo abbiamo chiesto non per moltiplicare le poltrone, ohibò, ma per progettare insieme un Paese che si incammini verso uno sviluppo equo e sostenibile, basato sulla partecipazione e la condivisione, che non neghi gli enormi problemi sociali ed economici, ma che cerchi di risolverli con un uso democratico e “conviviale” (lasciatemi citare Ivan Illich) delle tecnologie e dell’economia della rete per abilitare le capabilities (e questo è Amartya Sen) di ciascuno e di tutti.
In questo senso è sempre frustrante l’assenza di consapevolezza da parte di tutta la nostra leadership, e nel merito nel discorso programmatico di Conte, dell’assoluta necessità di partire dalla trasformazione digitale non come mero strumento, ma come ecosistema. Certo non è che con la trasformazione digitale si risolvano tutti i problemi o che si garantisca la società giusta e sostenibile che fortemente vogliamo, ma semplicemente è che senza non si può fare. “Condizione necessaria, ma non sufficiente” diceva il mio professore di matematica. Ma permettetemi di calcare oggi sull’essere condizione “necessaria”. Nessuno dei propositi, infalsificabili perché da tutti desiderabili, che erano nel discorso di Conte hanno la minima possibilità di realizzazione senza un cambio di paradigma verso la trasformazione digitale. Basta questa? Certo che no: anzi potrebbe essere foriera, se non governata, di altre terribili discriminazioni, di altre dolorose esclusioni, di grandi violazioni di diritti, di devastanti monopoli, di crescenti ingiustizie. Ma è qui che deve intervenire la politica e la partecipazione. Questo è il ruolo di un “nostro” ministro del futuro che sappia ascoltare: quello di governare e orientare.
Orientamento (o se volete focalizzazione): questa in fondo è la grande parola che mi è mancata oggi. Perché, senza una meta chiara e una mappa efficace, possiamo anche avere energia da vendere e strade spianate, possiamo correre veloci, ma continuiamo a non sapere dove andare.