A ciascuno il suo Open data. Quello italiano viaggia in bottom up

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A ciascuno il suo Open data, verrebbe da dire. Infatti, se da un lato assistiamo ad una spinta diffusa per la messa on line di dati pubblici in formato aperto, dall’altro rileviamo che di contesto in contesto mutano gli output e i modelli adottati. Nel momento in cui l’Italia sembra allinearsi “ufficialmente” all’ondata open data già dilagante in Europa, ci siamo chiesti se c’è e quale è il modello italiano. Ne parliamo qui con Anna Cavallo, CSI Piemonte. Non solo perché Regione Piemonte è stata la prima amministrazione a mettere on line dati in formato aperto, ma anche e soprattutto perché dati.piemonte.it si è rivelato, ad oggi, il centro nevralgico di un importante percorso di avanzamento dell’open data sui territori italiani (ed è proprio il caso di usare il plurale). 

18 Ottobre 2011

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Chiara Buongiovanni

A ciascuno il suo Open data, verrebbe da dire. Infatti, se da un lato assistiamo ad una spinta diffusa per la messa on line di dati pubblici in formato aperto, dall’altro rileviamo che di contesto in contesto mutano gli output e i modelli adottati. Nel momento in cui l’Italia sembra allinearsi “ufficialmente” all’ondata open data già dilagante in Europa, ci siamo chiesti se c’è e quale è il modello italiano. Ne parliamo qui con Anna Cavallo, CSI Piemonte. Non solo perché Regione Piemonte è stata la prima amministrazione a mettere on line dati in formato aperto, ma anche e soprattutto perché dati.piemonte.it si è rivelato, ad oggi, il centro nevralgico di un importante percorso di avanzamento dell’open data sui territori italiani (ed è proprio il caso di usare il plurale). 

Come è stato spiegato in occasione della sua presentazione, il portale nazionale dati.gov.it, partendo dai progetti già in corso, mira a valorizzare le esperienze esistenti e, al tempo stesso, a sensibilizzare e supportare le amministrazioni che ancora non hanno messo in cantiere iniziative specifiche.

Il primo punto, dunque, è che l’open data in Italia prima di oggi già c’era. Il secondo è che l’Italia ha le sue caratteristiche, istituzionali come culturali, foriere di limiti e opportunità con cui l’open data sta già, inevitabilmente, facendo i conti. Partendo dalla constatazione che sarebbe miope, oltre che inefficace, ignorare un importante processo bottom-up già in corso, andiamo ad ascoltare la voce dal campo dell’esperienza piemontese, che – oltre ad affermarsi quale Regione pioniera nell’open data made in Italy – ha impostato un vero e proprio “modello” che il livello nazionale andrà auspicabilmente a completare.

Leggi l’articolo di presentazione di dati.gov.it

Per cominciare, Anna Cavallo, di CSI Piemonte, riaffermando con convinzione la scelta dell’“open by default” di dati.piemonte.it, ci illustra gli step intrapresi e le valutazioni elaborate in corso d’opera. “Il principio dell’openess by default – spiega – vuol dire riconoscere che i dati sono aperti per poi, semmai, provvedere allo studio delle licenze più appropriate per le tipologie di dataset più complesse e articolate”.  “Io credo – continua – che l’esperienza del Piemonte abbia avuto grande risonanza proprio perché, partendo da questo principio ispiratore, ci siamo da subito concentrati sulla redazione di linee guida e sulla definizione di licenze che fossero il più possibile standard, ovvero che consentissero la liberalizzazione secondo un modello internazionalmente riconosciuto”.
La licenza di rilascio di dati.piemonte.it infatti è la  CC 0  (la IOLD al tempo ancora non esisteva)

”Ci ha fatto molto piacere – continua – che l’approccio piemontese sia stato recepito da Formez, promosso da FORUM PA e che la nostra esperienza sia tenuta in considerazione negli sviluppi dell’open data italiano”. La speranza ora è che “il processo continui in una collaborazione con il Ministero e che tutto il percorso che noi abbiamo fatto, abbastanza faticoso, possa essere il punto di partenza per l’esperienza italiana”.

 Leggi l’editoriale di Gianni Dominici "Open Government e Open Data, la prospettiva e la speranza italiana"

Come già rilevato, l’esperienza piemontese è stata nell’ultimo anno un importante punto di riferimento e un vero e proprio centro propulsore dell’open data italiano, andando di fatto a coprire un vulnus di sensibilità e progettazione sull’open data. “Questo è vero”, ammette Anna, spiegando come CSI Piemonte si sia “spesa” sia verso le amministrazioni del territorio regionale, sia sul livello interregionale. Regione Piemonte ha infatti proposto un progetto interregionale, candidandosi a divenire Centro di competenza interregionale sull’open data. “L’idea – spiega – è portare a livello interregionale l’esperienza e tutta la strada fatta fin qui  a livello normativo, organizzativo e tecnologico”

Ma dietro le proposte di Regione Piemonte e CSI Piemonte c’è una precisa visione di quella che dovrebbe essere la governance del dato. “Ogni ente – sostiene Anna – Regione, Comune, Ministero che sia, deve continuare a governare da vicino i propri dati, perché è l’unico ente in grado di mantenerli aggiornati, freschi e di risponderne nei confronti della community degli utenti. Al tempo stesso, ogni Regione deve essere federata con altre, cioè deve dare allo stakeholder finale la possibilità di cercare la stessa informazione su tutti i portali, siano essi regionali o nazionali”.

Dunque, emerge che il livello di cooperazione orizzontale (tra enti regionali) è un elemento centrale nel modello proposto.
”Assolutamente. Per questo, nella cooperazione con le altre Regioni, abbiamo impostato due filoni di azione. Il primo è quello che definiamo del riuso”. “In soldoni – spiega Anna – vuol dire che una Regione può prendere tutta la nostra esperienza e portarla a casa. E’ quanto si è concretizzato con Regione Emilia Romagna che ha pubblicato il proprio portale, utilizzando l’impianto normativo, organizzativo e tecnologico di dati.piemonte.it.” “Con le altre Regioni – continua – seguiamo un filone diverso. Portiamo avanti un discorso di cammino comune, verso la realizzazione di portali federati”.
Si tratta di un modello articolato attorno all’ente regionale? “Non esattamente. La piattaforma piemontese – precisa – è una piattaforma non della Regione, ma del territorio regionale. E’ una piattaforma che vuole creare un circuito di dati omogeneo su tutto il proprio ambito territoriale”.

C’è, quindi, uno spazio di azione importante dalla Regione al territorio. “Esatto”, conferma Anna, che aggiunge: “Per questo in Piemonte stiamo conducendo, attraverso una collaborazione tra CSI Piemonte, ANCI e Regione Piemonte, una campagna destinata agli enti locali per diffondere la cultura dell’open data: dagli strumenti normativi (linee guida aperte a tutti) a quelli organizzativi (aggiornamento dei dataset pubblici e interfaccia con la community degli utenti) e tecnologici (piattaforma per pubblicare le proprie informazioni)”.
”Questo – conclude – è il modello che abbiamo condiviso con le altre Regioni”. E precisa “non solo con le Regioni sotto vari aspetti più vicine  al Piemonte”, citando a riguardo “i lavori in corso” per il gemellaggio con le Regioni dell’obiettivo convergenza, in primis la Regione Siciliana.

La domanda è d’obbligo. Su un modello di diffusione dell’open data che di fatto è già ad uno stadio di avanzamento notevole, quale è il ruolo di un livello superiore, come quello statale?
“Il livello superiore – sostiene  Anna – innanzitutto fa da hub”. E specifica: “Intendo dire che a livello tecnologico il ruolo di un’amministrazione centrale è quello di essere il portale dei portali, creando un macroindice di tutte le realtà federate tra di loro, senza dimenticare che l’informazione primaria deve sempre risiedere presso il livello che l’ha prodotta”. “Questo significa che anche il livello centrale deve concorrere all’arricchimento del patrimonio comune, perché (non dimentichiamoci) che anche il livello centrale della PA è ricchissimo di informazioni che altri livelli non hanno”. ”In seconda battuta – sottolinea – il ruolo di un livello centrale è quello di diffondere degli standard e, come dire, “standardizzare gli standard de facto”.

Standardizzare gli standard de facto” sembra interessante. Spieghiamolo meglio. Continua: ”Se dal basso sull’esempio del Piemonte, altre Regioni hanno convenuto di adottare il modello da noi scelto, sarebbe molto interessante riuscire a condividerlo anche con il Governo centrale affinché questo diventi uno standard vero”.

Dunque, le premesse dell’open data a copertura nazionale sembrano esserci. Chiediamo ad Anna Cavallo, le ultime due battute.
L’immancabile next step e la dritta su una cosa assolutamente da evitare.
“Allora…(sorride). Partiamo dal next step”. L’anno prossimo (tra due mesi, NdR) dobbiamo iniziare a lavorare non più soltanto al “portale dei dati”, perché questo ormai è acquisito. Abbiamo capito che è importante buttare fuori i dati. Dobbiamo lavorare alacremente per fare volano sulle Apps, che diano risonanza e facciano toccare con mano gli effetti virtuosi”.

Una cosa da evitare? "Seguire un strada diversa dal Raw data now”.
E, sulla base dell’esperienza, aggiunge una cosa che deve assolutamente esserci. “Assolutamente ci deve essere consapevolezza a livello locale che questa è cosa buona, che l’open data è fondamentale. Se non si ha un commitment locale l’imposizione dall’alto è inutile, perché (è bene ricordare) l’open data dentro l’amministrazione è innanzitutto una rivoluzione culturale". E così conclude: “se non si ha la consapevolezza, là dove sono i dati, che questo è un valore aggiunto per la propria amministrazione in termini sia di trasparenza che di valore economico… l’open data sarà un flop”.

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