E le città si coprirono di campagna…
L’edificazione spinta degli agglomerati urbani in cui viviamo sembra averci fatto perdere ogni relazione con l’ambiente naturale. L’impermeabilizzazione smodata del suolo urbano ha avuto e sta avendo importanti ricadute su innumerevoli aspetti del vivere in città. Secondo dati WWF in Italia l’urbanizzazione dal 1956 al 2001 è cresciuta del 500%. Tuttavia oggi assistiamo a un fenomeno interessante. Il verde sta lentamente tornando in città, anche in Italia. In alcuni paesi sembra addirittura che le città reclamino con forza il bisogno di stare in contatto con la campagna da cui, di fatto, dipendono intrinsecamente. OrtiAlti procede proprio in questa direzione: un progetto presentato a #SCE2014 che fa immaginare città più inclusive, vivibili e sostenibili.
1 Dicembre 2014
Martina Cardellini
L’edificazione spinta degli agglomerati urbani in cui viviamo sembra averci fatto perdere ogni relazione con l’ambiente naturale. L’impermeabilizzazione smodata del suolo urbano ha avuto e sta avendo importanti ricadute su innumerevoli aspetti del vivere in città. Secondo dati WWF in Italia l’urbanizzazione dal 1956 al 2001 è cresciuta del 500%. Tuttavia oggi assistiamo a un fenomeno interessante. Il verde sta lentamente tornando in città, anche in Italia. In alcuni paesi sembra addirittura che le città reclamino con forza il bisogno di stare in contatto con la campagna da cui, di fatto, dipendono intrinsecamente. OrtiAlti procede proprio in questa direzione: un progetto presentato a #SCE2014 che fa immaginare città più inclusive, vivibili e sostenibili.
Agglomerati urbani impermeabili
Fino a pochi anni fa non veniva attribuito alcun valore al verde e al suolo: le città sono cresciute indiscriminatamente sottraendo naturalità al paesaggio e impermeabilizzandolo. “Invece di prestare attenzione al ruolo del verde negli ambienti urbani abbiamo costruito città a misura di macchine”, racconta l’agronomo Paolo Callioni di ANAB[1]. Attualmente, su tutto il territorio UE, si registrano elevate percentuali di impermeabilizzazione che interessano (con una media di 250 ettari al giorno d’incremento di terreno occupato[2]) i principali agglomerati urbani. Soltanto in Italia, nell’ultimo mezzo secolo, il territorio urbanizzato è aumentato del 1000 percento. Tuttavia, è la stessa Unione Europea ad aver richiamato l’attenzione sul paesaggio e sul suolo definendoli risorse da tutelare. Un rapporto UE redatto nel 2012 indaga la questione del consumo del suolo e delle misure per limitarne, mitigarne e compensarne l’impermeabilizzazione, perché molteplici sono gli ambiti sui quali la mancanza di permeabilità del suolo urbano ha un impatto diretto: dalla gestione delle acque alla biodiversità, dalla sicurezza alimentare ai cambiamenti climatici, dalla qualità dell’aria al benessere sociale, etc.
Le attuali contingenze climatiche e le emergenze ambientali ci impongono di riflettere profondamente sull’evoluzione urbanistica delle nostre città. Così anche l’architettura e la pianificazione territoriale sono chiamate a rivalutare il proprio ruolo e i propri strumenti. Sembra che il verde, da troppo tempo considerato in Italia un “elemento accessorio e residuale”, come sottolineato da Callioni, dovrà necessariamente diventare materiale centrale nei progetti di architettura, limitando l’impermeabilizzazione del suolo e puntando a far crescere “città che almeno in parte siano più orientate all’autosufficienza, che abbiano impatti ambientali inferiori e possano produrre parte delle risorse che consumano”.
Non più tetti, ma OrtiAlti
Nel 2010, nel quartiere torinese di San Calvario è nato il primo tetto vegetale, un orto alto appunto, cresciuto sul tetto dello STUDIO999: una soluzione creativa per il lastrico solare. “È nato così, quasi per gioco” racconta Emanuela Saporito, architetto di STUDIO999. “Piuttosto che mettere un liner di guaina bituminosa abbiamo pensato di trasformare la superficie in un giardino coltivato”. Così il progetto OrtiAlti, farm your rooftop, enjoy sharing! è nato e si è evoluto “perché al di là dell’intervento di abbellimento dell’edificio e di efficientamento energetico – questo è senz’altro il ritorno d’investimento più diretto e immediato – c’è anche un’importante dimensione sociale e ambientale che lo connota”. Si tratta infatti di un progetto che mira alla creazione e diffusione di un nuovo paesaggio urbano, fondato su una cultura di consumo alimentare critico e a Km0 e una cultura dell’abitare basata sulle relazioni, sui principi della sostenibilità e del risparmio energetico. Qui l’intervento di Emanuela Saporito a #SCE2014.
Cittadini ortolani
Già più di sessanta anni fa Wright sosteneva l’importanza del paesaggio nella pianificazione urbanistica e delle implicazioni nocive legate alla violenta e intensiva urbanizzazione del territorio. “L’andirivieni perpetuo eccita il cittadino inurbato, lo priva della capacità di comprendere, meditare e riflettere che possedeva quando viveva e camminava sotto un limpido cielo tra la fresca verzura che gli era compagna”[3]. OrtiAlti sarebbe piaciuto all’architetto statunitense perché ricerca un equilibrio tra ambiente naturale e costruito, invogliando i cittadini inurbati a trasformarsi in cittadini ortolani, offrendo loro la possibilità di recuperare un rapporto con la natura, sempre più difficile da coltivare nelle città congestionate che abitiamo.
Mediamente oltre il 20% delle superfici urbane è costituito da tetti piani non utilizzati (coperture di autorimesse, bassi fabbricati, volumi tecnici, capannoni industriali). Il progetto dello STUDIO999 immagina un ruolo nuovo per queste superfici piatte e grigie: “l’orto sul tetto, pur essendo un intervento minimo, se immaginato a sistema, in una rete diffusa di orti condivisi, può davvero funzionare come un potente dispositivo di rigenerazione urbana”, spiega Saporito. “Lavorare sul proprio patrimonio esistente, trasformarlo e utilizzarlo per avviare pratiche virtuose nuove di vita urbana è di certo un modo per costruire processi smart e far diventare la città davvero un po’ più intelligenti”.
Si può realmente pensare a un cambiamento importante per le città: a Torino sono circa 800 gli ettari di superifici piane che potrebbero potenzialmente trasformarsi in orti pensili. “Questi luoghi assumono una dimensione collettiva rinnovata, per cui non sono davvero privati, ma condivisi, in comunità. Così superfici inutilizzate si trasformano in superfici produttive con ricadute molto forti sulla qualità dell’ambiente, migliorando la qualità dell’aria e la gestione delle acque piovane, così come l’aspetto delle isole di calore[4] riducendo la temperatura del sole sulla soletta”. Si tratta di una tecnologia con caratteristiche certificate per norma (i tetti hanno una garanzia di 10 anni) che “bisogna posare in un certo modo perché possa effettivamente rientrare come intervento di efficientamento energetico e avere effettivamente i ritorni d’investimento sia dal punto di vista del risparmio sia per l’agevolazione fiscale al 65%”, continua Saporito. Il costo di installazione è di circa 120 euro al metro quadro (per un tetto normale è circa 80 euro al metro quadro). Il progetto naturalmente prevede anche un servizio di accompagnamento, gestito da Agridea, “che lavora con noi sul pacchetto tecnologico, sulla manutenzione e cura dei giardini”, offrendo consulenza per la gestione degli orti e istruendo i cittadini a diventare neo-ortolani[5].
Il progetto ha riscosso in pochi anni molto successo, essendogli anche stato riconosciuto il pregio di intercettare al contempo interessi profit e no profit (lo scorso anno ha vinto il concorso social wave). Attualmente OrtiAlti è entrato nel tavolo di lavoro SMILE della Fondazione Torino Smart City per sensibilizzare al tema dei tetti verdi intesi come interventi ad alto impatto sociale che puntano al miglioramento ambientale e alla tutela della biodiversità in città.“Avere un monitoraggio del partimonio e uno studio delle superifici potenziali di inverdimento sarebbe davvero interessantissimo, un lavoro da fare con i comuni, aumentando il dialogo con la pubblica amministrazione”. Saporito prosegue sottolineando che “ci sono degli interventi minimi sui quali un’amministrazione potrebbe costruire una politica molto efficace. Utilizzare ciò che si ha e farlo in modo intelligente è ciò che davvero rende merito a un territorio”.
Le PA s’inverdiscono le idee
“Il tema del verde urbano incrocia per sua stessa natura quello, essenziale, delle scelte di governo del territorio”, evidenzia Callioni. Ead oggi possiamo dire che le idee delle PA italiane sono state piuttosto grigie, anzi color cemento. “Il verde non è stato riconosciuto come elemento strategico per la qualità ambientale e la qualità di vita in città”, racconta l’agronomo di ANAB. Dal dossier di qualche anno fa realizzato dal WWF e dall’Università dell’Aquila sul consumo del suolo, intitolato 2009 L’anno del cemento, emerge che negli ultimi quindici anni circa 3,5 milioni di ettari di territorio sono stati urbanizzati (2 milioni di terreni agricoli): una superficie pari a quella del Lazio e dell’Abruzzo. E i recenti dati dello studio dell’ISPRA sul consumo del suolo confermano che i trend italiani sostanzialmente non stanno cambiando.
Tuttavia alcune PA incominciano a interessarsi al tema del verde in città, mostrando una certa sensibilità nei riguardi di quello che è a tutti gli effetti un grande patrimonio collettivo per le comunità urbane. In particolare la città di Bolzano ha istituito il RIE, l’indice di riduzione dell’intensità edilizia: un modello, racconta Callioni, “mutuato dall’estero, in particolare da città come Berlino (Biotope Area Factor) e Malmœ (Green Space Factor) che ormai da tempo utilizzano sistemi di modulazione della superficie verde nei lotti in modo da garantire che il verde venga pensato e progettato all’interno di ogni intervento edilizio”. Anche a Bari fa sperare bene il progetto Shagree (Green shadows program), nato nella scorsa primavera e portato avanti dal Comune insieme a un gruppo di imprese che hanno individuato 2000 metriquadri di superfici pensili da trasformare in orti. Un po’ ovunque le città si stanno attrezzando con arnesi da giardinaggio e politiche specifiche per la promozione dei tetti verdi. Da Vancouver a Toronto, da Chicago a New York, da Seattle a Washington, ma anche Parigi e Barcellona: abbiamo materiali e prassi virtuose alle quali ispirarci per far riavvicinare il mondo urbano a quello rurale. Riusciranno le prossime Città Metropolitane del paese a vincere questa sfida?
[1] L’ANAB (Associazione Nazionale Architettura Bioecologica) lavora da anni sul tema del verde pensile in città. Lo scorso giugno a Roma ha organizzato il convegno “TETTI GIARDINO: Rivoluzione Verde nelle Città”, al quale hanno preso parte importanti figure istituzionali, come il Ministero dell’Ambiente, i Consigli Nazionali delle tre professioni progettuali principali (ingegneri, agronomi e architetti), l’AIVEP e l’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica). A breve saranno disponibili gli atti finali dell’incontro su www.anab.it
[2] Dati UE dal documento “Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo”, 2012
[3] F. L. Wright, La città vivente, Einaudi, Torino 1966
[4] La presenza di un sistema diffuso di verde urbano favorisce la mitigazione delle temperature in ambito urbano. Addirittura si stima che ci siano differenze di tempertura nell’ordine di 5° tra grandi città e campagna. I tetti verdi diffusi, impattando sul microclima urbano, rappresentano un modo per ridurre questa differenza e favorire la riduzione dei consumi energetici.
[5] Un’aspirazione già ben radicata considerato che secondo il rapporto ISTAT del 2009 il 37% degli italiani dedica il proprio tempo libero al giardinaggio e alla cura dell’orto.