Due milioni di italiani coperti dalla banda larga, il digital divide si riduce… ma non basta
Nonostante gli 800 milioni “fantasma” il piano Romani negli ultimi dodici mesi è andato avanti, riuscendo a raggranellare quasi 250 milioni di euro tra fondi europei, nazionali, regionali e locali. Oggi gli italiani senza banda larga sono poco più di 5 milioni, ma l’Europa (e la competizione globale) ci chiede di più.
5 Luglio 2010
Tommaso Del Lungo
Nonostante gli 800 milioni “fantasma” il piano Romani negli ultimi dodici mesi è andato avanti, riuscendo a raggranellare quasi 250 milioni di euro tra fondi europei, nazionali, regionali e locali. Oggi gli italiani senza banda larga sono poco più di 5 milioni, ma l’Europa (e la competizione globale) ci chiede di più.
Dai 7 milioni del 2008 gli “esclusi digitali” nel nostro paese sono scesi a poco più di 5 milioni, merito dei quasi 250 milioni di investimenti che il Ministero dello Sviluppo Economico ha racimolato tra fondi comunitari, risorse nazionali, e stanziamenti regionali e locali. Sono questi i (pochi) dati rassicuranti che sono emersi oggi durante la mattinata di presentazione della nuova Digital agenda 2020 della Commissione Europea, organizzata a Roma dalla Rappresentanza Italiana.
I dati sull’ICT europeo, infatti, sono tutt’altro che incoraggianti e, anche per questo è stata pensata la Digital agenda: uno dei sette programmi “faro” dell’UE per rilanciare la competitività su scala globale del vecchio continente attraverso un migliore utilizzo delle tecnologie dell’informazione della comunicazione.
Su 250 milioni di abitanti solo il 24% degli europei utilizza una connessione “veloce”, mentre il 30% circa, dichiara di non aver mai navigato in rete (questo dato per l’Italia tocca la preoccupante vetta del 45%).
5 paesi su 27 hanno una percentuale di utilizzo della banda larga inferiore al 17%.
Oltre il 40% delle abitazioni europee è sprovvisto di connessione a banda larga (l’Italia è al 22° posto)
La percentuale di popolazione in digital divide è del 6% circa e nelle aree rurali sale fino al 21%.
L’estensione della rete in fibra ottica in Europa cresce ad una velocità pari a circa la metà di quella con cui cresce la rete statunitense, ad un terzo di quella della Corea del Sud e circa un ottavo di quella del Giappone. Un divario che si allarga sempre più.
Questi sono solo alcuni dei dati contenuti nell’ “Europe’s Digital Competitiveness Report 2010”, presentati oggi dalla dottoressa Lucilla Sioli, Capo Unità Statistica ed Economica DG INFSO Commissione Europea.
Se la strada dell’Europa, dunque, è ancora lunga, a maggior ragione lo è quella dell’Italia le cui performance sono ben al di sotto della media europea. Inoltre anche gli indicatori che sollevano l’Italia in cima alle classifiche europee come l’estensione della rete in fibra ottica (al secondo posto dopo la Svezia) o la disponibilità di servizi di e-Government (offerti dal 100% delle amministrazioni pubbliche) presentano rovesci della medaglia che non possono che fare preoccupare. La crescita della rete in Fibra ottica, infatti, nel 2009 è stata dello 0%, mentre i dati sulla disponibilità dei servizi di e-government sono vanificati dalle percentuali risibili di utilizzo di questi servizi.
In questo scenario preoccupante, che l’Europa cerca di capovolgere nell’arco dei prossimi 10 anni, la rappresentante del Ministero dello Sviluppo Economico, Isabella Palombini, ha provato a portare qualche segnale incoraggiante. Nonostante gli ormai famosi 800milioni fantasma del Piano Romani, prima annunciati, poi ritrattati, poi scomparsi, il Ministero, infatti, non è stato con le mani in mano ed è, anzi, riuscito a gestire in maniera coordinata i 250 milioni di euro raggranellati. “In particolare – ha detto la dottoressa Palombini – è da sottolineare il livello di semplificazione finanziaria e amministrativa che siamo riusciti a raggiungere nell’utilizzo di queste risorse, prevedendo, di concerto con gli enti locali interessati dagli oltre 300 cantieri aperti, norme di semplificazione sugli scavi civili e sperimentando innovative tecniche di scavo, più economiche e meno invasive. In questo modo siamo riusciti a ridurre il numero di cittadini non raggiunti da una connessione alla rete veloce (anche se si tratta della connessione veloce più lenta, quella fino a 2 megabit ndr) dagli oltre 7 milioni a poco più di 5 milioni di Italiani”.
Risultati positivi, quindi, e che rientrano perfettamente negli obiettivi della Digital agenda 2020 (internet a 2 Mb per il 100% della popolazione entro il 2013) ma che,da soli, non possono bastare.
La Digital agenda, infatti, prevede che entro il 2020 la totalità della popolazione Europa sia coperta da una rete a 30 Mb o superiore e il 50% sia raggiunta da una rete di nuova generazione oltre i 100 Mega (linea 4).
Per arrivare a questi traguardi ambiziosi gli sforzi da fare saranno dunque molti. La commissione è, ovviamente, ottimista e supporta questa sua convinzione sostenendo che è la prima volta che l’Europa dà il via ad un programma così ampio ed orizzontale comprensivo di azioni che riguardano sia l’Unione che gli stati membri. Insomma le precauzioni perché nel prossimo decennio non si ripetano le delusioni del programma i2010 e della "Strategia di Lisbona" sono state prese. Ora ad ognuno toccherà fare la propria parte.
In attesa di trovare i soldi per la banda larga o per la rete di nuova generazione, una delle strade proposte da Mario Dal Co, Consigliere del Ministro Brunetta, per aumentare l’utilizzo della rete e l’utilizzo dei servizi on line è quella di investire sulla trasparenza e la disponibilità dei dati pubblici. “Offrire alla cittadinanza i propri dati in formato aperto è un passo importante – ha detto Dal Co – perché presuppone alla base l’individuazione di uno standard, che è poi il fondamento dell’interoperabilità.” Per dare un’idea di cosa ciò possa voler dire in termini di competitività e sviluppo il Consigliere Dal Co ha fatto un solo esempio: Una singola ASL Italiana perde in media 5 milioni di euro per esenzioni di ticket non dovute, semplicemente perché l’esenzione dal ticket si ottiene con un’autocertificazione e non con una richiesta automatica all’anagrafe tributaria.