Bitcoin, perché riconoscerli e fissare regole gioverebbe allo Stato italiano
Emerge in tutta la sua urgenza, l’opportunità di un serio dibattito sull’esatto regime fiscale di tale materia, da cui, visto il giro d’affari sempre crescente, potrebbero derivare non poche risorse erariali. Risorse che oggi sfuggono completamente ad ogni controllo e ad ogni recupero e che invece, sia sotto il profilo delle imposte dirette che sotto quello dell’Iva potrebbero portare non irrilevanti risorse finanziarie
14 Ottobre 2016
Giovambattista Palumbo, direttore Osservatorio Politiche fiscali Eurispes
I bitcoin[1], nati con l’obiettivo di stabilire una circolazione monetaria indipendente da Governi e banche centrali, consentono la movimentazione, a livello internazionale, in modo rapido, anonimo e pressoché gratuito, di somme di denaro, anche consistenti.
La criminalità cerca del resto sempre nuove strade per “lavare” le risorse economiche provenienti dai loro affari illeciti e la tecnologia alla base del sistema di pagamento digitale potrebbe in effetti favorire, in particolare laddove non regolamentata, la possibilità di riciclare denaro “sporco”, o comunque l’evasione fiscale .
Tale rischio viene sottolineato anche dal report redatto dall’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia che, a tal proposito, scrive: “ L’interesse dell’Unità è stato pure rivolto al possibile uso per finalità illecite di monete virtuali: sono in corso approfondimenti sul potenziale di rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo dei Bitcoin, anche in considerazione di alcune segnalazioni di operazioni sospette ricevute su anomale compravendite di tale strumento e delle iniziative che si vanno definendo in sede internazionale ”[2].
Principi di funzionamento del sistema bitcoin
Il sistema Bitcoin (nato nel 2009 dall’idea del “fantomatico” Satoshi Nakamoto [3]) si basa sull’assenza di un’entità regolatore e su una versione decentralizzata di denaro elettronico , peer-to peer, che consente ai pagamenti di essere effettuati direttamente tra una parte e l’altra senza dover passare per il tramite di un istituto finanziario [4]. Utilizzare Bitcoin è del resto estremamente semplice. Basta installare un Bitcoin Wallet[5] in un computer o dispositivo mobile e comprare bitcoin da uno dei principali centri di scambio online.
Tali tipi di transazioni sono peraltro del tutto trasparenti al pubblico e chiunque può verificarle, accedendo ad un registro pubblico condiviso, chiamato Public Ledger e che svolge le funzioni di un pubblico registro, in cui ogni utente viene classificato mediante un codice alfanumerico (comunque non riconducibile al suo proprietario). Tale registro è comunemente noto con il nome di Block Chain, poiché letteralmente composto da una catena di blocchi.
Ogni blocco archiviato nella Block Chain è ordinato cronologicamente e contiene l’insieme delle transazioni confermate dal mining in un preciso arco temporale. Un bitcoin, in sostanza, non è altro che un hash (codice alfanumerico che corrisponde ad un numero esadecimale), confermato da una catena di firme digitali.
Le attività remunerative: il mining, il commercio e il cambio di valuta
Il mining è un processo che mira a confermare transazioni di Bitcoin (sostanzialmente creandoli) mediante complessi calcoli matematici eseguiti da potenti computer.
I miner, assieme ai nuovi bitcoin così “creati”, ricevono in cambio un compenso sulle transazioni che riescono a confermare: la prima transazione che viene memorizzata in un blocco della catena è una transazione che dà vita ad un nuovo “gettone” Bitcoin, di cui entra in possesso il creatore del blocco stesso. Le attività remunerative non riguardano però solo il mining. Esistono infatti anche le attività di exchange (di moneta digitale con moneta avente corso legale). Infine, vi sono poi delle vere e proprie attività di scambio tra privati, dove il bitcoin viene usato come merce di scambio verso altri beni o prestazioni di servizi.
La natura giuridica
Per comprendere quale possa essere il trattamento tributario dei bitcoin, è necessario cercare di individuare l’esatta natura giuridica dei bitcoin e delle criptovalute [6]. Le criptovalute possono infatti essere considerate:
- Moneta.
- Valuta estera.
- Beni Immateriali.
- Commodity.
- Security.
- Diritti di Baratto.
- Sistemi di pagamento.
Quanto al bitcoin inteso come moneta, possiamo evidenziare come la moneta ha, in genere, tre funzioni: mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore. Al tempo stesso vi sono tre tipi di moneta: la moneta merce, la moneta rappresentativa e la moneta Fiat.
Ebbene, il bitcoin integra tutte e tre le funzioni sopra indicate, ma non è moneta merce, dato che non ha valore intrinseco; non è moneta rappresentativa, poiché rappresenta solo sé stessa e non ha alcun sottostante; e non è, infine, moneta fiat, non essendo stata emessa da alcun ente.
Quanto al bitcoin inteso come bene, le criptovalute possono in effetti costituire un bene (mobile ed immateriale), laddove, ai sensi dell’articolo 810 del Codice civile, « sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti ». A differenza di questi, però, non hanno la caratteristica della fungibilità.
Quanto al bitcoin come sistema di pagamento, vi è da dire che, ai sensi di quanto stabilito dalla Direttiva europea sui sistemi di pagamento (PSD), poiché le criptovalute non sono controllate o di proprietà di un soggetto giuridico, non possono essere classificate come un istituto di pagamento.
Andando poi per esclusione, i bitcoin non dovrebbero essere considerati titoli di credito, dato che non incorporano un diritto o un credito pecuniario; né a titoli rappresentativi di merce, dato che non sono connessi a rapporti contrattuali; né infine a partecipazioni o quote, dato che non vi è alcun emittente di cui si possa far parte.
I bitcoin presentano quindi caratteristiche che ne individuano una natura mista , dato che, a seconda del contesto di riferimento, possono avere caratteristiche proprie della moneta, della valuta estera, del bene immateriale, dello strumento finanziario e del sistema di pagamento.
La BCE, del resto, ha già evidenziato come la definizione giuridica vari a seconda dei contesti. E questa è probabilmente la sola chiave di volta per regolamentare il fenomeno, evidenziandosi l’impossibilità di una definizione generale e la necessità di un approccio asistemico.
Tra tutte le tesi sopra viste, quella che comunque sembra in effetti meglio individuare la esatta natura delle criptovalute è quella data dal BAFIN ( Bundesanstalt fur Finanzdienstleistungsaufsicht ), il quale li ha qualificati come unità simili a valute estere senza corso legale, costituite da unità di valore che hanno la funzione di mezzi privati di pagamento in operazioni di baratto.
La verità, però, come detto, è che i bitcoin e le criptovalute non sono suscettibili di una definizione generale, condivisa e condivisibile, rendendo vano (e sostanzialmente inutile) ogni sforzo di inquadramento generale.
Il solo, vero, modo per individuarne la natura è dunque guardare alla funzione che (di volta in volta) svolgono.
Monitoraggio fiscale e normativa antiriciclaggio
Infine, nell’ipotesi in cui una persona fisica detenesse bitcoin in deposito presso un portafoglio virtuale, appoggiato su piattaforme ubicate all’estero, trasferendo criptovaluta da e verso paesi stranieri, dovrebbe sorgere l’obbligo di compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi, sia ai fini del monitoraggio, sia ai fini impositivi (per esempio per l’IVAFE).
Oltre al suddetto monitoraggio fiscale, sarebbe però importante estendere la disciplina antiriciclaggio anche a questo tipo di operazioni, focalizzando l’attenzione in particolare sugli exchangers.
Pertanto, nei casi di soggetti che utilizzassero lo strumento delle criptovalute per trasferire denaro dal nostro Paese verso l’estero (o viceversa), oltre che con la normativa ai fini del monitoraggio fiscale, questi dovrebbero tenere conto anche della disciplina antiriciclaggio, che impone la tracciabilità di tutte le operazioni superiori ad una certa soglia.
Conclusioni
Da quanto sopra evidenziato emerge dunque, in tutta la sua urgenza, l’opportunità di un serio dibattito sull’esatto regime fiscale di tale materia, da cui, visto il giro d’affari sempre crescente, potrebbero derivare non poche risorse erariali.
Risorse che oggi sfuggono completamente ad ogni controllo e ad ogni recupero e che invece, sia sotto il profilo delle imposte dirette che sotto quello dell’Iva potrebbero portare non irrilevanti risorse finanziarie. Due gruppi che hanno un forte interesse in questa moneta sono senz’altro gli speculatori e chi ricicla denaro. Gli speculatori cercano di trovare strategie di investimento, più o meno sofisticate, per trarne profitto.
Chi vuole riciclare denaro trova invece in Bitcoin lo strumento ideale, potendo usufruire della sua non tracciabilità, poiché le transazioni sono criptate e non è possibile monitorare né verificare l’identità di chi compra e vende. E’ probabile, peraltro, che anche questa moneta sia destinata ad essere soppiantata da altri modelli più sofisticati (alla fine si tratta di algoritmi matematici in continua evoluzione). Come già successo, per esempio, nel caso dei Linden Dollars , quelli che si utilizzano nel mondo virtuale di Second Life.
Ma, a prescindere dal nome, il concetto che interessa sono i margini di sicurezza delle criptovalute virtuali. A differenza degli acquisti con carta di credito, le transazioni avvengono infatti comunque in modo assolutamente anonimo.
In sostanza un mondo senza regole (etero imposte) e senza controlli.
Per questo bisognerebbe prevedere interventi normativi che diano certezza di tracciabilità e chiarezza di identificazione di tutte le persone coinvolte in operazioni di trasferimento di bitcoin. Il vero problema, del resto, è proprio che questo genere di monete potrebbero diventare una sorta di paradiso fiscale virtuale. Le cryptocurrencies hanno, infatti, tutte le caratteristiche dei paradisi fiscali: i guadagni sono sottratti ai regimi fiscali statali e l’identità dell’operatore finanziario è ben nascosta.
[1] A. Teti, Sistemi di pagamento: Bitcoin la moneta del Cyberspazio , in GNOSIS n. 2/2012.
[2] Cfr. Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia, Presentazione del Rapporto sull’attività svolta nel 2013 , 9 luglio 2014
[3] Probabilmente uno pseudonimo, dietro il quale si potrebbe nascondere anche un gruppo di persone.
[4] P2P, acronimo di Peer to peer, è uno dei più diffusi paradigmi architetturali in Internet. Si basa sullo scambio di informazioni tra Host (comuni computer) paritetici e non prevede alcun tipo di Server centrale che controlli, gestisca, fornisca contenuti o servizi.
[5] Letteralmente, portafogli elettronico, il cui Software è direttamente scaricabile dal sito ufficiale del protocollo Bitcoin: https://bitcoin.org/.
[6] Si veda per approfondimenti, S. CAPACCIOLI, Criptovalute e bitcoin: un’analisi giuridica , Giuffrè editore, 2015.