Dirigenza pubblica: tempi stretti per la messa a regime del sistema

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Note illustrative sul testo del decreto legislativo recante la disciplina della dirigenza pubblica. È essenziale una sua veloce approvazione e attuazione per renderla effettiva dalla primavera 2017 con il nuovo ciclo amministrativo degli enti locali

7 Settembre 2016

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Michele Bertola*

Propongo alcune note “a caldo” dopo la lettura del decreto legislativo del governo sulla dirigenza pubblica attualmente in discussione per il parere della Commissione affari istituzionali della Camera.

La bozza del decreto legislativo è conseguenza della legge dello scorso anno sulla quale la discussione è stata lunga ed articolata. A prescindere quindi dalle posizioni che ciascuno ha sostenuto durante la fase di elaborazione della norma (dalla raccolta delle proposte on line del 2014), è oggi importante che venga attuata la norma.
Troppe volte infatti è stato il momento della attuazione, quello in cui ri-mettere in discussione le norme approvate. Per questo motivo di molte riforme non siamo neanche in grado di capire se avrebbero avuto gli effetti sperati da chi le ha approvate.
Il mio punto di vista è quello degli enti locali nei quali la vicinanza con i cittadini e la necessità di essere tempestivi è particolarmente sentita.

Mi soffermo quindi solo su poche note, sia per la fase in cui ci troviamo (si è già discusso a lungo del tema e il momento è quello attuativo di una legge, non di una nuova discussione di carattere generale), sia per la necessità di giungere a risultati concreti e mettere a regime il sistema in tempi stretti.
La necessità di una sua veloce approvazione e attuazione è essenziale per renderla effettiva dalla primavera 2017 con il nuovo ciclo amministrativo per molti enti locali.

La composizione delle Commissioni nazionali (art. 4 comma 1 punto 3, punto 8 e punto 9) è piuttosto discutibile e, in particolare, quella degli enti locali è del tutto sproporzionata con 5 componenti “centrali” e solo 2 “locali”. Nel merito mi pare che non abbiano molto significato i seguenti componenti:

  • il Ragioniere generale dello Stato;
  • il Capo Dipartimento per gli affari interni territoriali del Ministero dell’Interno;
  • il Segretario generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Queste tre figure potrebbero essere sostituite da componenti indicati dagli enti locali e nominati dalla Conferenza Stato Città ed autonomie locali. Peraltro questa possibilità permetterebbe di dare maggiore orientamento alla commissione verso la managerialità.

I tempi di costituzione e funzionamento delle Commissioni rischiano di compromettere l’attuazione della norma in tempi accettabili dagli enti locali.
La Commissione (le tre Commissioni in verità) viene istituita entro 90 giorni dal governo dopo la approvazione del decreto (art. 4 comma 1 punto 5): sono troppi, bastano 30 giorni anche perché 5 componenti su 7 di ciascuna Commissione sono già definiti. Non è possibile impiegare tre mesi per individuare 2 persone per Commissione, peraltro nominati direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per la Commissione Statale e dalle Conferenze Stato Regioni ed Unificata per le altre due Commissioni.

I tempi per definire i criteri di conferimento di incarico (art. 4 comma 1 punto 2b la Commissione “definisce, sentito il Dipartimento della funzione pubblica, i criteri generali, ispirati a principi di pubblicità, trasparenza e merito, di conferimento degli incarichi dirigenziali e ne verifica il rispetto”) sono di 180 giorni (art. 4 comma 1 punto 6), sono decisamente troppi. Un periodo di 60 giorni è più che sufficiente, considerando che per avviare un vero sistema di valutazione delle prestazioni uniforme (soprattutto negli enti locali) occorreranno anni, e che i criteri generali sono facilmente individuabili (ed in parte lo sono già nelle stesse norme in essere: d.lgs. 165 e d.lgs. 267).

La durata degli incarichi dirigenziali (art. 4 dove modifica l’art 19 quinquies del decreto legislativo 165) è incoerente con i tempi degli enti locali dove il sistema elettorale prevede il rinnovo degli incarichi amministrativi ogni 5 anni e dove, per fortuna, le interruzioni anticipate dei mandati amministrativi sono molto più rare rispetto ai numerosi cambi di governo. Occorre che negli enti locali il periodo dell’incarico o sia ridotto a 3 anni rinnovabile per altri 2 o sia di 5 anni, prevedendo che gli incarichi dirigenziali vengano definiti entro 90 giorni dall’insediamento delle amministrazioni.

Il pagamento della retribuzione dirigente privo di incarico (art. 7 comma 1 punto 4) è previsto a carico dell’ultimo ente dove il dirigente ha ricevuto l’incarico. Questo meccanismo, applicato agli enti locali, ha un effetto decisamente controproducente, peraltro sempre più amplificato dove più piccolo è il comune e dove quindi è anche molto più difficile ottenere innovazione con modificazione degli incarichi dei dirigenti già presenti. La soluzione ottimale è quella presa dalla regione Friuli Venezia Giulia dove viene previsto un fondo regionale cui contribuiscono tutti gli enti locali con una percentuale della spesa per la dirigenza (il 5% sarebbe sufficiente) destinato alla retribuzione dei dirigenti privi di incarico, con un meccanismo che prevede la verifica annuale della capienza del fondo e la ridefinizione della percentuale prevista. È questo un punto fondamentale che altrimenti rischia di compromettere l’effettiva attuazione del decreto e il raggiungimento dell’obiettivo di riforma della dirigenza. Continuo a pensare che uno dei problemi fondamentali non sia la inadeguatezza in sé della maggioranza dei dirigenti pubblici, ma la situazione di “inamovibilità garantita” che ci rende poco innovativi.

Nel decreto risulta poco chiaro il tema dei dirigenti apicali, ma questo richiede ulteriori approfondimenti. Infine mi sembra che il decreto non attui una precisa delega richiesta dalla legge e cioè la definizione dei requisiti per l’accesso al ruolo di direttore generale.

*Presidente ANDIGEL, Direttore Generale Comune di Bergamo

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