Telemedicina oggi in Italia
Nonostante i progressi della tecnologia che consente collegamenti a larga banda a basso costo in molte zone di Italia e la disponibilità di apparecchiature medicali digitali in grado non soltanto di trasmettere immagini e segnali vitali a distanza, ma anche in alcuni casi di essere controllate in remoto, la telemedicina in Italia non è ancora molto diffusa. Tecnologia a parte, le condizioni per un suo sviluppo non mancano: ci sono alcuni centri di eccellenza, la maggior parte nel nord Italia, cui si rivolgono molti pazienti di altre regioni; il territorio italiano comprende zone non facilmente accessibili e comunque lontane dai maggiori presidi ospedalieri; i nostri connazionali amano viaggiare anche all’estero, dove trascorrono le vacanze in località a volte esotiche ma prive di strutture sanitarie di eccellenza.
9 Marzo 2008
Massimo Mangia
Nonostante i progressi della tecnologia che consente collegamenti a larga banda a basso costo in molte zone di Italia e la disponibilità di apparecchiature medicali digitali in grado non soltanto di trasmettere immagini e segnali vitali a distanza, ma anche in alcuni casi di essere controllate in remoto, la telemedicina in Italia non è ancora molto diffusa. Tecnologia a parte, le condizioni per un suo sviluppo non mancano: ci sono alcuni centri di eccellenza, la maggior parte nel nord Italia, cui si rivolgono molti pazienti di altre regioni; il territorio italiano comprende zone non facilmente accessibili e comunque lontane dai maggiori presidi ospedalieri; i nostri connazionali amano viaggiare anche all’estero, dove trascorrono le vacanze in località a volte esotiche ma prive di strutture sanitarie di eccellenza.
Ci sono naturalmente alcuni esempi che contraddicono la mia asserzione, come TeleMedicina Rizzoli (www.telemedicinarizzoli.it/), un consorzio misto pubblico-privato tra gli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna (IOR) ed una società privata che offre servizi di tele-consulto, tele-riabilitazione e tele-didattica, MediCall / Cardio Online (www.tesanonline.it/telemedicina/) che trasferisce biosegnali di funzioni di organi (cuore, polmoni, rene, etc.) ad una centrale remota, presidiata da medici specialisti pronti ad un esame immediato ed a fornire la loro valutazione nei settori della tele-cardiologia, telemetria presso ria, tele-spirometria, tele-diabetologia e tele-dermatologia, il servizio di tele-cardiologia di Sorin LifeWatch (www.sorinlifewatch.com/index.htm) che possiede un proprio Centro di Monitoraggio, il Centro Cardiologico Monzino (www.cardiologicomonzino.it/italiano/clinica/tele.htm) che dispone anche esso di un servizio di tele-cardiologia, MediCasa (tele-cardiologia, telemedicina respiratorio e telesoccorso), nonché diversi casi di tele-radiologia con trasmissione a distanza delle immagini di qualunque tipo, dalla RX del torace alle angiografie, dalle ecografie alle TAC cerebrali.
Non mancano poi molte sperimentazioni finanziate con fondi europei o italiani che spesso però non superano questa fase e rimangono pertanto delle prove di concetto.
Cosa dunque ostacola la diffusione della telemedicina? Ci sono direi tre elementi che frenano e qualche volta impediscono lo sviluppo di questa pratica che anche all’estero incontra le stesse difficoltà.
Il primo aspetto, non necessariamente in ordine di importanza, è quello organizzativo – economico. Non è sempre facile o possibile trovare le modalità di finanziamento di questi servizi che hanno un costo di gestione che include non soltanto le apparecchiature ma soprattutto il personale che vi opera.
La sanità pubblica non prevede, salvo eccezioni, modelli e tariffe per la telemedicina e quindi spesso la fattibilità di un progetto si ferma davanti la banale domanda "Chi paga?". Non è un caso che molti dei servizi di tele-cardiologia funzionano grazie ad assicurazioni o al pagamento diretto dei pazienti (in forma privata). Ci sono naturalmente le eccezioni, nulla impedisce ad una ASL o a una azienda ospedaliera con più presidi di organizzare il proprio servizio utilizzando la diagnosi a distanza, ma solitamente la dinamica dei centri di eccellenza travalica i confini aziendali e richiede perciò un accordo regionale.
Il secondo aspetto è di tipo tecnologico – economico. È vero che oggi molte diagnostiche sono digitali, ma non tutte, ed il loro costo di acquisto non è basso. La sostituzione delle apparecchiature segue perciò cadenze pluriannuali che rallentano la possibilità di realizzare servizi di telemedicina. Inoltre la banda larga non raggiunge proprio le zone, ad esempio quelle montane o comunque più lontane dai grandi centri abitati, che sono maggiormente interessanti per la telemedicina, mentre è più presente nelle grandi città dove spesso esistono grandi strutture ospedaliere.
Infine, ma forse il più importante di tutti, c’è un aspetto che è molto delicato: la mancanza o la carenza di cultura della condivisione e del confronto. A differenza del mondo anglosassone, i medici italiani sono poco propensi a confrontarsi con i loro colleghi, specie della stessa specialità. Il mettersi in discussione viene talvolta scambiato per insicurezza o incapacità e non giova all’immagine che alcuni medici vogliono dare di sé stessi. Condividere una diagnosi, confrontare le proprie idee ed ammettere i propri errori non è un atteggiamento comune, né rispetto ai pazienti, né ai colleghi.
La progressiva diffusione della sanità elettronica, la creazione delle prime reti dei medici di medicina generale e di patologia possono dare nuova enfasi alla telemedicina, grazie all’affermazione di nuovi modelli di cura che vedono nella cooperazione e nella de-ospedalizzazione due elementi importanti. È però necessario che anche l’organizzazione sanitaria delle regioni (e perché no quella nazionale) si indirizzi verso un modello di "rete" che veda le strutture sanitarie come risorse di un quadro di insieme in cui il concetto di azienda si allarghi a comprendere tutta la sanità regionale e dove si sviluppino le eccellenze senza creare doppioni, in modo da rendere tutto il sistema più efficiente ed efficace. Non è un compito facile, anche perché si scontra contro le logiche locali, ancora ancorate a vecchi modelli organizzativi, in cui un ospedale, anche se poco efficiente, viene considerato in ogni caso una risorsa della comunità a prescindere dai servizi che è in grado di erogare.