La consumerizzazione come volano per la cultura del dato

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Poiché è buono e giusto farsi condizionare dal mondo consumer, proviamo a comprendere alcune influenze positive e la loro applicabilità pratica nell’ambito dell’ecosistema dei dati e in particolar modo nella Pubblica Amministrazione

6 Ottobre 2016

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Gianluigi Cogo, responsabile coordinamento azioni regionali in ambito di internet of thing, big data e smartness

Parto da molto lontano, quindi vi chiedo pazienza e comprensione.

Da sempre amo farmi influenzare dai processi che funzionano, dagli stili di vita emergenti, dalle buone pratiche di successo e, guarda caso, tutti provengono sempre dal mondo consumer.

La consumerization, in special modo quella dell’IT, mi attrae da sempre e la considero riferimento indispensabile per tenere allenata e aperta la mente, specialmente se si opera nel settore pubblico dove è facilissimo, e quasi scontato, spegnere il cervello e ritrovarsi in un lampo dentro un deserto culturale.

Per farla breve, la consumerizzazione o meglio IT Consumerization, è il fenomeno in base al quale l’uso e lo stile delle tecnologie in ambiente lavorativo viene dettata, in sostanza, dall’evoluzione del profilo privato degli individui e dal loro utilizzo delle tecnologie personali .

Bello vero? Se volete capirne di più il senso e la filosofia, vi rimando a un cartone animato del 2011 prodotto da Microsoft: .

Dato per assodato questo assunto, ovvero che è buono e giusto farsi condizionare dal mondo consumer, proviamo ora a comprendere alcune influenze positive e la loro applicabilità pratica nell’ambito dell’ecosistema dei dati e in particolar modo nella Pubblica Amministrazione.

L’esempio:

Alcuni anni fa iniziai ad utilizzare un servizio di gestione dei miei viaggi, scelto affinché mi consentisse di ottimizzare le varie operazioni di booking, check-in, transfer, ecc e, allo stesso tempo mantenesse nel cloud uno storico di tutti i viaggi per poi poterne fare analisi, stime, proiezioni, ecc.

La scelta cadde su un servizio tipicamente consumer: TripIt. Tale servizio prevedeva la compilazione on-line di alcuni moduli ben strutturati che richiedevano dati molto analitici e puntuali. Data, destinazione, indirizzo, numero di prenotazione, telefono struttura, prezzo e molti, moltissimi altri dettagli. In particolare, per aerei, treni e noleggi auto richiedeva tutti i dati della bigliettazione, ovvero numero del titolo, data, codici internazionali, e chi più ne ha più ne metta. Abbondare non è mai abbastanza perché nel futuro l’abbondanza di imputazione regala ottimi risultati in sede di analisi e reportistica.

Il salto di qualità di questo servizio avvenne quando annunciò un sistema di interoperabilità con i vari provider di prenotazione on line, sistema che mi permise di risparmiare un sacco di tempo nell’imputazione dei dati sulle form on-line proposte da TripIt.

Per i più curiosi, è a disposizione una landing page di TripIt con il catalogo di tutti i servizi e le app di travel organizer che permettono di interoperare con la piattaforma, nonché una lista dei provider di booking dai quali è possibile attingere dati.

Il vantaggio, per farla breve, consiste nel delegare alle macchine (software, sistemi, servizi e tecnologie federati) il compito di imputare i dati, facendo risparmiare tempo a noi umani ma, soprattutto, garantendo un approvvigionamento analitico e puntuale di ogni dato utile per effettuare poi report, interrogazioni e analisi.

TripIt legge i dati della prenotazione, del calendario, delle app, della email, e opera per noi.

Ma vediamo ora un’altra applicazione consumer più recente e forse più intuitiva per lo scopo che mi sto prefiggendo: Trips di Google.

Questa app è stata rilasciata pochi giorni fa e subito ha scatenato la mia insaziabile curiosità. Dunque la scarico dallo store, la avvio sul mio smartphone e voilà in un attimo mi propone a video tutti i viaggi che ho effettuato in passato, con ampia disponibilità di informazioni e mille consigli nel caso volessi approfittare nuovamente di quelle destinazioni e di innumerevoli offerte associate ad esse.


Ma come diavolo fa? Semplice, Google Trips legge Gmail e io uso Gmail e per organizzare i miei viaggi.

Diciamo subito, per i più attenti alla propria privacy, che la funzione di recupero dati da Gmail può essere spenta, ovviamente rinunciando ai benefici indotti.

Ma continuiamo a seguire il ragionamento di Google e quindi un ragionamento perfettamente orientato alle esigenze consumer. I dati provengono, è pur vero, proprio da Gmail ma la loro fonte è una prenotazione di booking.com.

Avete mai visto come è strutturato il sito di booking.com o le email di prenotazione?

Ebbene, ci vuole poco a capire che quelle email sono dati. Si, ripeto, sono dati tabellari. Che significa ciò? Come è possibile che una email sia in effetti il record di un database? Nulla di più semplice, guardatela nella sua forma originale

e poi osservate come la vede Gmail per catturare i dati di Booking.com nella sua applicazione

Vi sembrano le email che ci scambiamo tutti i giorni? No, infatti sono delle xMail.
Ecco, appunto, sono email applicative, generate da sistemi su nostro preciso input.

I processi errati:

Bene, più di qualcuno, arrivato a questo punto, sarà portato a pensare che queste diavolerie poco si adattano ai processi quotidiani e, soprattutto, sono diavolerie tecniche che appartengono alle macchine, ai tecnocrati, ai sistemi informatici e risulterebbero difficili da applicare nella Pubblica Amministrazione. Nulla di più sbagliato.

Ogni giorno possiamo pensare e ripensare a quella Xmail di booking.com e confrontarla con le nostre email, i nostri documenti, i nostri moduli, i nostri siti web e provare a capire che davvero, se solo lo volessimo, potremmo ripensare al tutto in funzione olistica e orientata ai dati. I dati vengono generati dalle macchine quando l’uomo ne ha definito l’esatto processo, e se il processo è sbagliato, anche i dati di output saranno inutili se non di scarso valore. E questo difetto sarà a svantaggio del sistema, non solo di chi ha prodotto l’errore.

Ma cosa facciamo di sbagliato tutti i giorni? Praticamente tutto!

Provate a pensare quanti modelli (form) riempiamo tutti i giorni. Essi arrivano dai posti più disparati: il sito del Comune per presentare un’istanza, il sito della scuola per una richiesta, l’allegato email di un dipartimento della nostra organizzazione, piuttosto che la intranet aziendale, ecc.

Chi produce questi moduli? Quasi sempre persone, singole o in gruppo. E, se ci pensate, ogni volta dobbiamo inserire e reinserire Nome, Cognome, Data di nascita, numero di matricola, dipartimento, codice fiscale, ecc.

Provate a guardarli con attenzione, questi moduli, o provate a pensare a come li elaborate voi, sì proprio voi, che siete destinatari di un adempimento che richiede la formulazione di un modulo.

Spesso dovete riportare gli output raccolti su un foglio di calcolo, altre volte li re-imputate in un applicativo ad hoc, o su altro modulo ancora, come un loop infinito.

Ma quei moduli sono corredati da metadatati corretti? Cosa? Metadatati? E che cosa significa metadato?

Semplice, ogni modulo può contenere una serie di elementi utili a definirne il contenuto, lo scopo, l’autore, il destinatario, la data e chi più ne ha più ne metta. E ancora, ogni campo di input dovrebbe essere accompagnato dal significato di quel campo. Il metadato appunto.

Sarebbe facile farlo, ogni gestore di testi permette di farlo, ma quasi nessuno lo sa, oppure lo ignora.

Eppure anche un semplice documento, modulo, foglio di calcolo, anche la email ha la propria scheda bibliografica, come i libri. Basterebbe riempirla di dati. Lo fate? Pensate sia utile? Non a voi, ma a chi viene dopo.

Infatti, pensare con lungimiranza che più avanti nel tempo un altro soggetto che non siamo noi, potrebbe essere interessato a quello stesso documento o a quel modulo, non sarebbe una buona riflessione per migliorare il processo di redazione documentale in prospettiva data-oriented?

Inoltre, se assunta come buona la metadatazione dell’intero modulo, pensassimo anche a metadatare i singoli campi? Troppo difficile? E se poi provassimo a creare una struttura dati nel modulo (come booking.com) per rendere tutti i contenuti assimilabili al record di un database?

Certo, magari questa potenzialità possibile e a portata di mano non mi serve subito ma, più avanti, potrei aver bisogno di far interoperare quei dati con dati ed esigenze altrui …. perché privarmi di questo vantaggio?

La filosofia di base:

Da diversi anni è pratica buona e utile separare il contenuto dalla forma. Lo hanno capito perfettamente le aziende del mondo consumer come quelle che vi ho citato in premessa. Perché, si separa il contenuto dalla forma, quel contenuto diventa dato, e il dato è valore immenso, in quanto può essere gestito, analizzato, valutato dagli uomini e anche dalle macchine.

Da anni tutti i sistemi di redazione testi, moduli, pagine web, email o fogli di calcolo sono XML compatibili, ovvero permettono di strutturare tutto, davvero tutto ciò che è contenuto digitale.

Wikipedia ci dice infatti: ‘Rispetto all’HTML, l’XML ha uno scopo ben diverso: mentre il primo definisce una grammatica per la descrizione e la formattazione di pagine web (layout) e, in generale, di ipertesti, il secondo è un metalinguaggio utilizzato per creare nuovi linguaggi, atti a descrivere documenti strutturati. Mentre l’HTML ha un insieme ben definito e ristretto di tag, con l’XML è invece possibile definirne di propri a seconda delle esigenze.

L’XML è oggi molto utilizzato anche come mezzo per l’esportazione di dati tra diversi DBMS ‘.

Bingo! E allora usiamolo questo XML, ed è più facile di quel che sembra.

E se vi addentrate su Wikipidia con timore e prudenza, trovando ostici termini come DTD, XSL, ecc, non preoccupatevi, leggete, fatene tesoro da un punto di vista culturale e poi rivolgetevi a chi sa fare queste diavolerie con poche e precise indicazioni di buon senso: ‘ho bisogno di un modulo strutturato per sezioni, con tutti i campi di input metadatati perché devo valorizzare una raccolta dati dalla quale estrarre report ed eseguire delle analisi sui dati ottenuti ‘.

Come vedete, non si tratta di una lingua strana e ogni buon tecnico capirà immediatamente e vi produrrà in breve il desiderata auspicato.

Ma sta a voi, che non siete tecnici, capirne l’utilità e diffondere questa cultura. Perché solo in questo modo possiamo passare dalla cultura dell’adempimento (predispongo il modulo che mi è stato chiesto, raccolgo i dati e li consegno) a quella del dato che è indubbiamente più olistica (mi industrio per generare dati utili all’intero sistema).

E poi, che ve lo dico a fare? Avete mai provato a generare un modulo su un sistema cloud come ad esempio Google Drive? E allora fatelo, anche dentro le organizzazioni pubbliche, perché quel metodo è già in linea con tutto ciò che abbiamo sin qui descritto ed ovviamente è progettato in primis per il mondo consumer e dunque ottimo anche per una nuova Pubblica Amministrazione Digitale che si lascia persuadere incondizionatamente da tutto ciò che è semplice, facile e utile.

Ma, soprattutto, perché abbiamo bisogno di dati per capire, per valutare e per migliorarci.

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