Fasce di reperibilità e assenteismo: avevo torto io e ragione Brunetta

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"I controlli si riallungano: i fannulloni calano" –
"In calo l’assenteismo tra gli statali. Brunetta: merito delle fasce orarie"

"Più ore di reperibilità, meno malati"

"Visite fiscali serrate, cala l’assenteismo"
Insomma avevo torto. È bastato annunciare l’aumento della reperibilità da quattro a sette ore e le assenze, che erano cresciute e non di poco, di nuovo crollano in questa pubblica amministrazione che faccio sempre più fatica a (ri)conoscere. Io avevo creduto, avevo sperato che così non sarebbe stato, che in realtà non ci fosse quella stretta correlazione tra controlli e assenze che invece i numeri ci impongono di accettare.

26 Gennaio 2010

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

"I controlli si riallungano: i fannulloni calano" –
"In calo l’assenteismo tra gli statali. Brunetta: merito delle fasce orarie"

"Più ore di reperibilità, meno malati"

"Visite fiscali serrate, cala l’assenteismo"
Insomma avevo torto. È bastato annunciare l’aumento della reperibilità da quattro a sette ore e le assenze, che erano cresciute e non di poco, di nuovo crollano in questa pubblica amministrazione che faccio sempre più fatica a (ri)conoscere. Io avevo creduto, avevo sperato che così non sarebbe stato, che in realtà non ci fosse quella stretta correlazione tra controlli e assenze che invece i numeri ci impongono di accettare.

Quelli che vedete sopra sono alcuni dei titoli con cui pochi giorni fa sono stati salutati sui quotidiani i dati relativi alle assenze tra i dipendenti pubblici nel dicembre 2009 che, dopo mesi di aumenti importanti rispetto agli stessi mesi dell’anno passato, sono tornate ai livelli raggiunti dopo la riforma, confermando quindi di fatto il cosiddetto “effetto Brunetta”. E questo è successo in concomitanza con l’annuncio dell’allungamento delle fasce di reperibilità che passano da 4 a 7 ore (dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00). Difficile non vederci un nesso causale: più controlli, meno assenze.
Insomma avevo torto ed ero un ingenuo a credere il contrario: davvero ci sono un sacco di “furbetti” che attuano quelli che in linguaggio forbito si chiamano “comportamenti opportunistici” e si danno malati per fare altro. Una volta costretti a casa preferiscono andare in ufficio, così non perdono, per poco che sia, anche l’indennità di presenza.

Eppure non mi rassegno: da inguaribile ottimista non riesco a credere che esistano tanti falsi malati, tanti lavoratori che non aspettano altro che di marcare visita e farla franca. Qualcosa non mi torna. Eppure i dati sono quelli e parlano chiaro. E allora perché non mi arrendo all’evidenza e mi do pace?
Forse perché continuo a pensare che una vittoria sull’assenteismo ottenuta con più controlli e più tornelli sia una vittoria fragile. Una vittoria che si fonda sulla sabbia delle normative sempre mutevoli e non sulla roccia di un diverso clima di lavoro.
Forse perché credo che vittorie di questo genere siano in realtà mezze sconfitte: perché sanciscono l’incapacità (o l’impossibilità per i più pessimisti) di creare ovunque posti di lavoro dove si fa il proprio dovere con soddisfazione, dove ci si sente parte di una squadra, dove ci si sente riconosciuti.
Forse perché mi ricordo il sondaggio che, nel 2005, fece il Dipartimento della Funzione Pubblica  (allora si occupava di benessere organizzativo) assieme all’Università di Roma La Sapienza. Si scoprì che la maggiore causa dell’insoddisfazione nel lavoro pubblico era data dalla percezione di una sostanziale non equità nel trattamento e di non riconoscimento dei meriti, delle capacità, delle professionalità.
Forse perché mi sono stufato di leggere sui giornali triti luoghi comuni contro il lavoro pubblico, perché conosco innumerevoli esempi di impegno intelligente ed appassionato e il sorrisetto di quelli che “te l’avevo detto io…” mi fa impazzire di rabbia.
Forse perché leggo le centinaia di commenti (vedi ad es. questa discussione) che arrivano sul nostro sito e che parlano di professionalità negate, di talenti sprecati, di appartenenze politiche o di clan che fanno premio su ogni altro merito.
Forse perché semplicemente mi sbaglio…

 

Carlo Mochi Sismondi risponde in un articolo del 5 febbraio ai commenti a questo editoriale

 

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