EDITORIALE
Solo le città medie possono salvare l’european dream
La settimana scorsa sono stato invitato a parlare di sviluppo in una bella iniziativa messa in piedi da ANCI e dal Comune di Bergamo che si poneva l’obiettivo di mettere in evidenza il ruolo delle “città medie” per lo sviluppo economico e sociale delle comunità locali. Lì mi è stato più chiaro il perché questa dimensione urbana sia la più idonea a produrre coesione sociale e migliore qualità della vita. Provo ad articolare il ragionamento in tre tappe
19 Settembre 2018
Carlo Mochi Sismondi
Presidente FPA
- Le città medie, città sostenibili Si tratta di una constatazione evidence based. Se prendiamo i dati del nostro Icityrate (edizione 2017, la prossima del 2018 sarà divulgata durante IcityLab a Firenze il 17 ottobre), che misura la smartness delle città in termini di distanza dagli obiettivi di sviluppo sostenibile, troviamo che le città medie sono in prima fila. Ben cinque (Trento, Bergamo, Ravenna, Parma, Modena) nella top ten, due delle quali (Trento e Bergamo) in forte accelerazione rispetto agli scorsi anni. Ma a ben vedere, la gran parte delle città medie prese in esame hanno generalmente fatto registrare dei passi in avanti rispetto al 2016. Nello specifico emergono rispetto alle politiche di contrasto alla povertà e al crescere delle disuguaglianze, di trasformazione digitale, di ricerca e innovazione, di mobilità sostenibile, di gestione dei rifiuti.
- Città medie, centri di servizio e di aggregazione dei territori Al paradigma delle smart city si affianca sempre più spesso quello della smart land ossia del territorio intelligente, della città diffusa. Sono proprio le città medie che, in questo ambito, hanno la maggiore capacità di aggregare il territorio e di fornire servizi e visioni. Spesso non ne sono capaci infatti le città metropolitane, caratterizzate da forze centripete, né le cittadine troppo piccole che vedono continue spinte centrifughe. La città media può quindi divenire nodo principale di una molteplicità di reti: reti di trasporto, reti telematiche, reti commerciali, reti di servizi. Proprio per questa posizione privilegiata le città medie sono quelle in cui è più avanti l’innovazione. Molte di queste sono nettamente sopra la media nazionale nella trasformazione digitale e nella disponibilità di servizi online: è a quelle che dobbiamo guardare non per frenarle in un triste livellamento al ribasso, ma per farle correre avanti ancor di più, così che le altre città abbiano modelli da seguire e vedano in tempo errori da evitare.
- Città medie, città della sperimentazione Le città medie sono poi le città in cui è maggiormente utile e produttivo avere più coraggio. Sono infatti i luoghi ideali per la sperimentazione. Una sperimentazione in deroga che permetta una metodologia di proof of concept. Il nostro Paese ha un atteggiamento contraddittorio rispetto alla sperimentazione innovativa: da una parte ne ha paura perché non ha il coraggio di accettare il rischio del fallimento che, nell’innovazione, è invece un panorama non solo possibile, ma a volte anche, se correttamente inteso, auspicabile, perché evita di generalizzare strategie non adeguate. Fallimento che comporta invece nella PA un immediato giudizio sulle persone e un consueto scuotimento di testa del burocrate difensivo seguito da un “ma chi te l’ha fatto fare!”. Dall’altra quando riusciamo a fare, spesso con una Partnership Pubblico Privato, qualche pilota (una grande azienda multinazionale di IT ci chiamava pilot country proprio per la quantità di sperimentazioni gratuite che gli chiedeva la PA) non ne traiamo nessuna conseguenza né per il bene né per il male. Nelle città medie si può sperimentare dandosi il tempo che ci vuole (lo short termism è il grande male della nostra epoca) e traendone le giuste conseguenze. Soluzioni nuove ai grandi problemi delle nostre comunità che vanno dal traffico alle emissioni di gas serra, dai necessari nuovi modelli di welfare all’incentivazione all’imprenditoria, richiedono laboratori sperimentali che, nella dimensione della città media, possono trovare l’ambiente adatto e anche una giusta governance che sia vicina, attenta, collaborativa.