Capitolo 2. Il cittadino al centro
In termini programmatici è difficile trovare qualche amministratore pubblico che non metta al centro del proprio operato i cittadini a cui si dovrebbe riferire. In termini pratici, lo scollamento tra azione pubblica e popolazione amministrata è sempre più ampio. Anche la "speranza tecnologica" sembra tradita. Negli ultimi venti anni, infatti, in modo ricorrente, ci siamo appellati al presunto potere taumaturgico delle nuove tecnologie confondendo il fine con il mezzo, pensando che l’innovazione potesse essere relegata agli uffici dei sistemi informativi piuttosto che promossa e sostenuta dalle giunte politiche e dai decisori pubblici. E i risultati sono quelli che tutti possiamo vedere: la tecnologia, in Italia, non ha avvicinato in modo sostanziale i cittadini ai loro governanti, non ha sviluppato una nuova dimensione di cittadinanza (quella digitale), non ha arricchito le dinamiche della convivenza civile.
20 Ottobre 2010
Gianni Dominici
Siamo alla seconda tappa del nostro percorso: dopo aver presentato, nel primo capitolo del saggio che stiamo scrivendo insieme (date un’occhiata ai tanti commenti già arrivati), la rete come ambiente naturale dell’innovazione empatica e dell’azione pubblica tesa all’incremento dei “beni relazionali”, ci soffermiamo qui sulla centralità dei cittadini e sulle condizioni per abilitare processi partecipativi.
In termini programmatici è difficile trovare qualche amministratore pubblico che non metta al centro del proprio operato i cittadini a cui si dovrebbe riferire. In termini pratici, lo scollamento tra azione pubblica e popolazione amministrata è sempre più ampio. Anche la "speranza tecnologica" sembra tradita. Negli ultimi venti anni, infatti, in modo ricorrente, ci siamo appellati al presunto potere taumaturgico delle nuove tecnologie confondendo il fine con il mezzo, pensando che l’innovazione potesse essere relegata agli uffici dei sistemi informativi piuttosto che promossa e sostenuta dalle giunte politiche e dai decisori pubblici. E i risultati sono quelli che tutti possiamo vedere: la tecnologia, in Italia, non ha avvicinato in modo sostanziale i cittadini ai loro governanti, non ha sviluppato una nuova dimensione di cittadinanza (quella digitale), non ha arricchito le dinamiche della convivenza civile.
Questo risulta ancora più evidente se ci confrontiamo con quello che sta accadendo, invece, soprattutto in alcuni paesi di cultura anglosassone quali gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Australia. Perché, allora, in altri paesi la tecnologia è riuscita a promuovere l’innovazione quando in Italia, invece, ci troviamo davanti ad una rivoluzione incompiuta?(1) Perché quei paesi non cadono nella trappola del determinismo tecnologico per cui è la tecnologia a indurre il cambiamento sociale, ma esattamente il contrario: è l’innovazione sociale, politica e culturale che usa la tecnologia per meglio sostenere il cambiamento.
Tornando al coinvolgimento dei cittadini, sono paesi con una profonda tradizione di ascolto, di coinvolgimento del pubblico nella gestione della cosa pubblica basata su principi, regolamenti e metodologie concrete che, nel loro insieme, hanno contribuito a creare una solida cultura partecipativa. Solo alcuni esempi di questo.
Nel 1942 Selzencik studiò a fondo l’approccio seguito dal Governo Federale nel promuovere lo sviluppo economico e sociale dei territori lungo il fiume Tennesse, impostato su azioni proposte non dall’alto ma dal basso rispettando così l’autonomia locale e riducendo il conflitto delle popolazioni locali nei confronti di un progetto innovativo (il grass roots approach). E’ proprio con l’esperienza della Tenesse Valley Authority che negli Stati Uniti si posero le basi concettuali e metodologiche per un’azione pubblica sostenuta dai cittadini piuttosto che "malgrado questi". Si era, in quel tempo, in piena epoca New Deal, e lo spirito riformatore di Roosvelt informava di sé le diverse iniziative pubbliche.(2)
Anche nella ben più conservatrice epoca nixoniana lo spirito partecipativo non viene tradito quando, ad esempio, nel deliberare nel 1969 il National Environmnetal Policy Act (NEPA), finalizzato a regolamentare l’introduzione obbligatoria per ogni opera pubblica di studi di valutazione di impatto ambientale, ci si ispira esplicitamente a principi di trasparenza e partecipazione. Grazie al NEPA ogni opera pubblica o privata, prima di essere approvata, deve produrre un rapporto sui possibili impatti che tale opera può generare sull’ambiente. Il rapporto deve essere reso pubblico in un linguaggio comprensibile così da permettere e raccogliere le osservazioni delle diverse parti interessate dal progetto. Esperienze simili le troviamo negli altri paesi attualmente più attivi nel proporre le nuove forme di governo digitale.(3)
Appunto solo degli esempi, volutamente scelti tra le esperienze meno recenti, che però aiutano ad evidenziare il contesto in cui gli attuali progetti di open government si alimentano. Le esperienze di e-democracy e le iniziative di open data sono diventate, in questi paesi, delle occasioni per rafforzare processi già consolidati di inclusione dei cittadini.
E in Italia, quindi? Di certo non possiamo rinunciare a promuovere un coinvolgimento dei cittadini nelle attività di governo pubblico, così come non possiamo rinunciare a sfruttare al meglio, come stanno facendo altri paesi, le opportunità offerte dai social media emergenti.
Si tratta quindi di ragionare su obiettivi, metodi e strumenti in grado davvero di mettere il cittadino al centro, di dare voce ai suoi problemi ma anche alle sue proposte. Dal punto di vista operativo, è possibile ipotizzare una serie di azioni abilitanti:
- Non cedere alle tentazioni del riduzionismo tecnologico. L’innovazione può nascere solo dalla collaborazione tra il decisore politico, il finanziatore, l’innovatore. Non a caso il movimento degli open data nasce negli Stati Uniti dopo un impegno diretto e concreto del presidente Obama.
- Promuovere la cultura e la pratica della partecipazione. Qualche giorno fa scrivemmo dell’iniziativa portata avanti dal Comune di Firenze “I fiorentini cambiano la città”: una vasta iniziativa di coinvolgimento dei cittadini nel proporre idee per la propria città. Sono proprio queste le iniziative abilitanti in grado poi di integrarsi anche con le potenzialità delle nuove tecnologie.
- Promuovere una cultura organizzativa interna basata sulla logica della rete. Il modello burocratico e gerarchizzato ancora dominante nella pubblica amministrazione non sarà mai in grado di percepire e accogliere i contributi che vengono dai cittadini. E’ necessario, invece, promuovere una logica organizzativa orizzontale all’interno della pubblica amministrazione, in grado di coinvolgere i diversi attori pubblici, privati e del non profit, nel raggiungimento di un obiettivo comune.
- Promuovere approcci multicanale in grado di raggiungere i diversi pubblici differenziati per caratteristiche sociali e culturali. Si tratta di recuperare quell’approccio “click and brick” in voga qualche anno fa per cui i cittadini hanno la possibilità di accedere e dialogare con la PA scegliendo lo strumento per ciascuno più adeguato.
- Introdurre dei meccanismi premiali per favorire il ricorso agli strumenti più avanzati. Un cittadino che utilizza una piattaforma telematica per segnalare un problema di manutenzione urbana (del tipo fixmystreet) o che, più semplicemente, ricorre ad uno sportello telematico per accedere ad un servizio permette all’amministrazione pubblica di fare meglio spendendo di meno. Esattamente come avviene nel settore privato si potrebbe pensare di fidelizzare tale attività con dei crediti da poter utilizzare in altri servizi pubblici, ad esempio una tariffa scontata per l’accesso ad un museo pubblico.
- Promuovere la diffusione di standard aperti e di open data. Diverse pubbliche amministrazioni stanno promuovendo piattaforme avanzate per l’accesso alle informazioni e ai servizi, anche utilizzando applicazioni mobili. Il rischio è di produrre soluzioni isolate per cui il cittadino si trova davanti ad una molteplicità di applicazioni che non comunicano fra di loro. Finita questa prima sbornia di soluzioni è sicuramente utile ragionare su standard comuni e condivisi da tutte le pubbliche amministrazioni cosicché il lavoro svolto da un’amministrazione possa essere utilizzato da tutte le altre. Oltreoceano questo sta avvenendo con il servizio 311, il numero unico adottato da molte pubbliche amministrazioni per ricevere e accogliere segnalazioni da parte dei cittadini. Dopo il successo dell’iniziativa telefonica l’approccio condiviso è stato adottato dal web con l’iniziativa open311 per fare in modo che i diversi applicativi messi a disposizione del pubblico condividano le informazioni raccolte.
Nel nostro piccolo su questi approcci stiamo lavorando collaborando con quelle pubbliche amministrazioni che stanno sviluppando soluzioni innovative per dare voce ai cittadini nella gestione della cosa pubblica.
Insieme al Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e al Formez abbiamo già presentato MiaPA, una soluzione che, seguendo un approccio integrato, introdurrà strumenti innovativi di comunicazione e di ascolto dei cittadini. Si tratta di un esperimento, ma anche di una prima significativa esperienza per tentare di allinearci con le dinamiche più innovative in corso in molti altri paesi.
Ne riparleremo presto.
(1) Dertouzos M., La Rivoluzione Incompiuta. Per un’informatica centrata sugli esseri umani. Feltrinelli
(2) Selznick P., TVA and The Grass Roots. A study in The Sociology of Formal Organisation, University of California Press, Berkeley, 1949
(3) In productive Harmony: a briefing explanation of enviromental impact statements, U.S. Enviromental Protection Agency, Washington, 1977