Si può cambiare questo mondo? L’innovazione sociale come metodo
Alzi la mano chi, almeno una volta, non ha pensato che la risposta fosse si. Nonostante suoni come il sogno lontano di bambini, come la domanda retorica a cui tanti in tutta onestà credono di non dover più rispondere, gli innovatori sociali lavorano per cambiare questo mondo. Non necessariamente perché inguaribili sognatori ma perché convinti che l’innovazione di cui le nostre economie hanno vitale bisogno o sarà sociale o non sarà sostenibile. Così partono piccoli-grandi progetti, in cui ciascuno mette i propri sogni e la propria professionalità in relazione con quelli degli altri, secondo il modello della rete. E non succede nel Terzo settore né sotto altre epiche etichette … Allora dove? E come? Ne parliamo con Alberto Masetti Zannini, co-fondatore di the HUB Milano. A seguire l’intervista video e gli approfondimenti…da una lunga chiacchierata via skype.
14 Marzo 2011
Chiara Buongiovanni
Alzi la mano chi, almeno una volta, non ha pensato che la risposta fosse si. Nonostante suoni come il sogno lontano di bambini, come la domanda retorica a cui tanti in tutta onestà credono di non dover più rispondere, gli innovatori sociali lavorano per cambiare questo mondo. Non necessariamente perché inguaribili sognatori ma perché convinti che l’innovazione di cui le nostre economie hanno vitale bisogno o sarà sociale o non sarà sostenibile. Così partono piccoli-grandi progetti, in cui ciascuno mette i propri sogni e la propria professionalità in relazione con quelli degli altri, secondo il modello della rete. E non succede nel Terzo settore né sotto altre epiche etichette … Allora dove? E come? Ne parliamo con Alberto Masetti Zannini, co-fondatore di the HUB Milano. A seguire l’intervista video e gli approfondimenti…da una lunga chiacchierata via skype.
Chi parla?
Mi chiamo Alberto Masetti Zannini e sono uno dei tre fondatori di the HUB Milano.
Cosa è the HUB Milano?
The HUB Milano è il primo centro per l’innovazione sociale in Italia. Fa parte della rete internazionale The HUB che, ad oggi, conta una trentina di centri dislocati su tutti i continenti. Il proposito della nostra rete è creare spazi fisici al cui interno persone di diversa estrazione personale e professionale possano incontrarsi, lavorare e relazionarsi per dare vita a progetti, idee, imprese innovative con un impatto positivo sulla vita delle persone e del pianeta. La nostra è una rete chiusa, bisogna fare domanda per accedere. Fondamentalmente richiediamo un allineamento valoriale a quello che rappresentiamo: lavorare, ciascuno con la propria professionalità, per un mondo migliore, sfruttando al massimo il potenziale collaborativo delle reti on line e off line.
Cosa è l’innovazione sociale?
Qualsiasi tipo di innovazione – di prodotto, di servizio, di metodologia, di processo, di sistema – che possa avere un impatto positivo sulla vita delle persone e del pianeta. Questa è una definizione di innovazione sociale volutamente molto vaga “coniata” dalla Young Foundation che ne sottolinea la caratteristica fondamentale e cioè la finalità. Non è l’innovazione che ha un impatto sulla vita delle persone tout court, perché altrimenti anche Google sarebbe un’innovazione sociale…ma dal nostro punto di vista non è esattamente così. Gli interventi e i progetti di innovazione sociale sono volti alla risoluzione di problemi di natura socio-ambientale. Poi ovviamente ci sono delle aree di confine, delle zone grigie come in tutte le cose.
L’innovazione sociale può considerarsi un “approccio” all’innovazione tout court?
Dal nostro punto di vista, un domani tutta l’innovazione dovrà essere sociale. Questo significa che tutta l’innovazione dovrà venire incontro alla risoluzione dei problemi sociali e ambientali, ai bisogni delle persone del pianeta e al tempo stesso dovrà essere già “pensata” perché le ricadute – le cd innovation cascades – vengano prevenute nei loro aspetti più negativi nel momento stesso in cui l’innovazione viene sviluppata. Secondo molti di noi l’innovazione sociale diventerà una trasversalità di tutta l’innovazione proprio in quanto è parte di una riconsiderazione, di una trasformazione del nostro attuale assetto socio-economico che non è sostenibile, evidentemente, sotto diversi punti di vista. In tutti i settori – alimentazione, energia, conservazione ambientale – ci rendiamo conto che c’è qualcosa che non funziona, ogg,i nel “sistema mondo” e che non è qualcosa che possiamo semplicemente aggiustare e/o correggere agendo sulle parti esterne. Il sistema ha bisogno di una profonda ristrutturazione interna. E, paradossalmente, l’innovazione è un’arma a doppio taglio: è quella che, per certi versi, ci sta fornendo ogni giorno risposte più creative e efficaci ma per altri versi è quella stessa innovazione che ci ha portato dove siamo oggi.
Vuoi dire che quando progettiamo innovazione dovremo già considerarne le ricadute socio-ambientali?
Si, faccio un esempio molto semplice. L’automobile è stata una delle più grandi rivoluzioni nella storia dell’umanità. Milioni di persone hanno avuto accesso a un mezzo di trasporto che ha liberato noi tutti dall’essere fisicamente legati a una realtà circoscritta, stravolgendo la nostra relazione con i territori e con il pianeta. Ha stravolto al tempo stesso la maniera in cui costruiamo le nostre città: da piccole e attraversabili a piedi le città si ingrandiscono fino a diventare megalopoli. Dunque, l’introduzione di una innovazione nel campo della mobilità ha cambiato il modo in cui costruiamo e viviamo le città e il modo in cui costruiamo le città a sua volta ha trasformato il modo in cui noi ci relazioniamo gli uni agli altri al loro interno. Il punto è che l’impatto sociale dell’introduzione dell’automobile all’interno del sistema della pianificazione urbana non era stato minimamente preso in considerazione, all’origine. Noi dobbiamo riuscire ad arrivare al punto in cui questo tipo di reazione che l’innovazione scatena sia già considerata nel momento in cui l’innovazione viene introdotta.
Si tratta di adottare una più complessa metodologia di design …
L’innovazione di per sé è difficile da innescare ma soprattutto è difficile da prevedere negli effetti a cascata che può avere e nelle sue ricadute sociali e ambientali. Noi parliamo oggi della società dell’innovazione, siamo circondati da innovazioni costanti e ripetiamo che per restare nel mercato ogni impresa e ogni realtà deve essere innovativa. Quando scateniamo un’innovazione all’interno di un sistema di mercato, però, non consideriamo che cosa dobbiamo inserire nel processo di innovazione a livello metodologico perché prenda in considerazione l’impatto sociale e ambientale dell’innovazione stessa.
Ma come si può fare questo?
La riposta completa potrò dartela tra tre anni, perché ci sono due grossi progetti di ricerca che stiamo cercando di mandare avanti a livello europeo. Nel primo vogliamo “capire” come funzionano i sistemi emergenti per poi capire come si può introdurre una metodologia di design all’interno degli stessi. Gli effetti inaspettati e secondari di questo tipo di innovazione cadono sotto l’ombrello di “teoria dell’emergenza”, molto intersecata con la teoria delle reti e con la teoria del caos. Riuscire a disegnare metodologie che accompagnino l’emergere di questo tipo di conseguenze è parte del lavoro di ricerca che vogliamo fare con partner accademici e non, europei e non solo, proprio perché secondo noi si possono mettere in piedi metodologie concrete. Con il secondo progetto vogliamo capire più approfonditamente cosa è “l’innovazione sociale”, come definirne i parametri e come definire la relazione complessa che esiste tra reti, sostenibilità (soprattutto ambientale) e innovazione. Questi ultimi sono tre concetti chiave per l’evoluzione delle nostre società ed economie, ma raramente vengono studiati in relazione gli uni agli altri. Il capofila dei progetti è Università di Venezia, nella persona di David Lane, professore esperto di Teoria della complessità…diciamo che lui è la mente, noi siamo uno dei bracci operativi.
Tornando all’innovazione sociale, quanto è importante il contesto locale?
L’innovazione sociale è questo grandissimo ombrello che va dall’iperglobale all’iperlocale. Il punto centrale è proprio questo: per la realizzazione di soluzioni per le persone bisogna parlare con le persone, bisogna capire sui singoli territori come i problemi si traducono e si manifestano e quali sono, per quel territorio, le risposte. In alcuni contesti le risposte possono anche essere “copiate” da un’altra realtà ma in altri casi bisogna inventarsi risposte specifiche, ad hoc e nessuno le può dare se non le persone stesse, la società civile radicata su quei territori. Bisogna creare interazione efficace tra la società civile che ha la conoscenza del problema, il mondo imprenditoriale che ha gli strumenti finanziari per mettere in piedi iniziative più ambiziose per capacita di impatto e le realtà pubbliche che sono le tenutarie di questo tipo di relazione, essendo preposte a facilitarle. Questo tipo di triangolazione è fondamentale per il successo delle iniziative di innovazione sociale del futuro. Secondo noi si guarderà sempre di più a fenomeni ibridi, iniziative non riconducibili a un solo settore. Non si parlerà tanto di pubblico, privato, no profit perché solo attraverso la collaborazione tra diverse sfaccettature della società in cui viviamo riusciremo a trovare delle soluzioni veramente sostenibili.
Quanta e quale innovazione sociale c’è in Italia?
In Italia c’è tanta innovazione sociale, in molteplici forme. L’Italia ha una sua tradizione di collaboratività sui territori e questo ha comportato l’emergere di fenomeni interessanti e importanti. Penso ad esempio a Slow food o ai GAS, espressioni tipiche di innovazione sociale italiana in quanto radicate su attivismo e mobilitazione di reti di persone che hanno a cuore una particolare causa (nel caso specifico la preservazione di una eredità territoriale alimentare forse unica la mondo). Non se ne trovano di così cosi efficaci in altri parti d’Europa. In Italia forse l’on line funziona un po’ meno che altrove e questo è un aspetto interessante: mentre all’estero l’aspetto di virtualità riesce a catturare trasformazioni di natura sociale, in posti come l’Italia a muovere le persone è ancora la relazione più fisica, territoriale.