Crowdfunding civico, facciamolo all’italiana
A Bologna 448 tra persone, aziende e organizzazioni hanno già fatto Un Passo per San Luca, donando dai dieci euro in su (oltre 132mila euro in totale ad oggi), per il restauro del portico più lungo al mondo. “Non si tratta solo di raccogliere fondi, ma di dare a tutti la possibilità di contribuire, di fare del portico di San Luca un luogo al centro della vita sociale e culturale della città”, spiegano da Comune di Bologna e Comitato per il restauro del Portico di San Luca, promotori del progetto in collaborazione con Ginger, piattaforma di crowdfunding territoriale. E, a quanto pare, c’è più di qualche suggerimento da prendere. Qui gli spunti da una chiacchierata con Ivana Pais, sociologa e ricercatrice sul tema crowdfunding all’Università Cattolica di Milano e fondatrice dell’ICN – Italian Crowdfunding Network.
22 Gennaio 2014
Chiara Buongiovanni
A Bologna 448 tra persone, aziende e organizzazioni hanno già fatto Un Passo per San Luca, donando dai dieci euro in su (oltre 132mila euro in totale ad oggi) per il restauro del portico più lungo al mondo. “Non si tratta solo di raccogliere fondi, ma di dare a tutti la possibilità di contribuire, di fare del portico di San Luca un luogo al centro della vita sociale e culturale della città”, spiegano da Comune di Bologna e Comitato per il restauro del Portico di San Luca, promotori del progetto in collaborazione con Ginger, piattaforma di crowdfunding territoriale. E, a quanto pare, c’è più di qualche suggerimento da prendere. Qui gli spunti da una chiacchierata con Ivana Pais, sociologa e ricercatrice sul tema crowdfunding all’Università Cattolica di Milano e fondatrice dell’ICN – Italian Crowdfunding Network.
Crowdfunding civico: questo finto sconosciuto
Seppur entrato di recente e abbastanza prepotentemente nelle nostre discussioni su beni comuni, scarsità di risorse e partecipazione, il crowdfunding civico, tecnicamente, non si discosta molto dalle collette per la festa patronale o per il monumento in piazza centrale, familiari ai più. Non è un caso infatti che gran parte delle introduzioni al fenomeno citino, tra gli antesignani, la Statua della Libertà e la mega-colletta che nel 1884 ne rese possibile l’erezione a simbolo della Grande Mela.
Come ben spiegano le ragazze di Ginger – Gestione Idee Nuove Geniali Emilia Romagna (nb: una piattaforma nata al femminile), il crowdfunding è un processo di raccolta fondi dal basso, orientato a realizzare un progetto attraverso il coinvolgimento del pubblico che si identifica nei sui intenti (per intenderci: dal lancio di una start-up alla realizzazione di un evento all’incisione di un cd). In particolare, il crowdfunding civico è legato a cause comuni, per cui “le conseguenze positive non si limitano all’individuo, quanto piuttosto a una società che condivide cultura e valori”. Ivana Pais conferma che ciò che è più interessante nel crowdfunding civico, aldilà di ogni stringente definizione, è la logica generale: l’utilizzo del crowdfunding come modalità per la costruzione di bene pubblico in una forma ampia.
Modello "Italia"
“In generale, sul fronte dell’offerta il crowdfunding in Italia sta crescendo molto velocemente, sia in termini di piattaforme che nascono (dall’ultima mappatura sono emerese 43 piattaforme, di cui 27 attive) sia in termini di persone che presentano progetti”, spiega Ivana. “Siamo invece tendenzialmente in ritardo sia rispetto all’utilizzo di pratiche innovative sia rispetto al coinvolgimento e all’analisi dei finanziatori”. In sintesi: troppa offerta, poca domanda. Con due importanti eccezioni: le piattaforme settoriali e quelle locali.
“Le piattaforme di crowdfunding locale – sottolinea Ivana – sono una specificità tutta italiana. A livello locale, succede un po’ quello che succede a livello settoriale. Consideriamo ad esempio la piattaforma italiana Music Raiser, che permette di dar vita a progetti musicali attraverso lo strumento della raccolta fondi dal basso. Nata dall’idea di musicisti e con la collaborazione di operatori business, la piattaforma è riuscita a radicarsi nel settore, inserendosi in una dinamica industriale più ampia. La stessa cosa sta succedendo, con numeri più limitati e con trend di impatto minore, con le piattaforme di local crowdfunding. Sono piattaforme come Ginger (Emilia Romagna) Finanziami il tuo futuro, (Puglia) Kendoo (Bergamo) che esistono su un territorio e sono fortemente orientate sul crowdfunding civico. Tra queste Ginger è particolarmente interessante per la collaborazione aperta con la PA locale".
Questi modelli – secondo l’analisi di Ivana – potrebbero essere in teoria considerati "senza speranza, perché non potranno mai scalare. Ma in realtà sono molto interessanti e possono raggiungere una loro sostenibilità”.
Dunque, se non è nella scalabilità, in cosa risiede la sostenibilità delle piattaforme di crowdfunding civico a forte impronta territoriale? “Queste piattaforme lavorano molto bene, chi più chi meno,sull’integrazione tra l’on line e l’off line e sull’utilizzo della piattaforma solo come un pezzo di un processo strettamente legato a dinamiche di sviluppo locale".
In altri termini, non abilitano semplicemente una raccolta fondi fine a se stessa, ma permettono di integrarla in un filone e in un sistema più ampio che è quello della partecipazione e della creazione di valore sul territorio. "A mio modo di vedere – conclude Ivana – si tratta di un modello molto interessante, seppur da molti snobbato per via dei numeri. Non avremo mai i numeri di Kickstarter, allora meglio concentrarci su modelli alternativi che garantiscano sostenibilità nei contesti di riferimento. Queste piattaforme rappresentano, appunto, il tentativo di costruire un modello che parta da noi e agevoli un meccanismo più vicino alle specificità italiane".
Non è una colletta fine a se stessa
Dunque meglio ripeterlo a chiare lettere: il crowdfunding civico per sua natura e per sua sostenibilità non si ferma alla colletta.
Allora cosa è? Chiara Camponeschi, nel secondo volume del suo lavoro “Enabling City” propone una sintesi delle opportunità legate a una buona azione di crowdfunding civico, sottolineando in particolare l’opportunità di: usare la visibilità di un progetto per incoraggiare l’alfabetizzazione civica; fare leva su una campagna di successo per aprire il dibattito sulla finanza cittadina; impegnarsi aldilà dei soldi; ampliare l’impatto del crowdfunding creando opportunità di tutoraggio. (per leggere l’infografica in dettaglio consulta Enabling City, Volume 2 di Chiara Camponeschi, trad. italiana p. 139)
"Crowdfunding civico: istruzioni per l’uso" – in Enabling City, Volume 2 di Chiara Camponeschi (trad. italiana) p. 139
PA nella crowd: si o no?
Ivana Pais sottolinea un aspetto non da poco. La legislazione italiana, per una volta, non rappresenta un ostacolo.
“Le limitazioni normative che abbiamo – spiega – riguardano piuttosto le equity che in questo caso interessano poco. Per quanto riguarda le altre forme di crowdfunding – rewarding based, social o donation based – non vedo ostacoli normativi perché la regolazione è molto leggera.”
Dulcis in fundo la PA. Abbastanza evidente che il crowdfunding civico promosso dalla PA non solo può ma dovrebbe rappresentare un’opportunità per contribuire e partecipare oltre la donazione finanziaria. Se così non fosse, ricorda Ivana, il rischio ricorrente e fondato è che l’invito a contribuire risulti ridondante rispetto all’obbligo di pagare le tasse. (A questo proposito è molto vivace il dibattito attorno al finanziamento dal basso per il sistema scolastico, per cui pure sono on line iniziative di civic crowdfunding come schoolraising.it)
In questa prospettiva, il crowdfunding nella PA – o meglio la PA nel crowdfunding – non è che un tassello di un più ampio piano di community management, in cui la "raccolta soldi" può essere strategicamente usata come uno strumento per la creazione e il rafforzamento di comunità. Questo crowdfunding civico aiuta la PA a migliorare la trasparenza e l’interazione, assicurando la profilazione del cittadino attivo, degli attori del territorio e delle loro motivazioni e offrendo una piattaforma di partecipazione pro-attiva fino a facilitare una vera e propria revisione dei processi di design dei servizi.