Periferie e Spazio pubblico a #SuburvanRev #SCE2014
Quando oggi si parla di periferie si usano spesso termini come “rammendare”, “ricucire”, ricostruire relazioni sociali, senso di comunità. Come se in un qualche passato questi quartieri abbiano avuto identità, dinamicità sociale, e il problema del loro isolamento derivasse solo dall’averli progettati con trascuratezza, dimenticando di realizzare dei collegamenti con il centro cittadino.
18 Ottobre 2014
Chiara Pignaris
Quando oggi si parla di periferie si usano spesso termini come “rammendare”, “ricucire”, ricostruire relazioni sociali, senso di comunità. Come se in un qualche passato questi quartieri abbiano avuto identità, dinamicità sociale, e il problema del loro isolamento derivasse solo dall’averli progettati con trascuratezza, dimenticando di realizzare dei collegamenti con il centro cittadino.
In realtà le periferie storiche, quelle sorte prima dei fenomeni dei sobborghi abusivi o delle villettopoli, rappresentano il “peccato mortale dell’architettura moderna” (La Cecla) e furono pianificate a tavolino da grandi firme dell’architettura proprio con il proposito di creare dei ghetti isolati.
Lo spazio pubblico assai spesso esiste, articolato e persino sovrabbondante ma, pensato senza gli abitanti, ha avuto fin dall’inizio uno scarso successo sociale (es. Gallaratese, Zen, Corviale). Immigrazione, illegalità, disoccupazione, abbandono scolastico, riduzione dei servizi sociali hanno acuito il problema, portando senso di abbandono e insicurezza.
Oggi le strade, le piazze, i parchi delle periferie appaiono in generale degradati e deserti. Le strutture come scuole, centri sportivi, palestre, quando esistono, sono recintate come dei bunker. Lo spazio pubblico è luogo di nessuno e al tempo stesso spazio privo di regole dove ogni forma di disagio può trovare casa, dall’occupazione abusiva con caravan e baracche al graffitismo, alle corse scommessa, alle sfide tra bande, all’offerta di servizi illegali.
Eppure proprio in questi luoghi pieni di contraddizioni e tensioni sociali si stanno a poco a poco sviluppando interessanti esempi di riscatto e capacità di autorganizzazione: adozioni di aree verde, autocostruzione di orti comunitari, azioni di public art, mercatini solidali, merende interculturali, ecc. Cos’è cambiato?
Uno degli enzimi di questo risveglio potrebbe essere il cambiamento sociale innescato dalla crisi economica, che sta spingendo nei quartieri periferici studenti, disoccupati, giovani famiglie, artisti, precari, professionisti e piccoli imprenditori falliti, immigrati italiani e stranieri, espulsi dai centri storici ormai sempre più in mano ai grandi investitori. Un melting pot di soggetti portatori di nuovi bisogni, consumatori di tecnologie ma anche affamati di mobilità sostenibile e di attenzione sociale, che sta invitando a guardare le periferie con occhi nuovi, come fucine di innovazione sociale.
Nelle periferie iniziano a fiorire cultura alternativa e attivismo civico, e anche se a causa della condizione di disagio non sarà facile mantenere costante nel tempo la partecipazione e la disponibilità all’apertura, questi esempi positivi potrebbero moltiplicarsi.
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