Niente soldi, niente governance: addio alla banda larga?
Due giorni fa Il Comitato Nazionale per la banda larga si è svuotato. Aiip, Fastweb, Wind, Vodafone, Teletu, Tiscali, Welcome Italia e British Telecom, infatti, per protestare contro le linee guida per il passaggio alla fibra ottica pubblicate dal Comitato stesso a inizio settembre, hanno dichiarato di voler abbandonare il tavolo. In pratica rimane solo Telecom.
16 Settembre 2010
Tommaso Del Lungo
Due giorni fa Il Comitato Nazionale per la banda larga si è svuotato. Aiip, Fastweb, Wind, Vodafone, Teletu, Tiscali, Welcome Italia e British Telecom, infatti, per protestare contro le linee guida per il passaggio alla fibra ottica pubblicate dal Comitato stesso a inizio settembre, hanno dichiarato di voler abbandonare il tavolo. In pratica rimane solo Telecom.
Il percorso verso internet veloce nel nostro paese, subisce un’altra (l’ennesima) battuta d’arresto. Le belle speranze del Comitato Nazionale per la NGN (New Generation Network) sono svanite e sembra che tutto debba cominciare nuovamente da capo. Nato a febbraio dello scorso anno il Comitato ha lo scopo di aiutare l’AGCOM ad individuare soluzioni tecniche, economiche ed organizzative che agevolino la realizzazione della rete nazionale di nuova generazione. La sua prima prova, però è fallita.
Qualche giorno fa, infatti, sono diventate di pubblico dominio le linee guida “per la disciplina della transizione verso le reti NGN”, un documento di una trentina di pagine che avrebbe dovuto essere la sintesi delle consultazioni di tutti gli "aventi causa" e che ha scatenato i malumori degli operatori alternativi (i cosiddetti OLO Other Licensed Operatori).
L’Agcom precisa inoltre che – come specificato in un comunicato stampa del 10 settembre scorso – il comitato Ngn non risulta sciolto.
In sostanza gli OLO hanno accusato il presidente Vatalaro di aver tradito la missione di Comitato, producendo un documento fatto su misura per Telecom Italia e che “non rappresenta trasparentemente le diverse posizioni espresse da ciascuno degli operatori".
In realtà la difesa di Vatalaro è abbastanza semplice: tra tutte le indicazioni proposte, nel documento conclusivo sono state inserite quelle più concrete, più facilmente realizzabili e maggiormente vantaggiose per il paese.
I problemi nel dettaglio
Le linee guida si possono riassumere in maniera brutale in:
1) divisione del territorio nazionale in tre fasce di “redditività, sulla base delle quali individuare le priorità di intervento.
2) Coesistenza della rete di rame con una rete di nuova generazione per un determinato periodo
3) Compartecipazione degli investimenti per la nuova rete da parte di tutti gli operatori, i quali dovrebbero stendere cavi distinti (uno per ogni operatore interessato
4) Riconoscimento di un “indennizzo” all’operatore che ha diretto lo scavo e affidamento ad esso della gestione di quel tratto di rete
5) Passaggio definitivo al rame, entro tempi previsti dall’AGCOM, con una tabella di marcia decisa dall’operatore proprietario della vecchia rete di rame.
Dato che i primi 4 punti sono gli stessi che sta seguendo un altro consorzio di imprese Fibra per l’Italia (i quattro maggiori OLO: Wind, Fastweb, Vodafone, Tiscali) che ha deciso di sviluppare una propria rete in fibra ottica in alcune città italiane. Il punto dolente è il quarto.
In sostanza nel documento viene detto che, visto che lo Stato non ha i soldi per ri-acquistare la rete in rame di Telecom, il processo di sostituzione delle centraline (da rame a fibra) deve essere stabilito dall’operatore che attualmente le detiene (cioè quasi esclusivamente Telecom).
Soldi e decisioni
Al di là di scoprire chi ha torto o chi ha ragione in una vicenda piuttosto complessa, ciò che dovrebbe premere di più è far uscire l’Italia da una situazione che comincia ad essere preoccupante. Proviamo a fare il punto.
- Il costo per una rete di nuova generazione che copra in maniera soddisfacente tutto il paese si aggira attorno ai 30 miliardi di euro.
- In una recente intervista a Panorama Francesco CAIO, autore dell’omonimo rapporto da cui è iniziata tutta la discussione sulle reti di nuova generazione ha affermato che per coprire il 50% maggiormente redditizio del territorio italiano, sarebbero sufficienti 10 miliardi
- Il Viceministro Romani, più di un anno fa, aveva annunciato che, in tempi di crisi, la finanza pubblica avrebbe potuto racimolare al massimo 800 milioni.
- Oggi si tira la cinghia e dal Ministero si apprende che, forse, con l’aiuto delle Regioni, sono disponibili 100 milioni.
Insomma di soldi pubblici è meglio non parlare. Se, però, dal punto di vista delle decisioni o della governance (citata da Carlo Mochi Sismondi in un suo recente editoriale), i risultati sono quelli prodotti dal Comitato NGN, la situazione da difficile diventa disperata.
Non possiamo che augurarci che la politica comprenda l’importanza di questo tema, e che al più presto la banda larga e le strategie per aumentare la competitività del paese attraverso le infrastrutture di comunicazione ricompaiano all’interno dell’agenda di Governo.
AGGIORNAMENTO DEL 20 Settembre
Il 17 settembre scorso la situazione sembra essersi sbloccata. Stando ad una nota del Viceministro Romani la riunione del tavolo NGN (da lui stesso istituito) si è conclusa con la definizione di un modello per la realizzazione di un’infrastruttura di base "volto ad assicurare la massima armonizzazione con le infrastrutture esistenti". Nella nota si legge anche che nella prossima settimana dovrebbe essere avviata una consultazione pubblica e un "veloce e accurato" censimento delle infrastrutture in fibra ottica presenti nel paese.
Purtroppo non siamo riusciti a trovare nè sul sito del AGCOM, nè sulla pagina del Comitato NGN, nè sul sito del Dipartimento per le Comunicazioni maggiori dettagli su questo "modello" (che non sembra essere quello contenuto nelle linee guida pubblicate in questo articolo). Nella nota si specifica che maggiori dettagli saranno resi disponibili solo dopo la seconda riunione del tavolo, prevista tra due settimane.