“Umanizzazione delle cure: la buona volontà non basta, serve preparazione” di Giampiero Maruggi

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Il tema dell’umanizzazione delle cure è centrale per un’Azienda sanitaria e non può essere lasciato alla sensibilità dei singoli, ma deve rimandare a uno standard condiviso a livello aziendale. Per questo l’Azienda Ospedaliera Regionale San Carlo di Potenza ha scelto di collaborare con la Scuola di Umanizzazione della Medicina nella realizzazione del progetto formativo "Umanizzazione di reparto". Ce lo racconta Giampiero Maruggi, Direttore Generale dell’Azienda.

11 Settembre 2013

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Redazione FORUM PA

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Il tema dell’umanizzazione delle cure è centrale per un’Azienda sanitaria e non può essere lasciato alla sensibilità dei singoli, ma deve rimandare a uno standard condiviso a livello aziendale. Per questo l’Azienda Ospedaliera Regionale San Carlo di Potenza ha scelto di collaborare con la Scuola di Umanizzazione della Medicina nella realizzazione del progetto formativo "Umanizzazione di reparto". Ce lo racconta Giampiero Maruggi, Direttore Generale dell’Azienda.

Cosa ha spinto la sua azienda a collaborare con la Scuola di Umanizzazione della Medicina?

Arrivando al San Carlo circa un anno fa mi sono reso conto del fatto che questa azienda è caratterizzata da un buon livello di offerta sanitaria, ma che parte dei suoi problemi nasceva e nasce da una scarsa attenzione all’umanizzazione delle cure. Certo, sotto l’ombrello del concetto di "umanizzazione" si può mettere di tutto e di più, ma è proprio "di tutto e di più" che noi vogliamo realizzare. Credo che non si debba seguire una sola linea di sviluppo di questo tema ma ci debba essere un radicamento pervasivo di azioni di vario genere, che oltre a realizzare obiettivi concreti perseguano anche un meta-obiettivo, ossia creare una cultura: l’humus della "umanizzazione".

È importante far comprendere giorno dopo giorno a chi lavora in questa azienda che essa sta ponendo un’attenzione particolare alla questione dell’umanizzazione delle cure, e che certi comportamenti che prima erano affidati alla sensibilità dei singoli devono invece tendere a realizzare uno standard condiviso a livello aziendale. Su un aspetto così strategico un’azienda non può far affidamento sull’indole individuale, deve evitare una "schizofrenia" nei comportamenti, perché dalla differenza di questi comportamenti dipende la valutazione che i pazienti danno dell’azienda. Insomma se la nostra attività fosse la vendita di automobili, il difetto non starebbe tanto nel prodotto, di per sé ottimo, ma nel post-vendita, ovvero in tutto ciò che ruota attorno all’autovettura.

È chiaro che, avendo la Direzione identificato questa come una delle direttrici primarie di sviluppo delle sue attività, la scelta di aderire alla Scuola di Umanizzazione è stata conseguenza naturale, anche perché abbiamo bisogno non solo di un expertise ma anche e soprattutto di confronto continuo con punti di vista esterni, perché solo attraverso il dialogo possono nascere idee e metodiche nuove. Il gioco è assolutamente a somma positiva, dal momento che le cose da fare nell’ambito della comunicazione tra l’Azienda e i pazienti sono davvero molte.

In cosa si è concretizzata questa collaborazione?

Tra le tante iniziative intraprese significativa è l’adesione alla proposta formativa "Etica della Notizia". La comunicazione con i mass media ha infatti dei riverberi importantissimi in ultima istanza sulla produttività di aziende come la nostra, che vivono di un mercato fatto di libera scelta: noi puntiamo ad avere un bacino di utenza più largo possibile ma che soprattutto si avvicini a noi convintamente, dal momento che la comunicazione esterna è essenziale come pure quella interna (oggetto del percorso formativo "Umanizzazione di Reparto", anch’esso realizzato in collaborazione con la Scuola di Umanizzazione della Medicina).

È importante poi costruire una rete di iniziative intorno al paziente, e in questa prospettiva stiamo costituendo un laboratorio di medicina narrativa e a breve inaugureremo la biblioteca del San Carlo, immaginata proprio nell’ottica di offrire un servizio in più al paziente ed ai suoi cari. Con l’aiuto di volontari abbiamo organizzato anche un servizio di lettorato legato alla biblioteca, pensando ai pazienti che non hanno la possibilità o la voglia di leggere autonomamente.

Abbiamo inoltre istituito la "Consulta del Volontariato": intorno al San Carlo gravitano diverse associazioni e c’era un problema di accreditamento delle stesse, alcune delle quali lamentavano un diverso livello di riconoscimento ed accettazione nelle varie divisioni dell’ospedale. Io credo che anche in questo settore l’Azienda debba mirare ad uno standard condiviso, giacché il volontariato è qualcosa su cui il San Carlo, come azienda, intende puntare. La consulta è una sorta di piccolo parlamento in cui siedono sia rappresentanti delle associazioni che dipendenti del San Carlo, ed è un luogo in cui ci si confronta, si discute e si valutano proposte.

Abbiamo poi migliorato l’accoglienza del Pronto Soccorso, uno dei punti più delicati dell’ospedale con i suoi 50.000 accessi, mettendo schermi televisivi, un angolo giochi per i bambini e soprattutto un desk di accoglienza gestito sia dal personale dipendente che da volontari. Tutto ciò non basta: abbiamo in mente molte altre iniziative.

Su quali altri aspetti pensate di lavorare?

Io considero le Aziende Sanitarie come vere e proprie "aziende", che quindi si muovono in un mercato "contendibile" dove ci sono dei concorrenti – sia pure pubblici – uniti da una missione comune ma di fatto divisi nell’offerta di salute al cittadino, perché il fatto che un paziente si rivolga altrove per una prestazione che possiamo offrire anche noi incide negativamente sui conti della sanità regionale. Perciò credo che occorra lavorare sulla comunicazione in tutte le sue sfaccettature e migliorare alcuni aspetti che non sono mai stati curati nell’ambito della sanità pubblica, come ad esempio creare uno spirito di appartenenza forte, dal momento che l’amore per la propria azienda spesso si traduce in amore per il proprio lavoro. Su questi e su altri aspetti c’è ancora molto da fare, ma per un manager non c’è nulla di più gratificante che lavorare in un contesto in cui vi sono enormi margini di miglioramento. 

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