La PA crea valore se…facilita e anticipa

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La città può essere vista come una piattaforma a servizio dei cittadini, delle imprese e dei suoi “city user”. Al suo interno la PA può giocare un doppio ruolo: di facilitazione della creazione di valore locale; di anticipazione di fenomeni della realtà economico-sociale

23 Aprile 2019

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Renato Galliano

Direttore Economia Urbana e Lavoro, Comune di Milano

Photo by Davide Pietralunga on Unsplash -

Riferendosi alle possibili azioni di governo a livello locale, la PA crea valore se riesce a considerare la città, o il territorio di riferimento, quale piattaforma a servizio dei cittadini, delle imprese e dei suoi “city user”. Considerare la città una piattaforma significa che le infrastrutture, i servizi, le policy e le azioni sono sviluppati in co-progettazione, o in accordo, con gli operatori privati. In questo senso più che parlare di “governo” si parla di “governance” e questo richiede maggiore chiarezza di obiettivi e di programmazione rispetto alla modalità di governo tradizionale.

È necessario avere un orizzonte strategico di lungo periodo con obiettivi alti, che si declinano in una filiera verticale, nei diversi livelli della PA, sino ad arrivare sul tavolo delle città. La programmazione a livello locale deve però essere molto fluida per adeguarsi ai rapidi cambiamenti che la tecnologia e la società richiedono nel governo delle città, anche dal punto di vista “smart city”. Dunque, una visione integrata, di interdipendenza delle politiche urbane, di integrazione di tutte le attività di intervento nella città: mobilità, energia, welfare, housing sociale, inclusione, servizi al cittadino.

All’interno della piattaforma la PA può giocare un doppio ruolo. Il primo è la facilitazione della creazione di valore locale; il secondo è l’anticipazione di fenomeni della realtà economico-sociale, o in altri termini la facilitazione della transizione verso i nuovi paradigmi del vivere e del produrre.

Facilitare la creazione di valore

Un ente pubblico locale facilita la creazione di valore se nei suoi interventi favorisce l’apertura del mercato; quello economico e quello sociale, creando un “capitale urbano” coesivo e attrattivo; sperimenta forme ibride di produzione; interviene in aree di fallimento di mercato; agisce sulle filiere con aggregazione di soggetti. 

L’apertura del mercato

Per Milano ciò ha significato, ad esempio, supportare il rientro in ambito urbano della manifattura, innovativa e compatibile, connettendo gli attori della ricerca con gli operatori economici, piccoli e grandi, con i fab lab sperimentatori di applicazione tecnologiche all’ambito produttivo, con gli artigiani detentori di un sapere manuale; raccontando ciò che esiste e offrendo luoghi e momenti di visibilità e networking. Ma anche l’ambito della innovazione sociale è una forma di apertura di mercato: si affacciano nuovi attori e nuove soluzioni, anche tecnologiche, a bisogni urbani di cura, inclusione, rigenerazione e aggregazione. La rete delle startup e degli incubatori, gli operatori dell’agricoltura peri-urbana che innovano includendo fasce sociali deboli e sperimentano nuovi modelli circolari di produzione, sono esempi di apertura di mercato a favore di nuovi operatori che necessitano, almeno nella fase iniziale, di una attenzione pubblica che ne faciliti il superamento degli ostacoli e delle barriere alla loro entrata nel mercato.

Forme ibride di produzione

Un secondo aspetto si riferisce alla sperimentazione di forme ibride di produzione di servizi e di beni. Una intersezione tra mondo del profit e del non profit che include le B corp e le “imprese sociali”, che integra il mondo del commercio con quello sociale e culturale, che offre spazi urbani rigenerati per lavorare, studiare, socializzare, divertirsi e “consumare” cultura. Molto spesso la sperimentazione di forme di produzione ibrida risponde anche a un’altra criticità: intervenire dove il mercato non arriva, nelle aree di così detto “fallimento di mercato”.

Concentrare gli investimenti infrastrutturali e di servizi nelle aree periferiche della città significa facilitare lo sviluppo di quartieri che presentano dinamiche sociali e produttive non riconosciute come appetibili dal mercato. Nel contempo vuol dire creare socialità, comunità e sicurezza rendendo più attrattivi questi luoghi. Ne sono un esempio alcuni ambiti della “sharing economy” nati con una finalità di condivisione e aggregazione: dalle social street allo scambio di servizi, beni e spazi. Una economia della condivisione che parte dal basso, che usa nuovi sistemi di finanziamento quali il crowdfunding, che traguarda anche obiettivi di inclusione sociale. In altri casi, i servizi condivisi si sono trasformati in veri e propri servizi di mercato: la condivisione di mezzi di mobilità (car, bike, scooter, monopattini, ecc.) e di housing, ne sono l’esempio emblematico. La presenza delle grandi piattaforme digitali ne ha favorito lo sviluppo, non solo locale ma internazionale, mostrando in alcuni casi anche aspetti “estrattivi di valore” con una quota del valore prodotto che viene esportata e sottratta al sistema locale. In altri casi, come ad esempio l’affitto breve di case modifica il mercato degli affitti a sfavore di soggetti stabili, quali le famiglie, con una minore offerta a loro destinata. Intervenire nel facilitare la produzione di valore significa anche, per l’ente pubblico, porsi il problema di dove “atterra” il valore prodotto in una ottica di massimizzazione dei processi inclusivi a favore delle fasce che più difficilmente hanno accesso a questo nuovo surplus.

Agire sulle filiere

Infine, la creazione di valore condiviso significa anche una preferenza di intervento verso le filiere anziché verso i singoli settori. In questo caso l’economia circolare rappresenta forse l’esempio più chiaro. Pensare al “ciclo chiuso”, ad un design o una progettazione che, dalle sue fasi iniziali, tenga conto del riuso e del riciclo dei beni produce un valore in termini di minore impatto e minore spreco a favore della intera collettività ma rappresenta anche una diminuzione di costi produttivi per le aziende e di minori costi per i servizi pubblici (si pensi ad esempio al costo della raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani).

Anticipare i fenomeni

Il secondo assunto, ovvero quello per la PA di giocare il ruolo dell’anticipatore, si sostanzia nell’accompagnamento dei processi trasformativi e nel contempo di regolamentazione degli stessi.

Non sono cose nuove: nel momento di passaggio da una economia prettamente fordista basata sulla manifattura pesante ad una basata sui servizi, il ruolo della Amministrazione è stato fondamentale per attutire le crisi sociali e di lavoro ma anche nel partecipare alla nascita di nuove competenze richieste dal mercato mantenendo un’attenzione alle fasce di popolazione che venivano escluse da queste dinamiche.  Facilitare la transizione verso nuovi paradigmi agisce su due leve contemporaneamente: creare condizioni per cui nuovi ambiti economici possano svilupparsi con rapidità ed efficienza e fornire un quadro chiaro di regole semplificando i processi amministrativi.

La quarta rivoluzione industriale

La così detta quarta rivoluzione industriale (il 4.0 per intendersi) non è solo un aspetto che riguarda i processi interni alle imprese integrando i processi che coinvolgono l’intera filiera (la progettazione, la produzione, i servizi, la logistica, la vendita, il consumo, ecc.). Ha forti ripercussioni anche per la Pubblica Amministrazione. Si pensi ad esempio alla gestione del territorio e alla necessità di integrare spazi produttivi, come le aree industriali, con servizi, infrastrutture fisiche e digitali, mobilità, servizi di socialità, e così via. In breve, realizzare un ambito urbano che integra le diverse funzioni. Le nuove forme produttive, che grazie al digitale diventano compatibili con gli ambiti urbani, richiedono una diversa gestione del territorio. Sfumano i confini tra luoghi di produzione di beni, di servizi commerciali e luoghi sociali o dell’abitare. Viene richiesta una indifferenziazione funzionale urbanistica che permetta rapidi adeguamenti alle nuove necessità e potenzialità offerte in particolare dallo sviluppo tecnologico.

Due esempi possono chiarire: la guida assistita e la produzione di dati. Il percorso verso il “driverless”, la guida senza autista, vivrà probabilmente un percorso di avvicinamento che gradualmente integrerà gli attuali sistemi di guida con funzioni automatiche di aiuto al guidatore. Tutto questo è basato sulla trasmissione di segnali che da fonti esterne, sensori, posizionate sul territorio dialogano con altri sensori posizionati nell’auto. Questo vale anche per molti altri ambiti. La quarta rivoluzione industriale, e le sue infrastrutture come il 5G, non solo aumenterà la velocità di connessione: modificherà il nostro modo di vivere, lavorare, abitare, curarsi, assistere, studiare e così via.  Potrà creare nuovo valore e la PA ha un ruolo fondamentale.

L’infrastrutturazione, anche digitale, del territorio è tema della PA; sia essa realizzata in partnership pubblico privata, o in altra forma, richiede comunque un intervento pubblico importante, lungimirante e inclusivo. Accompagnare la trasformazione significa comprendere e anticipare questi cambiamenti tenendo conto della asincronicità di alcuni dei fenomeni: ad esempio il tempo dell’urbanistica, medio lungo, non coincide con quello del mutamento tecnologico o sociale. Le strade non sono pronte per ricevere delle autovetture che richiedono la rilevazione di una grande mole di dati. La sensoristica, l’internet delle cose si sta sviluppando ma richiede tempo, programmazione e investimenti sul territorio. L’integrazione dei diversi settori diventa indispensabile e, per quanto riguarda il pubblico, richiede un’integrazione tra i diversi livelli della programmazione superando la logica dei silos tematici verso un approccio orizzontale con al centro il territorio inteso come insieme di capitale naturale, costruito, umano, tecnologico e sociale

Proprietà e uso dei dati

L’esempio permette inoltre di toccare anche il tema della proprietà e dell’uso dei dati. Di chi sono i dati che vengono prodotti dai sensori che sono collocati ai margini delle strade per facilitare la circolazione e che uso se ne può fare? Più semplicemente, come sta succedendo a Milano, rilevare, opportunamente anonimizzati, i percorsi effettuati dalle biciclette in sharing, oltre a permettere di programmare meglio la presenza e la manutenzione delle rastrelliere potrebbe dare indicazioni sui percorsi delle piste ciclabili da realizzare, programmare i tempi dei semafori, individuare nuove aree potenzialmente commerciali o per aprire nuovi servizi.

Il tema dei dati, discusso a livello mondiale, apre scenari contrastanti, e il ruolo del pubblico è fondamentale. A livello locale la PA possiede una mole di dati impressionante ed accrescerà il proprio ruolo. Il possibile utilizzo di questi dati è un valore che la PA può creare per sé e per la comunità offrendoli agli operatori per la realizzazione di nuovi servizi. Anche in questo caso la strada da compiere è ancora lunga ma è urgente che la PA, appunto per creare valore per la collettività, superi l’atteggiamento difensivo e diventi consapevole di essere uno dei principali player di questo mercato non solo nel suo ruolo di “regolatore” ma anche di possessore e utilizzatore del dato. Il rischio che si corre è che questo valore venga “estratto” dalle piattaforme internazionali e la società e la Pubblica Amministrazione debbano rincorrere o “subire” l’uso dei dati o intervenire per evitare storture o fenomeni di esclusione sociale o economica. La PA quindi crea valore se insieme a facilitare l’assorbimento delle innovazioni da parte dei cittadini e delle imprese, ad esempio con processi di semplificazione amministrativa, attiva processi per cui il valore viene distribuito o quanto meno crea le condizioni perché non avvengano processi che tendono ad escludere aree periferiche o comunità più deboli.

Un primo passo potrebbe essere la sperimentazione dei distretti smart, non semplici operazioni di real estate, bensì  aree geografiche test di processi di innovazione tecnologica e sociale, nei quali sperimentare una programmazione integrata (territoriale, della mobilità, energetica, sociale, infrastrutturale, …) semplificando le regole amministrative, facilitando la nascita di soggetti ibridi, l’uso dello spazio pubblico da parte delle imprese e dei cittadini e trasformando  “il dato” in bene comune a servizio della comunità.

Sulla base dell’esperienza di Milano, si rafforza l’obiettivo di considerare la città come piattaforma per la partecipazione degli operatori sia pubblici che privati, dei gruppi di persone, delle associazioni, delle piccole imprese, delle startup, delle multinazionali e così via.  Una partnership tra pubblico e privato nella quale non solo si definiscono i ruoli dei due soggetti, e l’integrazione tra loro, ma nella quale gli obiettivi sono definiti da un processo di co-creazione degli stessi.

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