La sperimentazione delle città intelligenti guarda ai modelli dell’Industria 4.0

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Nei nuovi progetti l’Internet of Things, i Big Data e le soluzioni di Data Science permettono di immaginare Smart City con una innovazione digitale aperta a tutti i servizi e a tutti i processi in modo integrato, con una Governance e un approccio alla conoscenza che si collega a quello delle Fabbriche 4.0

13 Settembre 2017

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Mauro Bellini, direttore responsabile di Internet4Things

Uno dei tratti del nostro tempo è quello della “contaminazione”. Non esiste fenomeno, sociale o professionale che non sia frutto di relazioni con altri fenomeni che ne favoriscono o scoraggiano l’adozione o lo sviluppo. Le Smart City sono, per definizione, un fenomeno che sollecita e stimola la contaminazione innovativa, spesso nella forma di relazione con altri processi di innovazione. Un esempio lo si può intravvedere nei modelli di sviluppo delle città intelligenti con il fenomeno dell’Industria 4.0. Un progetto strutturale di gestione dell’innovazione nelle imprese che, nato nel perimetro degli stabilimenti e dei magazzini, sta esprimendo oggi chiaramente una capacità di innovazione, di integrazione e di trasformazione digitale, che fa sentire i suoi effetti ben oltre le linee di produzione, gli stabilimenti, l’automazione di fabbrica o le supply chain.

Il ponte tra le città intelligenti ripensate per fornire migliori servizi e le imprese ripensate nell’ottica Industria 4.0 il punto di sintesi non è tanto nella capacità di portare innovazione tecnologica, ma nella possibilità di immaginare nuovi spazi e nuove forme di convivenza e di lavoro. Se guardiamo oggi al senso di alcuni dei progetti più importanti di Smart City non possiamo non intravvedere la volontà di un approccio alla relazione tra cittadino e ambiente pubblico, tra persona e servizi pubblici che nasce da una visione nuova, più ampia e più creativa ma soprattutto integrata.

L’immaginazione è uno dei segni di questo cambiamento di prospettiva e si accompagna alla esigenza di una nuova forma di Governance dei progetti a cui viene chiesto di garantire la visione digitale d’insieme dei progetti. L’intelligenza delle nuove Smart City non si misura più nella capacità di sorprendere con “effetti speciali”, ma nella creazione di un rapporto di conoscenza reciproca tra città e cittadini. Perché sono intelligenti le città pensate per conoscere i cittadini e proiettate a farsi conoscere dai cittadini stessi. E il segno di quest’altro passaggio lo ritroviamo nel salto tra una visione guidata dalla tecnologia e una visione guidata dai dati. Da questo salto prendono forma città proiettate a diventare grandissime, immense, “fabbriche di dati”, con i data scientists, che trasformano i dati in conoscenza, che aiutano a “immaginare” e attuare – partendo dalla conoscenza – una nuova generazione di servizi pubblici e una nuova teoria di rapporti tra cittadini e “cosa pubblica”.

Se guardiamo alla prima fase nello sviluppo delle Smart city ritroviamo lo sviluppo di progetti che usavano le migliori tecnologie disponibili, non necessariamente e solo quelle digitali, per migliorare i servizi, per ridurre i costi, per alzare il livello della qualità della vita dei cittadini. La tecnologia abilitava una nuova interpretazione dei servizi, con un approccio guidato dalla specializzazione. Lo specialista dei pagamenti digitali che portava innovazione nel ticketing a livello di (alcuni) servizi pubblici, era quasi sempre scollegato dalle innovazioni attuate in altri ambiti. La progettualità guidata solo dalla tecnologia aveva il vantaggio di portare risultati già nel breve periodo, ma aveva lo svantaggio di creare silos tra diverse tipologie di servizi e di vincolare tutti i successivi progressi alle roadmap di innovazione connesse alla tecnologia adottata.

Il passaggio alla nuova fase delle Smart city arriva nel momento in cui si incontrano tre fenomeni che hanno iniziato il loro cammino e il loro sviluppo in modo indipendente: l’Internet of Things, i Big Data Analytics e una maggiore cultura di Governance digitale.

Questi tre fattori non sono arrivati a incontrarsi a caso. Come sempre accade ci sono i pionieri che vanno a cercare il nuovo portando nelle città quei sensori, quelle videocamere, quei rilevatori di temperatura o luminosità, quegli apparati per controllare la qualità dell’aria o per gestire in modo più intelligente l’illuminazione pubblica, per costruire una visione di insieme, sperimentando un percorso di conoscenza che passa dall’uso della tecnologia per risolvere uno specifico problema, all’uso della tecnologia per generare conoscenza.

L’Internet of Things non è apparsa dal nulla e nemmeno è nata come effetto di un renaming in chiave di marketing di apparecchiature come sensori e rilevatori, forse poco accattivanti. L’Internet of Things è arrivata perché quel ruolo lì, vale a dire quello di leggere l’ambiente, l’aria, il rumore, la temperatura, la luce, la presenza di persone, la velocità di scorrimento delle auto o la presenza di animali, è stata resa possibile dalla disponibilità di tecnologie di rilevamento che hanno visto in poco tempo un aumento esponenziale delle performance e una contemporanea diminuzione dei costi. Un fenomeno che ha reso possibile l’adozione su larghissima scala di queste apparecchiature in tantissimi ambienti che un tempo non avrebbero mai potuto essere considerati per queste operazioni.

Se poi considerate che nello stesso periodo in cui questi apparati iniziavano a diffondersi iniziavano anche a generare dati il cui valore era palesemente ed evidentemente superiore a quello necessario per ottenere maggiore efficienza. La concomitanza di soluzioni, di piattaforme di Big Data e di analytics ha messo in moto un processo virtuoso che spinge a ripensare i progetti di innovazione delle città partendo dall’assunto della centralità del dato e dalla necessità di una imprescindibile visione di insieme, per evitare di cadere nei limiti funzionali delle logiche di silos.

Di innovazioni di eccellenza, ma isolate e i cui effetti benefici erano misurabili solo nello specifico perimetro scelto per quell’innovazione, ce ne sono state tante, e hanno sofferto il peso dell’isolamento, ovvero hanno espresso solo in misura marginale le loro potenzialità. La mancanza di un disegno complessivo ha vincolato molti progetti alle scelte tecnologiche e ha limitato i benefici a pochi cittadini, spesso i più dotati dal punto di vista della curiosità e della sensibilità nell’uso delle tecnologie.

Ora lo scenario sta cambiando e in questo senso un contributo è arrivato anche da un fenomeno apparentemente lontano dalle città intelligenti come quello dell’Industria 4.0. L’approccio integrato, la visione progettuale basata sulla capacità di diffondere intelligenza in tutte le componenti dell’azienda per recuperare conoscenza, per analizzare prodotti e servizi e per progettare azioni e automatismi in grado di migliorare e velocizzare la produzione, ha favorito e accelerato il consolidamento di una cultura dei dati e della data science. Ecco dunque che grazie alla diffusione di IoT e di soluzioni di Big data, con lo sviluppo e l’arrivo di nuove competenze come appunto i data scientists e con la prospettiva concreta di indirizzare lo sviluppo verso piattaforme open data, la storia dei progetti sta iniziando ad essere nativamente concepita con una visione di insieme e con un piano di implementazione che pensa, ancora una volta nativamente, ad essere sostenibile.

Con questa prospettiva si aprono scenari capaci di mettere in relazione diversi piani di sviluppo con diverse tipologie di innovazione: la mobilità cittadina con il ticketing che si apre al digital payment e che si aggancia con lo smart building negli uffici pubblici; la sicurezza ambientale nelle strade e negli edifici come piattaforma anche per il risparmio energetico e per valutare la gestione dei carichi di lavoro e indirizzare progetti di smart working o ancora la gestione di un rapporto con le strutture sanitarie che riduce e ottimizza la necessità di una presenza fisica e che nello stesso tempo è in grado di attuare un rilevamento e uno scambio di dati personali legati alla salute da remoto, con il massimo controllo sulla sicurezza dei dati e sulla privacy.

Tutto questo ci conduce verso il grande tema della Governance intesa come la capacità di creare e coordinare i progetti con una visione di insieme e in modo integrato. Il tutto in un percorso che parte dalla definizione di regole e di linee guida comuni, di obiettivi condivisi e di visioni anche politiche e culturali.

Con la sintesi tra una innovazione sostenibile e una politica attenta alla Governance prende forma così una sperimentazione di Smart City che segue le tracce dell’Industria 4.0. Un percorso che si appresta a creare città con una intelligenza accessibile e usabile in tutte le sue dimensioni e che lascia intravvedere un ponte tra l’intelligenza delle città e l’intelligenza delle imprese, in una visione integrata tra Smart city e Industria 4.0.

Su questi temi il 25 ottobre a Milano all’interno di ICity Lab si terrà il convegno “Internet of Things: sperimentazioni di città intelligenti”

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