Zygmunt Bauman nel suo breve e denso libro uscito postumo
“Città di paure, città di speranze” (Castelvecchi, Roma, 2018) dice tra l’altro:
La città è la discarica delle ansie e delle apprensioni generate dall’incertezza e dall’insicurezza legate alla globalizzazione, ma al tempo stesso il laboratorio in cui mettere in campo, sperimentare ed eventualmente adottare i mezzi per placarle e dissiparleIn questo confuso momento forse una delle maggiori incertezze per il nostro futuro è dato dalla certezza quasi matematica che i nostri figli vivranno peggio di noi, che dureranno una gran fatica a trovare lavoro, che forse dovranno rimanere ai margini. Ai margini delle nostre città, fatte di molteplici estraneità che faticano a trovare una sintesi.Quasi 3 milioni di NEET (ragazzi dai 15 ai 34 anni che non studiano e non lavorano), una disoccupazione giovanile tra le più alte d’Europa (solo la Spagna sta peggio), un numero di laureati tra i 25 e i 34 anni pari al 25,4% contro una media europea del 38,8%, quasi un milione di giovani che hanno anche rinunciato a cercare lavoro. Bastano poche cifre per mettere in evidenza che l’Italia “non è un Paese per giovani”. È anzi un Paese di vecchi (età media più alta d’Europa), e per vecchi (la percentuale maggiore d’Europa di spesa per il welfare che va nelle pensioni).A fronte di quello che vediamo, e che possiamo a buon diritto chiamare “furto di futuro”,
non c’è nessuna città che si possa definire “smart” se non mette in primo piano il futuro dei suoi giovani. Un futuro che non è solo dare i mezzi per la sopravvivenza, ma aprire le porte a quella consapevole partecipazione civica che può essere data solo dal lavoro e dalla appartenenza attiva alla comunità locale. Un futuro che è fatto anche di sostenibilità dello sviluppo: sostenibilità ambientale per non depauperare quello che ai nostri giovani dobbiamo lasciare in eredità, ma anche sostenibilità economica che non li carichi di debiti e sostenibilità sociale che costruisca innovazione empatica e opportunità di inclusione e accoglienza per tutti, nuovi e vecchi cittadini, perché i nostri figli vivano in un mondo solidale dove si costruiscano più ponti (possibilmente solidi) che muri.Molte città hanno lavorato per questo obiettivo e, quando parlo di città, non intendo solo le amministrazioni comunali, ma l’intero tessuto urbano. Startup, formazione abilitante, alleanze tra imprese, amministrazioni ed Università costituiscono, come direbbe Bauman, il “laboratorio” per ridurre le ansie e le paure di un futuro da cui si potrebbe essere esclusi. Nel prossimo
ICity Lab un importante
appuntamento congressuale il 18 ottobre mattina a Firenze metterà a confronto le politiche attive messe in atto dalle città, ma anche dalle alleanze pubblico-privato, dai soggetti economici e dalle Università per creare occasioni di lavoro e per accompagnare ed orientare i giovani ad essere protagonisti e attori del loro futuro. Lo coordinerò io stesso e vedremo le esperienze di Reggio Emilia, di Firenze, di Cremona, dell’alleanza stretta da grandi aziende ICT con Università e centri di ricerca. Vi aspetto.