A Roma c’è lo SCEC: lo sconto che cammina al fianco dell’Euro
Contrastare la crisi, trovare soluzioni intelligenti ed alternative alla grande distribuzione e rivitalizzare il commercio di vicinato. A Roma, nel quartiere San Lorenzo, da qualche tempo è cominciata una sperimentazione completamente dal basso ed un “po’ folle”: lo SCEC è una moneta complementare che fa bene all’economia e all’identità locale. L’obiettivo non è dichiarare guerra alle distribuzione organizzata, ma arricchire di significato l’esperienza di abitare una città.
14 Luglio 2014
Martina Cardellini
Contrastare la crisi, trovare soluzioni intelligenti ed alternative alla grande distribuzione e rivitalizzare il commercio di vicinato. A Roma, nel quartiere San Lorenzo, da qualche tempo è cominciata una sperimentazione completamente dal basso ed un “po’ folle”: lo SCEC è una moneta complementare che fa bene all’economia e all’identità locale. L’obiettivo non è dichiarare guerra alle distribuzione organizzata, ma arricchire di significato l’esperienza di abitare una città.
La Nave folle
Nella piazza del mercato del quartiere San Lorenzo a Roma c’è la Nave dei folli: è qui che ho conosciuto lo SCEC, lo Sconto ChE Cammina. A capo della Nave, generoso e affascinante banco di verdure e frutti bio, ci sono “due matti”. Così si definiscono Francesco Blasi e Francesco Mulas, due professionisti che nel 2009 hanno pensato di imbarcarsi in questo progetto, un po’ folle e molto ambizioso. Perché folle? Il progetto consiste in “un accordo che dà valore a un pezzo di carta – racconta Francesco Blasi – che naturalmente è fiduciario”. L’iniziativa ha preso vita in un momento di piena crisi per il Paese, un periodo molto complesso per far partire una simile idea. I dati Istat registrano infatti una tendenza costante al calo delle vendite durante gli ultimi 6 anni. Secondo un’indagine sui consumi delle famiglie italiane emerge che la maggioranza compra prodotti alimentari presso supermercati e ipermercati. Solo il 5,8% preferisce il mercato. Inoltre, rispetto a qualche anno fa, il 30,4% delle famiglie dichiara di aver ridotto la quantità dei prodotti alimentari acquistati e il 6,5% di aver diminuito sia la quantità che la qualità. Si spende meno e si tendono a preferire gli hard discount.
Nel 2008 è nata l’associazione Arcipelago SCEC, che ha ereditato le numerose esperienze di buoni locali presenti sul territorio italiano: Ecoroma, Scec, Kro, Thyrus e Tau. L’iniziativa, su base volontaria, è ormai presente a livello nazionale con 11 “isole” ed è nata proprio per contrastare il richiamo della grande distribuzione organizzata e per promuovere un modo nuovo, o forse antico, di orientare i consumi al fine di creare benessere per il territorio. L’ambizione del progetto è attivare circuiti di spesa capaci di irrorare l’economia locale, indirizzando i consumatori verso commercianti, produttori e artigiani locali.
Come funziona il buono locale
Gli SCEC si utilizzano insieme all’euro: sono buoni locali che affiancano la moneta ufficiale (qui il video). Come qualsiasi altro buono, uno SCEC dà diritto a ricevere un vantaggio: in questo caso uno sconto. Ogni commerciante che aderisce ad Arcipelago SCEC sceglie la percentuale di sconto, pagabile in SCEC, a sua discrezione – dal 10% fino al 30%. 4 kg di pesche, anziché 6 euro, potrebbero costare 5 euro e 1 SCEC. Queste banconote che “camminano” al fianco dell’Euro, un progetto grafico di Giacomo Faiella, “sono pezzi di carta del valore di mezzo, uno, due, cinque, dieci, venti e cinquanta euro di sconto”. Nel 2010 l’Agenzia delle Entrate ne ha sancito la legittimità fiscale.
Per aderire all’iniziativa ed iniziare a usare i buoni è necessario attivare gratuitamente il proprio conto online SCEC. Oggi a San Lorenzo anche molte persone anziane fanno la spesa con gli SCEC. “È stato un successo e un’emozione vedere gli anziani con questi pezzi di carta in mano”, dice Francesco. Il valore degli SCEC, in realtà, va al di là della mera possibilità di ricevere uno sconto. Uno degli obiettivi fondanti, oltre alla valorizzazione dell’economia locale, è “avvicinare a un contatto diretto con i produttori e far riflettere sul significato dei soldi” spiega Francesco. Suggerire un percorso d’acquisto alternativo alla grande distribuzione organizzata rappresenta un primo passo per contrastare il drenaggio di risorse locali.
Tessuto urbano che cambia
Ma dove sono finiti commercianti, produttori e artigiani locali nelle nostre città? Sono sempre meno e tendono a soffocare in tessuti urbani che, trasformandosi in scenari sempre più standardizzati e globali, tolgono loro ossigeno. Stiamo parlando di esemplari che sono ormai in via d’estinzione, soprattutto nei paesaggi contemporanei delle grandi metropoli. A Roma, secondo i dati del Cna, in una decina di anni è crollato del 37% il numero delle botteghe artigiane, mentre è schizzato ad un +219% quello della ristorazione veloce, pizzerie, paninoteche, etc. Così, mentre si perdono falegnamerie, piccole botteghe e laboratori, la città si riempie di fast food e mega-store.
Le città ridisegnano il proprio volto, omologandolo a quello di tutte le altre. E se è vero che le città e il modo in cui si organizzano influenzano profondamente i nostri consumi e le nostre abitudini, questa transizione dovrebbe interessarci molto da vicino. Ogni città sta diventando uguale ad ogni altra, in quanto contraddistinta e punteggiata dai soliti e ripetuti/ripetibili segni[1]. I layout standardizzati delle grandi catene commerciali spogliano le strade della loro unicità, creando dei cloni urbani. Non saremo forse arrivati a Trude? “Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi lettere, avrei creduto d’essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito. […] Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle stesse piazze. Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie imballaggi insegne che non cambiavano in nulla”[2].
Un progetto per la comunità
La progressiva scomparsa del commercio di vicinato, quale effetto dell’affermarsi di modelli di consumo globalizzanti, sta determinando la perdita di benefici non solo economici, ma anche qualitativi per le comunità[3]. Se da un lato il commercio locale contribuisce a rafforzare una forte identità comunitaria, al contrario le grandi catene seminano omologazione nel tessuto urbano. In molte città italiane artigiani, commercianti, ma anche casalinghe, professionisti e disoccupati di tutte le età e classi di appartenenza utilizzano quotidianamente gli SCEC e cooperano per mantenere in forma economia, identità e comunità locali. Il punto non è dichiarare guerra ai giganti della grande distribuzione, sarebbe più che folle! Ma arricchire di significato l’esperienza di abitare una città. Lo SCEC è in fondo uno strumento che offre anche l’opportunità di rimettere a fuoco il rapporto tra comunità e territorio. Un esercizio complesso, ma imprescindibile che dovremmo abituarci a frequentare per prendere parte ed essere parte di città e comunità più smart.