Christian Iaione illustra il paradigma della città collaborativa
Sta sorgendo un nuovo paradigma, quello della città come uno spazio collaborativo, nel quale i beni culturali vengono co-gestiti da cinque tipologie di attori: pubblico, privato, sociale, cognitivo e civico. Questo quinto protagonista deve diventare sempre più il perno per un ripensamento della governance urbana da parte di chi ha il compito di fare da regia della governance e cioè il pubblico
4 Novembre 2016
Patrizia Fortunato
Ci sono diversi paradigmi dalla città intelligente, alla città resiliente o ecologica, alla città creativa. Sta sorgendo un nuovo paradigma quello della città come uno spazio collaborativo.
Christian Iaione, Professore di diritto pubblico UniMarconi e direttore del LABoratorio per la GOVernance dei beni comuni della LUISS Guido Carli, ci descrive quest’ultimo paradigma nel quale i beni culturali vengono co-gestiti da cinque tipologie di attori: pubblico, privato, sociale, cognitivo e civico.
“Questo quinto protagonista, il cosiddetto attore civico che emerge sulla scena come portatore di conoscenza, scienza, tecnologie e capacità, deve diventare sempre più il perno per un ripensamento della governance urbana da parte di chi ha il compito di fare da regia della governance e cioè il pubblico” lo sostiene il prof. Iaione, il quale precisa che “questa cooperazione non deve operare, come spesso avviene, una sorta di retrocessione della delega dal pubblico al cittadino, non deve essere l’ennesima forma di esternalizzazione, deve costituire la base per ricostruire lo Stato. Questo implica una riduzione delle asimmetrie nella distribuzione del potere all’interno della città”.
Per fare tutto questo ci vuole una solida collaborazione tra due attori fondamentali nell’avvio di questi processi di costruzione di nuove istituzioni e imprese di comunità: Iaione li individua nell’attore cognitivo, scuole e università in primis, e nell’attore sociale, cioè la miriade di organizzazioni del terzo settore. Attraverso il disegno e l’avvio di processi di collaborazione civica da parte di questi due attori e il coordinamento dei cinque protagonisti dello sviluppo urbano si possono costruire “nuovo diritto, nuove istituzioni e nuove economie nelle città”.
In linea con questa idea della città come bene comune, “prevale una visione diversa dalla smart city, che punta sull’accesso universale ai servizi, sull’apertura dei processi e la co-gestione, trovando fondamento sia nella Costituzione che nel diritto alla città oggi riconosciuto dall’Agenda Urbana di UN Habitat III”. Iaione continua “dobbiamo fare in modo che questi processi partecipativi dentro le città siano finalizzati a creare posti di lavoro, a generare strumenti che consentano l’accesso ad alcuni servizi infrastrutturali basilari, come l’accesso alle infrastrutture di comunicazione digitale”.
È lecito credere che questa nuova visione di città risponda parzialmente al principio di sussidiarietà orizzontale disciplinato dalla Costituzione italiana, ma Iaione mette in guardia sul fatto che “il principio di sussidiarietà orizzontale si presta ad essere interpretato in maniere che hanno giustificato la deresponsabilizzazione del pubblico. La stessa etimologia di subsidium, di sussidiarietà, evoca l’idea che sostenga l’altro. Si presta a strumentalizzazioni dunque. Siccome il pubblico non è più in grado di fare da solo per la progressiva contrazione delle finanze pubbliche, siccome il tentativo di esternalizzare al privato è fallito (perché spesso I meccanismi di sostenibilità non si reggono), non dobbiamo utilizzare il civico come uno strumento di questo graduale smarcamento dei poteri pubblici e anche graduale dequalificazione dell’intervento pubblico”.
Iaione evidenzia il caso dei musei. La cultura del disinvestimento genera una dequalificazione dell’offerta culturale. “Stiamo sostituendo il custode, le guide, con cittadini che per “arrotondare” accettano di prendere un rimborso come volontari nella funzione di vigilanza, mentre imprese culturali di giovani sarebbero in grado di generare valore se potessero gestire questi musei oppure imprese che hanno professionalità elevatissime e potrebbero erogare i cd. servizi aggiuntivi in grado di trasformare gli spazi culturali nei nuovi crocevia della città.”
È ammesso chiedersi come sia possibile attuare questo modello di welfare urbano e connettere i diversi protagonisti in gioco che, lo ripetiamo, afferiscono al mondo istituzionale, economico, sociale, cognitivo e civico.
Le città, le periferie, i territori urbani di snodo, i quartieri diventano i luoghi dove le interazioni sociali si cristalizzano e generano una nuova voce, ridanno voce politica alla comunità, quindi l’dea di cittadinanza nasce anche dall’esigenza dei cittadini di occupare lo spazio urbano. Iaione puntualizza “nasce l’esigenza più che di occupare uno spazio fisico di agire, di essere dei soggetti che non si limitano a ripulire muri, ma soggetti che co-governano le risorse inutilizzate nella città e questa è la vera distinzione che passa fra sussidiarietà e collaborazione civica. L”idea è che i cittadini diventino attori politici nel senso istituzionale del termine, dei soggetti con i quali bisogna immaginare e costruire nuove forme di governo della città”.
Christian Iaione illustra le caratteristiche specifiche del protocollo metodologico e di come debba adattarsi alle condizioni contestuali dei territori.
“Stiamo cercando di generare un protocollo metodologico che sia il più possibile universale e quindi applicabile in diverse realtà territoriali e un prototipo di forma di amministrazione collaborative che sia in grado di gestirlo. È importante generare dei risultati che siano funzionali e coerenti con le esigenze e le condizioni locali, rispettando il genius loci. Cerchiamo di avere un approccio che sia da una parte universale, dall’altro semplice e adattivo (più che adattabile). Il protocollo metodologico per esempio a Reggio Emilia viene utilizzato nella città per generare il Collaboratorio un’istituzione-incubatrice di economia collaborativa in cui i cinque attori, in particolare gli attori del mondo sociale e civico, diventano gli attori del processo di sviluppo economico locale e di ripensamento dei servizi alla persona. In chiave di innovazione sociale, il progetto Collaboratorio Reggio è un percorso di co-progettazione. L’8 e 9 novembre ci sarà una sorta di “Stati Generali” delle forze della collaborazione civica di Reggio in cui soggetti appartenenti alle cinque tipologie di attori urbani diventeranno sostanzialmente coloro i quali scriveranno le linee guida, quindi il DNA e i principi di governance di questo futuro laboratorio aperto. Il laboratorio nasce per essere un’istituzione di democrazia economica locale, non il classico incubatore, non un luogo dove le persone semplicemente si incontrano e fanno coworking, ma un luogo dove si generano nuove istituzioni e nuove forme di impresa sociale per i servizi alla persona con un’ottica di produzione aperta e collaborativa, quindi tutto ciò che verrà prodotto al suo interno sarà prodotto in open source, cioè sarà automaticamente patrimonio di tutti e tutti potranno beneficiarne. Il processo anticipa nei fatti anche il metodo di lavoro che il laboratorio adotterà che dovrà essere quello di coinvolgere costantemente tutte le realtà locali interessate a partecipare ai diversi round di co-progettazione e sperimentazione”.
Collaboratorio Reggio è il primo laboratorio aperto, ma le iniziative non si fermano qui. Anticipa Iaione “stiamo collaborando anche con il Comune di Bologna per infrastrutturare l’Ufficio per l’Immaginazione Civica. Questo ufficio sarà lo strumento di accompagnamento del regolamento sulla collaborazione per i beni comuni urbani sui quali Bologna ha deciso di puntare. Il regolamento da solo non bastava, ci voleva e ci vuole un’istituzione che abiliti e capaciti l’azione collettiva e collaborativa dei cinque attori, qui in funzione di produzione e rigenerazione dei beni comuni. L’ufficio sarà il compagno istituzionale dello strumento regolatorio”.
Una struttura di accompagnamento nel processo di governarce è necessaria per consentire a queste comunità di coalizzarsi e avere gli strumenti tecnici e professionali per mettersi in relazione in modo paritetico. Per generare sinergie e connessioni tra gli attori intorno a scopi o beni comuni, precisa Iaione, “occorre l’assistenza di cinque competenze: l’expertise giuridico-amministrativo, urbanistico-architettonico, di sostenibilità economica, comunicazione e facilitazione dei processi o design dei servizi”.
Spostando l’attenzione su altri progetti e città, a Roma LabGov sta conducendo una sperimentazione in chiave di innovazione tecnologica e cognitiva che va decisamente nella direzione di generare un’idea di Smart City più giusta e collaborativa.
L’idea è di costruire infrastrutture e servizi di interesse comune in cui le reti di quartiere o distretto siano co-gestite e co-governate. “Stiamo ad esempio – continua Iaione – parlando di reti wireless aperte e reti di produzione distribuita di energia che sono le infrastrutture che possono mettere tutti in condizione di contribuire al progresso materiale e spirituale della società (art. 4 Cost.)”.