Dal Bando periferie all’Agenda urbana nazionale

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Il Bando periferie ha ben intercettato l’esigenza diffusa tra Comuni e Città Metropolitane di trovare risorse per dare attuazione ad azioni integrate spesso già disponibili a uno stadio avanzato di progettazione. Forse anche a questo è da ricondurre la scelta del Governo di finanziare tutti i progetti presentati, aggiungendo alla dotazione finanziaria originariamente prevista ulteriori risorse fino a raggiungere gli oltre due miliardi complessivamente richiesti dai Comuni

18 Dicembre 2017

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Paolo Testa, Capo ufficio studi, ANCI

Il Bando periferie pubblicato dal Governo nel maggio del 2016 è un piccolo “evento epocale” nella storia delle politiche urbane del nostro Paese. Per la prima volta, le città attivano un processo di formulazione di progetti di rigenerazione urbana che integrano interventi fisici di trasformazione e riqualificazione a interventi immateriali di welfare, innovazione sociale, sviluppo economico. Tra i soggetti beneficiari del bando, oltre ai Comuni capoluogo, sono state previste le Città Metropolitane, enti di recente istituzione e quindi chiamate per la prima volta ad agire nelle politiche di rigenerazione urbana, intesa come politica di area vasta. Infine, la dotazione economica dell’intervento (che arriva a mobilitare quasi 4 miliardi di euro complessivi) raggiunge una dimensione europea, finalmente paragonabile agli stock finanziari dei piani pluriennali messi in campo, ad esempio, dai governi francese e inglese.

Come detto, il primo elemento di grande interesse è la dimensione dell’impatto che il Bando potrebbe generare: complessivamente, i 2.177 interventi previsti dai 120 progetti candidati interessano il territorio di 445 Comuni italiani (considerando i 348 Comuni interessati dai progetti delle Città Metropolitane) per una popolazione complessiva pari a 22.913.218 abitanti.

Il Bando prevedeva originariamente l’allocazione di risorse pari a 500 milioni di euro da assegnarsi a progetti aventi ad oggetto “la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle Città Metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia”. Quella degli enti locali è stata una risposta importante, che ha visto la presentazione di progetti da parte di tutti i capoluoghi di Provincia e della quasi totalità delle Città Metropolitane, che hanno cumulato una richiesta di finanziamenti per un ammontare complessivo pari a due miliardi e 61 milioni di euro. Una risposta che evidenzia come il bando abbia ben intercettato l’esigenza diffusa tra Comuni e Città Metropolitane di trovare risorse per dare attuazione ad azioni integrate spesso già disponibili a uno stadio avanzato di progettazione. Forse anche a questo è da ricondurre la scelta del Governo di finanziare tutti i progetti presentati, aggiungendo alla dotazione finanziaria originariamente prevista ulteriori risorse fino a raggiungere gli oltre due miliardi complessivamente richiesti dai Comuni.

Il fatto che il Bando prevedesse la possibilità di presentare anche progetti di carattere preliminare (salvo l’impegno di approvare entro 60 giorni dalla firma della convenzione il relativo progetto definitivo) e che tra i criteri di valutazione ci fosse la “qualità e innovatività del progetto sotto il profilo organizzativo, gestionale, ecologico, ambientale e architettonico” ha consentito ai Comuni di candidare anche proposte più originali, non rispondenti unicamente ai vincoli definiti tradizionalmente dai player finanziari ma orientate a “innescare un processo di rivitalizzazione economica, sociale e culturale del contesto urbano di riferimento”, come recita testualmente il Bando.

Il co-finanziamento a carico dei Comuni (che complessivamente supera 1,7 miliardi di euro) è ripartito in modo molto articolato rispetto alle diverse fonti: 272 milioni derivano da risorse dei Comuni, 488 milioni da altri finanziamenti, 905 milioni derivano da investimenti privati (in questa quota sono considerati anche i rilevanti investimenti di aziende di diritto privato ma di proprietà pubblica). Ulteriori 116 milioni di Euro derivano da altre fonti di finanziamento.

ANCI e Urban@it hanno individuato alcuni ambiti prevalenti in cui ricondurre gli interventi. Guardando solo alle tipologie principali, vediamo che:

  • L’ambito che ha maggiore incidenza sul valore complessivo dei progetti, corrispondendo al 14,8% del totale, è quello relativo alla riqualificazione, trasformazione, bonifica delle aree dismesse. Si tratta tanto di edifici che hanno perso il proprio uso precedente (ex industrie, ex caserme, ex ospedali) quanto di aree non edificate che si configurano come brown fields per il ruolo svolto in passato e poi venuto meno (ex aree ferroviarie, ex terreni industriali).
  • Quasi altrettanto rilevanti in termini quantitativi (13,8% del totale) sono gli interventi volti alla riqualificazione dello spazio pubblico: si tratta di interventi di restyling, ripavimentazione, abbattimento di barriere architettoniche e arredo urbano di piazze, marciapiedi, aree mercatali.
  • Risorse corrispondenti al 12,6% dell’ammontare complessivo dei progetti sono attribuite all’ambito mobilità e trasporto pubblico locale. Sempre in questo ambito, un ulteriore 4,5% delle risorse va a coprire progetti di mobilità ciclabile.
  • Anche la domanda abitativa viene affrontata in misura importante (l’11,7% del monte risorse totale) con progetti di edilizia residenziale pubblica, social housing e modelli innovativi di co-housing.
  • A conferma della grande articolazione degli interventi, troviamo poi una lista molto lunga di “problemi urbani” che vengono affrontati dai progetti: lo sviluppo economico e il lavoro (realizzazione di spazi di co-working, l’attivazione di incubatori di start-up, la realizzazione di spazi produttivi per l’artigianato e l’industria 4.0); la scuola (riqualificazione degli edifici scolastici, efficienza energetica, messa in sicurezza, cura delle aree verdi); l’inclusione sociale, la cultura, lo sport, la sicurezza del territorio.

Il percorso di trasformazione delle città italiane avviato dal Bando si può dispiegare seguendo due diversi scenari positivi. In realtà, ce ne sarebbe un terzo, negativo, che non voglio neppure prendere in considerazione: qualcosa va storto nei meccanismi di erogazione dei finanziamenti o, anche, il passaggio dagli studi di fattibilità alla concreta esecuzione dei lavori si rivela più complicato e lungo del previsto e i Comuni non riescono a portare a compimento tutti i progetti, per cui gli interventi si realizzano solo in parte lasciando sul territorio un panorama di opere incompiute e di comunità indebolite, come purtroppo è già accaduto in passato per analoghi grandi programmi nazionali di rigenerazione urbana.

Nel primo scenario positivo, invece, le procedure di progettazione/gara/affidamento/realizzazione si compiono secondo le aspettative, i Comuni utilizzano bene le risorse disponibili e gli interventi immaginati dai progetti si realizzano nei tempi e nelle modalità previste dal bando.

Ne esiste poi uno ancora migliore, quello che tutti auspichiamo: quello in cui non solo gli interventi vengono realizzati ma, tramite la comunicazione reciproca, lo scambio di esperienze e la riflessione all’interno della comunità di interessi dei diversi attori del bando, si innesca un processo virtuoso che partendo dalla conoscenza profonda dei problemi delle periferie e passando per la definizione delle priorità, porta alla creazione di una agenda destinata a generare un cambiamento positivo e duraturo nelle nostre città. Quell’Agenda urbana nazionale che consentirebbe anche al nostro Paese di cambiare passo nell’approccio alla rigenerazione urbana, per superare la logica del bando occasionale per dare vita a un programma aperto che coordina e promuove una progettualità integrata e assiste i Comuni aiutandoli a sfruttare tutte le leve finanziarie attive trasformandole nel vero moltiplicatore di cui le risorse straordinarie possono diventare il semplice innesco.

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