Dal frigo alla pattumiera: un percorso a senso unico?

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Un’ennesima contraddizione del vivere grandi città è quella legata al cibo. Se da un lato il consumismo ci invita a gettare cibi commestibili dall’altro cresce la fame, ma paradossalmente proprio in quelle regioni del pianeta dove lo stile di vita usa e getta è più diffuso. Negli Stati Uniti si getta in media il 40% degli alimenti venduti. In Italia lo “spreco” costa circa 8,7 miliardi e un piano nazionale punta a ridurre del 50% questa cifra nei prossimi 10 anni. La crisi e la crescente attenzione degli italiani agli sprechi hanno creato un terreno più che adatto ad accogliere politiche ad hoc in materia, anche perché l’intelligenza di un contesto urbano si misura anche e soprattutto dalla propria sostenibilità.

23 Giugno 2014

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Martina Cardellini

Un’ennesima contraddizione del vivere grandi città è quella legata al cibo. Se da un lato il consumismo ci invita a gettare cibi commestibili dall’altro cresce la fame, ma paradossalmente proprio in quelle regioni del pianeta dove lo stile di vita usa e getta è più diffuso. Negli Stati Uniti si getta in media il 40% degli alimenti venduti. In Italia lo “spreco” costa circa 8,7 miliardi e un piano nazionale punta a ridurre del 50% questa cifra nei prossimi 10 anni. La crisi e la crescente attenzione degli italiani agli sprechi hanno creato un terreno più che adatto ad accogliere politiche ad hoc in materia, anche perché l’intelligenza di un contesto urbano si misura anche e soprattutto dalla propria sostenibilità.

Sprechi e costi

“La città di Leonia rifà sé stessa tutti i giorni” ha scritto Calvino a proposito della più sprecona tra tutte le città invisibili. Ma chi vorrebbe vivere a Leonia? Se “l’opulenza di Leonia si misura delle cose che ogni giorno vengono buttate via per fare posto alle nuove”, l’intelligenza delle città secondo le direttive di Europa 2020 si misura anche in base a quante cose ogni giorno non vengono scartate. In linea con la Roadmap per una Europa resource-efficient, il Parlamento Europeo ha chiesto un’azione collettiva immediata e intensa per dimezzare lo spreco attuale (quasi 90 milioni di tonnellate) entro il 2025. La riposta dovrà essere rapida e strategica perché oltretutto, secondo le stime, il dato potrebbe crescere entro pochi anni fino ad aumentare del 40%. I rifiuti alimentari comportano costi e impatti per l’ambiente che non possiamo davvero più permetterci.

La FAO ha da poco realizzato un report sulla Food Wastage Footprint. Lo studio, i cui esiti sono rappresentati in questo video, indaga la questione e ne mette in evidenza la ricaduta in termini di spesa economica ma anche d’impatto ambientale.

Ogni anno in tutto il pianeta gettiamo 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, pari a un terzo di tutto il cibo che produciamo. Taste the Waste, documentario prodotto nel 2010 dal tedesco Valentin Thurn, descrive a livello globale il fenomeno dei rifiuti alimentari. Già alcuni anni fa il panorama era davvero impressionante. Come immaginiamo che possa evolvere lo scenario quando a breve anche paesi come Cina e India acquisiranno gli stessi trend di consumo occidentali? Ad oggi i dati sono allarmanti, soprattutto se messi a confronto con i costi ambientali e con gli 870 milioni di persone in tutto il pianeta che soffrono la fame. La riduzione dello spreco alimentare costituisce un passo imprescindibile nella lotta contro la fame nel mondo.

In Italia ogni anno il cibo che dal frigo passa alla puttumiera corrisponde a 8,7 miliardi di euro, ovvero lo 0,5% del Pil, e genera emissioni pari a 4 milioni di tonnellate di CO2. Lo spreco costa dai 5 ai 13 euro per famiglia a settimana, in base al livello di abitudine allo spreco. Naturalmente gli alimenti vengono sprecati in modi e quantità diverse a seconda dei settori e lungo tutta la filiera alimentare. Il consumatore rappresenta solo l’anello finale della catena. Tuttavia raffinare la propria consapevolezza sul tema e iniziare a modificare il proprio stile di vita è il primo gesto da compiere per attivare processi virtuosi all’interno delle nostre città.

Sharing: la strada in Germania

In pochi anni in tutta Europa sono fiorite più di cento iniziative, tutte finalizzate a ridurre l’accumulo di scarto alimentare. I diversi progetti puntano complessivamente ad accrescere consapevolezza, ampliare l’informazione sul tema, sensibilizzare i grandi ma anche i più piccoli, migliorare i processi logistici e creare mercati alternativi per le merci in surplus. Proprio con questo obiettivo è nato in Germania Foodsharing, che rappresenta uno dei casi più virtuosi in Europa tra le iniziative di condivisione di generi alimentari.

Il progetto Foodsharing è stato ideato da Valentin Thurn, l’autore del libro e del documentario Taste the Waste, in collaborazione con il giornalista Stefan Kreutzberg. Il progetto ha avuto un ottimo riscontro e in poco tempo la comunità di foodsaver in Germania è cresciuta molto. Attualmente sono 42.650 le persone coinvolte e attive nell’iniziativa. Il successo di Foodsharing è senz’altro dovuto anche alla capillarità con cui si è diffuso sul territorio: nato a Colonia, in breve tempo ha preso piede in 228 città tedesche.

L’idea alla base di Foodsharing è semplice: restituire valore al cibo. Foodsharing è una piattaforma online (e naturalmente anche un’app) che offre la possibilità a semplici consumatori, ma anche commercianti, ristoratori e produttori, di donare, ricevere e condividere il cibo in eccesso. Iscriversi, e convertirsi in foodsharer di ceste alimentari, è molto facile. Inoltre la condivisione del cibo è anche uno spunto per socializzare: per questo tramite la piattaforma ci si può accordare per cucinare e mangiare insieme. Il cibo, come si legge nel sito, è more than just pure merchandise. Da quando è nato nel 2012 il progetto ha già sottratto decine di migliaia di chilogrammi di alimenti alla discarica.

Cosa succede in Italia?

Come già detto, lo spreco di alimenti ci mette di fronte a molteplici problematiche di natura ambientale, economica, sociale, nonché etica. Tutto ciò rende la questione una delle più grandi, complesse e urgenti sfide del nostro tempo. Anche nel nostro paese la sensibilità sul tema dello spreco alimentare sta crescendo. Secondo il Rapporto 2013 realizzato dall’Osservatorio Nazionale Waste Watcher insieme a Knowledge for EXPO (il nuovo osservatorio di SWG e Last Minute Market) il 78% degli italiani si dichiara preoccupato dalla questione degli sprechi di cibo.

Alcune iniziative, alcune app (come Bring the food) e progetti interessanti sul tema sono già attivi anche in Italia ma faticano a ingranare. Perché? I food share, per esempio, è un progetto nato nel 2013 appena due mesi dopo il gemello tedesco. Realizzato da un’associazione no profit di quattro giovani catanesi, ad oggi non ha ottenuto risultati neanche paragonabili a quelli tedeschi. Come mai? A Milano alcuni anni fa è nata un’altra lodevole iniziativa: Il buono che avanza, la prima rete di ristoranti contro lo spreco alimentare. Progetto ideato e promosso dall’associazione di volontariato milanese “Cena dell’Amicizia Onlus”, è patrocinato dall’Assessorato alla Salute del Comune di Milano. Bene.

Purtroppo non saranno però delle brillanti iniziative, slegate e spesso effimere, a sollevarci dal problema: oggi ridurre lo spreco alimentare è diventata una priorità politica. Molti paesi europei si sono già organizzati. In Inghilterra, per esempio, in tre anni (dal 2007 al 2010) si è ridotto del 13% lo spreco di cibo grazie all’iniziativa Love Food Hate Waste, organizzata dall’associazione no profit WRAP (Waste & Resources Action Programme) e sostenuta dal governo. In Italia, all’interno del Piano nazionale di prevenzione dei rifiuti, è stato definito e presentato lo scorso febbraio il Programma nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) il cui obiettivo di lungo periodo sarà quello di guidare il Paese nella riduzione del 50% degli sprechi alimentari entro il 2025.

Sono trascorsi troppo pochi mesi per poter giudicare l’efficacia del Pinpas. Rimaniamo in ascolto, ottimisti. Ciò che rimane indubbio è che la crisi e la crescente attenzione degli italiani agli sprechi hanno creato un terreno più che adatto ad accogliere politiche ad hoc in materia. Siamo pronti e in attesa di policies che promuovano nuovi stili di vita e incentivino forme di comportamento più etiche. Dopotutto l’intelligenza delle città si misura anche e soprattutto dal grado di flessibilità che i cittadini dimostrano nel riuscire a rimodellare le proprie abitudini in chiave sostenibile.

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