Esta es una plaza, da vuoto urbano a piazza pubblica. Intervista a Beniamino Saibene
Beniamino Saibene è socio-fondatore di Esterni, un’impresa culturale con sede a Milano che dal 1995 progetta spazi pubblici, disegna servizi per piccole e grandi comunità, promuove e realizza eventi di aggregazione, sviluppa campagne di comunicazione necessaria e partecipata. Nel 2008 il Comune di Madrid ha commissionato ad Esterni la riqualificazione di Lavapiés un quartiere popolare caratterizzato dalla mancanza di spazi pubblici. Esta es una Plaza è il risultato di un lavoro continuo che ha portato alla trasformazione di un luogo da vuoto urbano a piazza pubblica.
8 Luglio 2013
Chiara Guerritore
Beniamino Saibene è socio-fondatore di Esterni, un’impresa culturale con sede a Milano che dal 1995 progetta spazi pubblici, disegna servizi per piccole e grandi comunità, promuove e realizza eventi di aggregazione, sviluppa campagne di comunicazione necessaria e partecipata. Nel 2008 il Comune di Madrid ha commissionato ad Esterni la riqualificazione di Lavapiés un quartiere popolare caratterizzato dalla mancanza di spazi pubblici. Esta es una Plaza è il risultato di un lavoro continuo che ha portato alla trasformazione di un luogo da vuoto urbano a piazza pubblica.
Che cos’è Esta es una Plaza?
È un esperimento meraviglioso che ha anche avuto un risultato positivo, quindi forse oggi non è neanche più un esperimento ma un dato di fatto, una realtà nata nel 2008 che ci ha impegnato, noi come Esterni, per lungo tempo e che continua tutt’oggi. È stata in qualche modo una sfida, una scommessa che abbiamo vinto ma soprattutto che le persone, i cittadini hanno vinto.
Quali attività si svolgono nella piazza? Quali strutture, strumenti e servizi ci sono?
Quando noi iniziammo il nostro lavoro a Lavapiés ci concentrammo principalmente sulla creazione/realizzazione di un orto comunitario e di un piccolo teatro all’aperto, che tuttora sono lì.
In seguito abbiamo realizzato dei campi da gioco ed infine una “casa comune”, adibita principalmente alle riunioni. Poi c’è stata una seconda fase legata al rinverdimento, abbiamo piantato vari alberi, piante, rampicanti e costruito un sentiero. Queste in sintesi erano le attività e le funzioni principali. C’erano poi larghissime parti di muro che abbiamo in parte ridipinto, ristuccato e che nei primi mesi di vita del progetto hanno assolto la funzione di schermi per le proiezioni all’aperto. Oggi le proiezioni si fanno ancora ma le mura sono a disposizione di artisti di strada e per espressioni artistiche di vario genere.
C’è un’idea, un approccio che ha portato alla realizzazione di questo progetto?
L’approccio è stato il più semplice possibile, ovvero affidarsi alle persone che quel posto lo conoscevano, a chi lo vedeva abbandonato da tanti anni sotto i propri balconi, a chi lavorava nella zona ma anche a chi passava di lì per la prima volta, impegnandoci per capire quali erano le reali esigenze ed i bisogni prioritari dei residenti, di chi quel quartiere lo viveva e lo vive ancora.
Un quartiere quindi che da vuoto urbano si trasforma in piazza pubblica. Ma cos’è un vuoto urbano e cosa uno spazio di transizione?
In questo caso, un vuoto urbano è nel vero senso della parola un vuoto, uno spazio molto grande inutilizzato ma soprattutto inutilizzabile e inaccessibile. Principalmente era una discarica abusiva a cielo aperto con una parte coperta nella quale potevano entrarci e di fatto entravano anche malintenzionati. Le mura erano fatiscenti e nemmeno l’arte istintiva di alcuni timidi graffitari era riuscita a trovare grande radicamento. Proprio un vuoto inteso non nel senso di non luogo, di un posto che non ha radici, ma di degrado.
Uno spazio inservibile ed abbandonato a se stesso. Quando il Comune di Madrid ci commissionò il lavoro la richiesta era di trovare un’idea a costi bassissimi ma soprattutto provvisoria perché di lì a poco in quello spazio sarebbe sorta una piscina pubblica. In seguito quell’iniziativa dell’amministrazione si è bloccata e quindi abbiamo capito che in qualche modo il progetto aveva possibilità di sopravvivere e durare più a lungo. Transizione quindi inteso in quel senso. Esterni d’altronde ha da sempre l’idea che i luoghi che aspettano lavori, in un certo senso luoghi sospesi, possono essere comunque utilizzati invece che relegati dietro una transenna.
Si può parlare di innovazione democratica?
Innovazione è forse oggi un termine un po’ abusato. Quello che succede in Esta es una Plaza è recupero della tradizione umana e umanistica ed in questo caso l’innovazione risiede proprio nella rivalorizzazione, si tratta di innovare a partire dall’esistente. Quello che c’è lì io non lo definirei innovativo ma necessario alla convivenza ed alla qualità della vita dei cittadini, così come dei turisti. Da questo punto di vista si può intendere innovativo tutto il progetto, considerando poi che cinque anni fa, quando iniziò il tutto, di iniziative di questo tipo ce n’erano veramente poche in Spagna ed in Europa. Ovviamente non si tratta di alta tecnologia che prima non c’era, ma dell’umano genio che c’è sempre stato ma che ogni tanto viene offuscato da amministrazioni pubbliche poco lungimiranti così come dalle mode e costumi. In questo senso si può sicuramente intendere innovativo quel tipo di attività, come assolutamente innovativo è stato il tipo di approccio che ha avuto il comune assumendosi l’inevitabile rischio di intraprendere questo tipo di strada.
Esta es una Plaza può essere considerato un esempio di design partecipativo?
Certo. Noi di Esterni usiamo il termine Public Design, Design pubblico ma è un po’ lo stesso significato. Noi abbiamo disegnato la piazza con molta facilità e l’abbiamo realizzata in pochi giorni ma si è evoluta continuamente. Un po’ per via di un’alluvione che ha allagato l’orto che quindi è stato ricostruito innalzandolo leggermente, un po’ perché le esigenze cambiano e difatti anche il teatro si è spostato. É un continuo riorganizzare la piazza un po’ per sopravvivere un po’ perché la creatività si sviluppa, si evolve, cambia. Adesso ad esempio lo spazio è provvisto di wifi e sono nate varie altre attività. Le cose cambiano ed è anche questo il bello. Il limite di avere pochi soldi e di usare materiali economici è ovvio quale sia, ma il vantaggio è che puoi spostare, cambiare senza troppe difficoltà.
Se ho ben capito si tratta quindi di risolvere creativamente dei problemi sociali?
Esatto. Si tratta di cambiare paradigma, visione, di risolvere dei problemi che spesso non vengono nemmeno percepiti come tali perché ci si è abituati ad un certo stato delle cose. Bisogna far capire a chi vive in quel luogo che potrebbe avere di più, che potrebbe chiedere di più. Forse l’intervento di Esterni, che dovrebbe essere anche quello di un’amministrazione pubblica, è stato quello di formare i cittadini ad un nuovo modo di intendere la città ed il quartiere richiedendo per se stessi e per gli altri qualcosa che ancora non c’è.
Secondo te le moderne tecnologie possono aiutare questo processo?
Sicuramente i nuovi media possono aiutare e sostenere questo tipo di progetti e anzi direi che è proprio quello che a Lavapiés è mancato di più e manca tutt’oggi per carenza di fondi. Mi spiego meglio: utilizzare la tecnologia corrisponde quasi sempre a delle spese che invece il legno e l’artigianato non sempre contemplano in quelle stesse quantità. Ciò che scarseggia lì è la tecnologia sul luogo, nel senso che anche semplicemente disboscare quel terreno con le moderne tecnologie sarebbe stato meno faticoso di quello che abbiamo fatto noi. Allo stesso modo l’organizzazione interna, l’illuminazione e anche tutti gli studi sociologici, che attraverso le tecnologie diventano poi consigli utili su come utilizzare gli spazi, sarebbero stati sicuramente un notevole supporto per il progetto. Ovviamente stiamo parlando di interventi a bassissimo costo economico, sicuramente ad altissimo costo umano però di fondi ce n’erano e ce ne sono pochi. Ed è proprio questa la sfida che questi cittadini stanno vincendo giorno dopo giorno avendo sempre più followers, intesi non solo come utenti digitali ma persone che nonostante la carenza di risorse continuano a svilupparsi come comunità. Potremmo chiamarla crescita o decrescita felice, qual si voglia, comunque loro si stanno sviluppando sostenibilmente.
C’è anche un blog?
Si, ma secondo me è il classico esempio in cui la vita reale supera di gran lunga la vita virtuale nel senso che il blog non mi sembra che abbia la stessa forza che invece ha la piazza. Ma è giusto così, anzi, forse è proprio una delle forze di questo luogo, di questo progetto, che ha una ricaduta su internet ma in quanto “chiamata alle armi”, cassa di risonanza, ma la vera vita sociale è quello che succede lì, in piazza, il social network è reale. Non credo che dipenda solo dalla tecnologia utilizzata, dalla grafica, nel senso che chi vuole sapere, conoscere sul blog trova dei limiti.
Cosa alimenta un progetto del genere, cosa fa sì che possa durare e svilupparsi nel tempo?
L’indispensabilità. Il fatto che la maggioranza delle persone che entra in quel luogo si rende subito conto che senza quel posto, senza quello spazio, senza quella piazza il quartiere, la città sarebbero più poveri. Non si tratta solo di qualcosa di molto “forte “ dal punto di vista dei significati ma di qualcosa di utile, che concretamente migliora la qualità della vita delle persone.
Secondo te allora in che modo si possono implementare le attività che già ci sono e quali sviluppi vedi per il futuro?
Io ho sempre molta paura a vedere molto in là. Nel senso che purtroppo la speculazione non esiste solo in Italia ma anche in Spagna ed anche a Madrid ed essendo un quartiere molto popolato, il rischio è che venga adocchiato dal comune come luogo di costruzione di edifici, di abitabilità, di uffici. Devo dire però che c’è una grande quantità di iniziative, di persone che seguono il progetto e che ormai vivono o lavorano lì. La riqualificazione di questo spazio ha infatti creato dei lavori, soprattutto sul fronte artistico ma non solo, si è formata una vera e propria microeconomia che potrebbe mantenere vivo l’interesse dell’amministrazione pubblica. A livello delle attività invece secondo me per ora va bene così, altrimenti rischia di diventare un luna park dove ogni giorno c’è qualcosa di diverso. Per questo motivo non aumenterei troppo le iniziative e gli appuntamenti. Non occorre che ci sia sempre arte o spettacolo, è bello anche che la piazza venga percepita come un luogo di riposo, di incontro più tranquillo dove la permanenza e l’ordinarietà hanno un valore rispetto alla temporaneità straordinaria.