Governance collaborativa: i diversi approcci delle città al fenomeno del bike sharing a flusso libero
Nel 2017 il bike sharing in Italia è cresciuto del 147%, con servizi attivi in 265 tra comuni ed altri enti locali e 39.500 bici condivise. Uno scenario recentemente caratterizzato dall’avvento del fenomeno del bike sharing a flusso libero. Abbiamo analizzato l’approccio adottato da 12 comuni capoluogo che hanno regolato l’avvio dei servizi tramite bandi alla ricerca di punti in comune e principali differenze. Spunti che approfondiremo nel corso di ICity Lab 2018 (17-18 ottobre)
17 Luglio 2018
Andrea Baldassarre
Il 17 e 18 ottobre 2018 si terrà la settima edizione di ICity Lab, la nostra Manifestazione annuale dedicata al tema delle città intelligenti. L’edizione di quest’anno sarà dedicata al paradigma della PA abilitante, ovvero un nuovo modello organizzativo in cui i dati e gli strumenti operativi sono rilasciati per e insieme ai cittadini e agli attori locali al fine di costruire nuovi servizi innovativi e innovare quelli esistenti.
Durante gli appuntamenti del ricco programma congressuale approfondiremo il tema della governance collaborativa, intesa come l’insieme di strumenti e competenze necessarie ad abilitare le città in termini di condivisione dei processi, informazioni e dati prodotti dall’interazione tra i diversi attori, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dai principali trend emergenti nei contesti urbani.
Tra questi ultimi si può sicuramente annoverare il fenomeno del bike sharing, citato come esempio dallo stesso Gianni Dominici nel suo editoriale di presentazione della manifestazione.
Secondo i dati del secondo rapporto nazionale sulla sharing mobility, nel 2017 il bike sharing in Italia è cresciuto del 147%, con servizi attivi in 265 tra comuni ed altri enti locali e 39.500 bici condivise. Numeri che fanno dell’Italia il paese europeo con la maggiore diffusione in termini di servizi introdotti. Uno scenario ultimamente caratterizzato dall’avvento anche nel nostro Paese del bike sharing a flusso libero (free floating), realizzato da grandi operatori a livello mondiale (Mobike, Obike, OFO) che negli ultimi mesi hanno attivato il servizio in alcune città medio-grandi, prevalentemente del centro-nord, con 22.800 biciclette condivise.
Eppure, non tutte le amministrazioni si sono dimostrate capaci di cogliere appieno le opportunità offerte da questo nuovo fenomeno. Proprio dal dibattito tra amministratori locali, nato nell’alveo del Cantiere Dati per i Servizi Pubblici Locali di FPA, è stato messo in evidenza il differente approccio che le città hanno adottato rispetto all’esplosione del bike sharing a flusso libero. Da un lato ci sono coloro che hanno sostanzialmente subito l’iniziativa dei gestori privati, facilitati dall’assenza di un quadro regolatorio di riferimento. Dall’altra le città che, agendo in maniera proattiva, hanno gestito l’offerta proveniente dagli operatori privati all’interno di un contesto ben definito di strategie e di regole. È questo il caso del Comune Firenze, che ha scelto di affidare il servizio tramite avviso per la raccolta di manifestazione di interesse rivolta a operatori pubblici e privati, come ci ha raccontato l’Assessore Bettarini in un recente contributo ospitato sul nostro portale.
La scelta di operare tramite bando offre evidenti vantaggi alle città: regolare il numero di operatori abilitati al servizio; limitare la consistenza delle flotte, parametrandola all’effettivo fabbisogno di biciclette e alla complementarietà con l’eventuale presenza di servizi bike sharing station based; garantire standard qualitativi del servizio (disponibilità h24, abilitazione ai pagamenti online, caratteristiche tecniche delle bici, ecc).
L’esperienza del capoluogo toscano ci ha portato quindi a interrogarci su quante città avessero adottato questo approccio. A seguito di una primissima ricognizione, abbiamo individuato 12 capoluoghi di provincia che hanno deciso di regolamentare sin da subito l’avvio del servizio tramite bando, nella maggior parte dei casi attraverso una prima fase di sperimentazione. Si tratta, oltre alla già citata Firenze, di Bologna, Catania, Ferrara, Lecce, Livorno, Milano, Padova, Pavia, Pesaro, Pescara e Torino.
Abbiamo analizzato i 12 bandi per individuare eventuali tendenze comuni o evidenziare le principali differenze, concentrandoci in particolare su due elementi: gli oneri imposti al gestore del servizio in sede contrattuale e la previsione dell’accesso da parte dell’amministrazione ai dati collezionati dall’operatore.
Oneri contrattuali: due differenti approcci alla collaborazione
La stragrande maggioranza delle amministrazioni (10 su 12) ha scelto di non gravare gli operatori di oneri ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla gestione del servizio e quelli relativi all’attivazione delle necessarie coperture assicurative (danni alle strutture, danni subiti dagli utilizzatori del servizio, responsabilità civile personale dei conducenti).
Le eccezioni sono in questo caso rappresentate da Milano e Torino, che hanno invece previsto il pagamento, a carico degli operatori, di una quota annuale proporzionale alla numerosità della flotta, sebbene con logiche piuttosto differenti. Il capoluogo meneghino ha legato il canone annuale di 30 euro per bicicletta all’utilizzo del suolo comunale e dei servizi resi dal Comune, ivi compresi quelli relativi alla manutenzione delle aree pubbliche e all’implementazione del sistema di monitoraggio, controllo e gestione delle autorizzazioni. Impostazione confermata anche nel successivo bando con cui l’amministrazione ha esteso la sperimentazione del servizio all’intero territorio metropolitano. Diversamente, il canone annuale di 20 euro per bici previsto dal Comune di Torino è finalizzato alla realizzazione di azioni per il miglioramento della mobilità ciclistica, la realizzazione di campagne di comunicazione e altri piccoli interventi di infrastrutturazione sulle piste ciclabili esistenti in città. Questi interventi vengono concordati di volta in volta tra Comune e operatori, attraverso un apposito tavolo di lavoro previsto dallo stesso bando.
Diametralmente opposta è poi la scelta operata da Bologna, che ha optato per l’affidamento della realizzazione e gestione dell’innovativo servizio di bike sharing attraverso una procedura di dialogo competitivo, espletata tramite SRM – Reti e Mobilità, agenzia per la mobilità ed il trasporto pubblico locale del Comune e della Città Metropolitana. Il servizio, aggiudicato per sei anni per un importo pari a 6.125.000 euro, ha previsto una formula innovativa e diversa da quella adottata da altre città, studiata in fase di predisposizione dell’affidamento sulla base delle principali criticità emerse in altri contesti. La soluzione coniuga infatti la tecnologia free floating con la preferenza per soste ordinate e visibili al pubblico, regolata mediante la tariffa di accesso al servizio[1].
L’accesso ai dati del gestore: un’esigenza condivisa
I dati raccolti dall’operatore privato, se condivisi con l’amministrazione in modalità aggregata, sono in grado di fornire informazioni utili e puntuali sulle modalità di fruizione delle diverse zone della città. Informazioni che a volte finiscono con il delineare scenari completamente differenti rispetto al modo attraverso cui le città vengono tradizionalmente rappresentate, e che consentono quindi di abilitare un miglioramento dell’offerta dei servizi dislocati sul territorio urbano, valorizzando le vocazioni specifiche di ciascun quartiere e disegnando un miglior rapporto tra centro e periferia.
Una realtà di cui le amministrazioni sembrano ormai consapevoli, se è vero che 11 tra le 12 città analizzate hanno previsto tra gli standard minimi di attività l’obbligo per gli operatori di mettere a disposizione del Comune, tramite apposito web service, tutte le informazioni relative all’uso delle biciclette e agli utenti. La definizione delle modalità tecniche per l’accesso alla piattaforma viene rimessa, nella maggior parte dei casi, agli accordi stipulati in fase di avvio del servizio, ma non mancano casi (ad es. Milano e Pavia) in cui è possibile individuare una disciplina di dettaglio già all’interno del bando. L’unica eccezione è invece rappresentata da Catania, che non ha inserito nell’avviso alcun riferimento alle modalità di accesso alla piattaforma del gestore, limitandosi a prevedere un semplice obbligo di fornire gli opportuni rilievi statistici del servizio con cadenza trimestrale.
La sensibilità al tema dei dati e alla loro importanza per l’efficientamento dei servizi rappresenta un segnale positivo, tuttavia non sufficiente a garantire una corretta condivisione delle informazioni tra pubblico e privato. Da un lato, le piattaforme restano comunque in mano agli operatori, innescando dinamiche gestionali non semplici da gestire, come evidenziato dalla stessa esperienza di Firenze. Dall’altro, la corretta dialettica tra PA e gestore passa necessariamente da un rafforzamento delle capacità delle amministrazioni locali di gestire questo processo in termini di risorse e competenze.
Di queste aspetti parleremo ad ICity Lab, in particolare nell’ambito dell’appuntamento dedicato al tema Orientare le scelte nelle città dei dati: una governance condivisa. Nel frattempo, porteremo avanti la ricognizione sul tema: vi invitiamo quindi di segnalarci altre esperienze per arricchire la nostra analisi con ulteriori spunti e contributi.
[1] Cfr. http://www.comune.bologna.it/news/ecco-le-bici-di-mobike-il-gestore-del-bike-sharing-arrivato-citt-entro-l-estate-i-primi-mille