I vantaggi di invecchiare sul posto
A volte è difficile definire in cosa consiste un “buon luogo,” ma se ci imbattiamo in uno di essi, lo riconosciamo. Un buon luogo attrae le persone con attività, incontri, la possibilità di fare acquisti o anche solo di stare in mezzo alla gente e sentirsi in contatto con gli altri. Questo può accadere soltanto ai mercatini biologici o nei caffè all’aperto? Non necessariamente. Il “placemaking,” la creazione di spazi pubblici a misura d’uomo, non è riservato solo alle comunità benestanti o alle zone turistiche. A Chicago, la 26esima strada nel Little Village, la 18esima strada a Pilsen o il Glenwood Market a Rogers Park sono esempi di come il richiamo di spazi pubblici vivaci oltrepassi i confini geografici e demografici.
18 Febbraio 2013
Marisa Novara*, traduzione di Cecilia Gamba
A volte è difficile definire in cosa consiste un “buon luogo,” ma se ci imbattiamo in uno di essi, lo riconosciamo. Un buon luogo attrae le persone con attività, incontri, la possibilità di fare acquisti o anche solo di stare in mezzo alla gente e sentirsi in contatto con gli altri. Questo può accadere soltanto ai mercatini biologici o nei caffè all’aperto? Non necessariamente. Il “placemaking,” la creazione di spazi pubblici a misura d’uomo, non è riservato solo alle comunità benestanti o alle zone turistiche. A Chicago, la 26esima strada nel Little Village, la 18esima strada a Pilsen o il Glenwood Market a Rogers Park sono esempi di come il richiamo di spazi pubblici vivaci oltrepassi i confini geografici e demografici.
Peter Kageyama, autore di “For the Love of Cities,” scrive che creare luoghi di cui prendersi cura genera comunità solide. Siamo d’accordissimo. Per questo motivo abbiamo ideato una serie di articoli che esaminano l’importanza del “placemaking” per una comunità sotto diversi punti di vista. La serie esplorerà gli aspetti economici, ambientali, fisici e sociali che producono vantaggi tangibili per una comunità e i suoi residenti.
La cosa bella di un buon luogo è che è adatto a gente di ogni tipo, per i motivi più vari. Spesso, essere buon luogo è dovuto in parte al fatto di essere a misura di pedone. Questo aspetto ha varie ricadute positive: una maggiore socializzazione tra vicini, un miglior stato di salute, una comunità economicamente più solida. Inoltre, in un luogo vivace gli anziani possono avere una qualità di vita alta il più a lungo possibile.
Starete pensando, invecchiare sul posto significa installare un corrimano sulla vasca, giusto? Beh, andate avanti a leggere. Come Lisa Selin Davis ha scritto in un recente articolo su Atlantic Cities intitolato “The Tragedy of Modern Retirement Communities,” le prime comunità di riposo per anziani sono state costruite negli anni ’60, quando la vita media attesa era pari a 69,7 anni. Ora che l’aspettativa di vita si avvicina ai 79 anni, le persone vivono più a lungo in un’“architettura di solitudine endemica”. In questo modo, Davis mette in discussione la separazione dei cittadini anziani dal resto del mondo. Ben Brown invece, nel suo “Ready for the Geezer Glut? Think beyond ‘aging in place’,” sottolinea come abbia poco senso puntare sul design universale modificando l’abitazione degli anziani a misura di carrozzella, aggiungendo maniglioni eccetera, quando comunque la casa si trova in una zona isolata o legata agli spostamenti in automobile. In altre parole, riuscire ad uscire dalla vasca è una magra consolazione se non si può andare da nessun’altra parte. Brown evidenzia che quando si danno per scontati gli spostamenti in macchina, si emargina automaticamente chi non può guidare. Le ricerche ci mostrano che quando quella possibilità svanisce, con essa se ne va una fetta sostanziale della vita di una persona: uno studio del 2002 pubblicato nell’American Journal of Public Health ha trovato che da quando smettono di guidare gli uomini vivono in media altri 6 anni, mentre le donne altri 10.
Questo mi fa venire in mente una cosa che Andres Duany, co-fondatore del “Congress for the New Urbanism” (CNU), ha detto alla conferenza CNU del 2012: progettiamo le città in un modo che rende i giovani e i vecchi completamente impotenti. Perchè? Perchè non possono guidare.
Cosa implica ciò per l’obiettivo di invecchiare sul posto? Implica che abbiamo bisogno di più luoghi ben fatti, luoghi in cui man mano che si invecchia si può comunque mantenere una qualità di vita alta anche se le capacità cambiano. Luoghi a misura di pedone permettono agli anziani di aver maggiore flessibilità e indipendenza; quando un anziano non se la sente più di guidare, può senza problemi andare a far la spesa a piedi o prendere l’autobus per andare dal medico.
Questo mi fa pensare a un mio recente viaggio in Sicilia per andare a trovare i miei parenti. Abitano a Trapani, una città sul mare con circa 70mila abitanti. Quando ci ero stata l’ultima volta, circa 10 anni fa, i miei zii vivevano in un condominio nella periferia della città, e da quel che mi ricordo dovunque andassimo prendevamo sempre la macchina. Nel frattempo si sono invece trasferiti in un altro condominio più vicino al centro. Mia zia Benedetta mi ha spiegato che non se la sentiva più di guidare: trasferirsi le ha permesso di andare in palestra a piedi al mattino, andare a far la spesa col carrellino nel negozio del quartiere, andare a trovare le sue sorelle più vecchie e andare a piedi fino a casa di suo figlio a tenere i nipoti nel pomeriggio. Non è stata costretta a smettere di fare nulla di quello che le piace fare, semplicemente non ci va più in macchina. Man mano che invecchia, suo figlio e altri conoscenti abitano abbastanza vicino da poter andare spesso a trovarla e aiutarla con la spesa e altre commissioni. Non sarebbe bello che più persone potessero vivere in questo modo man mano che invecchiano?
Chiaramente, negli Stati Uniti è più difficile invecchiare sul posto, in quanto la maggior parte del paese non ha la stessa cultura di densità che troviamo in gran parte dell’Europa. In altre parole, a noi piace allargarci. E ci piace sempre di più: Arthur Nelson del Metropolitan Research Center dell’Utah sottolinea che tra il 1950 e il 2000 la percentuale di americani che abita nei sobborghi periferici è passata dal 27 al 52 per cento.
Una piccola parentesi: per curiosità, ho confrontato l’area di Trapani con quella della mia città natale, Kalamazoo in Michigan, che ha più o meno la stessa popolazione. La differenza di densità è netta. Ecco Trapani:
Ed ecco l’area di Trapani sovrapposta alla mappa di Kalamazoo, con numero pari di abitanti:
È chiaro: a noi americani piace avere spazio, e il prezzo che paghiamo è una ridotta possibilità di spostarci a piedi.
Tuttavia, nonostante la tendenza dell’ultimo secolo, possiamo ancora incorporare la possibilità di camminare negli spazi edificati, e quindi conservare più indipendenza durante l’invecchiamento. Come Christopher Leinberger ha messo in luce nella sua analisi sui centri urbani camminabili, “il nuovo paradigma edilizio non è più la città contrapposta al sobborgo, bensì la possibilità di camminare contrapposta alla necessità di guidare.” Fa notare che riadattare i sobborghi sarà la sfida principale della prossima generazione, ma cita anche numerosi esempi di sobborghi con centri cittadini rivitalizzati, come Rockville e Silver Spring in Maryland.
Questo è cruciale per quegli anziani che al momento non si trovano in un luogo ideale per invecchiare, ma sarebbero pronti a trasferirsi. E ce ne saranno molti: si stima che tra il 2010 e il 2030 il numero di cittadini anziani raddoppierà. Secondo Nelson, questa tendenza ha effetti molto importanti sul cambiamento del sogno americano. “L’ottanta per cento degli anziani ha la casa di proprietà, e non trasloca spesso… ma quando trasloca, si sposta di un bel po’” afferma. I dati mostrano che quando gli anziani effettivamente si trasferiscono, la percentuale di quelli che vivono in appartamento passa dal 20 per cento a quasi il 60 per cento. Queste tendenze sono incoraggianti, visto che il rapporto di Leinberger evidenzia che per compensare i prezzi immobiliari più alti che si incontrano nei centri urbani a misura di pedone, normalmente gli individui stanno in affitto oppure scelgono abitazioni più piccole – due cose che gli anziani fanno in ogni caso.
Molti leader nelle città e nei sobborghi stanno prestando particolare attenzione a quei miglioramenti urbani che apportano forti benefici alla qualità di vita degli anziani – e di tutti noi, in effetti. Dei marciapiedi spalati regolarmente con numerosi accessi per le sedie a rotelle sono comodi anche per i genitori con passeggino; le panchine alle fermate dell’autobus sono apprezzate da giovani e anziani; semafori con tempi lunghi permettono a persone di tutte le età e livello di mobilità di attraversare la strada in sicurezza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità recentemente ha creato il “Global Network of Age-Friendly Cities” (“Rete Mondiale delle Città a Misura di Anziano”), che comprende 35 città in tutto il mondo. Una di queste è la frenetica New York, che ha istituito tre “Aging Improvement Districts” in cui sta sperimentando servizi quali tempi di attraversamento più lunghi agli incroci e negozi con posti a sedere sia all’interno che all’esterno per riposarsi e socializzare. Questo è cruciale per quegli anziani che al momento non si trovano in un luogo ideale per invecchiare, ma sarebbero pronti a trasferirsi.
Come fare lo sappiamo. Sappiamo come si fa a creare spazi a misura di pedone e, nel caso dei nostri vicini più anziani, sappiamo come prenderci cura delle persone che hanno vissuto a lungo. Uno dei vantaggi principali che hanno coloro che vivono in questi centri urbani a misura di pedone è che possono continuare a vivere lì man mano che invecchiano e che le loro capacità cambiano. Come Browns fa notare, “Tutti moriremo. E prima di morire, probabilmente diventeremo sempre più decrepiti e bisognosi.” Invecchiare sarebbe un’esperienza migliore per noi tutti se potessimo farlo in un contesto che ci permette di essere indipendenti e di interagire con ciò che ci circonda il più a lungo possibile.
Questo articolo è stato tradotto da inglese da MPC assistente alla ricerca Cecilia Gamba.
La versione originale dell’articolo (in lingua inglese)
*Marisa Novara, Program Director al Metropolitan Planning Council. Qui il suo profilo