Il “capitale sociale” nell’era della conoscenza condivisa
Come si è trasformato il concetto di “capitale sociale” in questi ultimi anni? Quale il ruolo e il valore aggiunto portato dalla Rete, dai social network, dalle piattaforme collettive, dai commons? E ancora, se il capitale sociale può essere inteso come un insieme di valori, codici culturali, reti di relazioni e norme di reciprocità e fiducia che le sostengono e se tutti questi elementi costituiscono un bene pubblico e una risorsa collettiva, la domanda centrale è: le amministrazioni pubbliche lo considerano un patrimonio da difendere e sostenere? L’occasione per confrontarsi su questi temi sarà il keynote di Robert Putnam, docente di Politiche pubbliche della Harvard University, in programma a Bologna il 15 ottobre prossimo in occasione di #SCE2015 – Citizen Data Festival. Il keynote, all’interno del convegno “Better Together: Investing on Social Capital”, è organizzato in collaborazione con “Sanità in Movimento” della Regione Emilia Romagna e con l’Università di Bologna.
12 Ottobre 2015
Michela Stentella
Nel 1993 Robert
Putnam, docente di Politiche pubbliche della Harvard University, nel suo celebre testo “Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy” metteva in relazione i livelli
di performance delle amministrazioni regionali italiane alla loro dotazione di
capitale sociale, attraverso l’individuazione di un indicatore per la civic community in cui rientravano, per
esempio, il numero di associazioni volontarie presenti sul territorio e la
quota di popolazione che legge abitualmente i giornali. Sono passati oltre 20 anni e nel frattempo il concetto di “capitale sociale” da una parte si è trasformato, dall’altra è ancora lontano dall’essere considerato come un elemento centrale per le decisioni politiche ed economiche, almeno nel nostro Paese. Come mai? Il 15 ottobre prossimo a Bologna sarà proprio Robert Putnam ad aprire una riflessione su questi temi, nel suo keynote all’interno del convegno “Better Together: Investing on Social Capital”, in programma all’interno di #SCE2015.
“Il convegno bolognese offrirà una grande occasione per attualizzare la riflessione del Professor Putnam, trasportando il concetto di capitale sociale ai giorni nostri con la consapevolezza che non si può prescindere dalle trasformazioni portate dalla Rete”, sottolinea Angela Simone (Twitter: @angelasimone), giornalista scientifica che coordinerà l’incontro del 15 ottobre. Altro tema centrale sarà quello dell’accesso alla formazione e alle informazioni, anche qui con un occhio privilegiato ai cambiamenti portati dalla comunicazione digitale e dalle piattaforme on line.
Con Putnam si confronteranno: Emidia Vagnoni, che insegna Economia e management all’Università di Ferrara e ha partecipato a una ricerca per mettere a punto un metodo per valorizzare il capitale intellettuale e relazionale rappresentato dagli operatori dei servizi sanitari e per poterlo rendicontare come risorsa della comunità nei bilanci delle aziende pubbliche sanitarie; Marco Berlinguer, ricercatore all’Università autonoma di Barcellona, impegnato nella ricerca sullo sviluppo delle nuove forme di economia nell’intersezione tra economia sociale, economia della conoscenza ed economia dell’informazione, ha contribuito alla creazione della “School of the commons” e del network “P2P value” (Peer to Peer Value).
“In Italia le decisioni cruciali vengono prese quasi esclusivamente sulla base di valutazioni e di risultati di carattere economico-finanziario, mentre soprattutto nel nord Europa si sta mettendo l’accento anche su elementi intangibili di capitale intellettuale, quelli che Putnam riconduce al capitale sociale – sottolinea Emidia Vagnoni –. Le aziende sanitarie, per esempio, hanno al loro interno una serie di risorse e conoscenze che non si possono quantificare in termini finanziari e non trovano espressione nel bilancio, ma di cui dovremmo tenere conto nel valutare la performance dell’azienda o della regione: le relazioni internazionali dei professionisti, le relazioni con le associazioni scientifiche, il numero di seminari interdisciplinari che vengono organizzati, tutti elementi che creano cultura, arricchimento del capitale intellettuale o sociale. Del resto al cittadino non interessano i dati finanziari ma quanto è bravo un chirurgo, non gli interessa sapere quanto si spende per la ricerca ma se i risultati hanno una ricaduta assistenziale.”
In questo contesto si inserisce il tema dell’accesso alle informazioni, delle reti e dell’open data. Quello per la trasparenza è un movimento che può favorire la partecipazione, la democrazia, la conoscenza, e quindi anche lo sviluppo di capitale sociale? “Molti dei dati che oggi abbiamo a disposizione sono il risultato di norme e leggi in materia di trasparenza e prevenzione della corruzione – sottolinea Vagnoni -. La mia esperienza di ricerca mi dice, invece, che le amministrazioni che aprono i dati volontariamente creano un rapporto più proficuo con la collettività. In quel caso, infatti, l’apertura deriva dal fatto che l’organizzazione ha sposato determinati valori (ti metto a disposizione i miei dati, ti faccio vedere ciò che stiamo facendo e tengo anche conto delle tue considerazioni) e il tema della partecipazione del cittadino non viene imposto per legge ma è maturato all’interno della società, che quindi lo domanda da un lato e lo offre dall’altro”.
Ma la Rete ha fatto emergere in questi anni anche fenomeni e modalità di produzione del tutto innovative, come il Free/Open source software e Wikipedia per fare un esempio. Si tratta di quella che Yochai Benkler ha definito Commons-based peer production (CBPP), una modalità di produzione che mette al centro il valore della condivisione e della collaborazione e che si sta estendendo a molti ambiti, specialmente nei settori dove maggiore è l’importanza di conoscenza, informazione, innovazione, e dove è più forte l’impatto della rivoluzione digitale e di Internet. E qui, ancora una volta, tornano in primo piano le modalità di misura del valore che dominano la scienza economica e le scelte politiche, e che sono sostanzialmente incapaci di riconoscere la creazione di valore quando questo è condiviso e non venduto sul mercato.
“Il mio gruppo di ricerca all’Università Autonoma di Barcellona con il progetto europeo P2Pvalue ha recentemente documentato, mappato e descritto quasi 400 casi di CBPP, operanti in circa 30 distinti ambiti di produzione – sottolinea Marco Berlinguer -. Lo studio di questo modello produttivo è in notevole espansione, ma nello stesso tempo ancora ai suoi albori, anche perché le caratteristiche di queste forme produttive sono molto diverse da quelle a cui siamo abituati. Il valore prodotto con queste modalità, infatti, sfugge quasi integralmente alle rilevazioni metriche convenzionali, che sono quelle monetarie. Solo per fare un esempio, Wikipedia, che è stabilmente tra i primi 10 siti web più visitati al mondo, in base a un approccio convenzionale si potrebbe dire che ha generato un valore economico negativo perché di fatto ha quasi distrutto l’industria delle enciclopedie”.
“Regimi di valore distinti da quelli ufficiali (contabilizzati nei bilanci economici o in statistiche come il PIL) sono già operanti in queste modalità di produzione e più in generale su Internet e nell’economia delle reti – conclude Berlinguer – Sono a volte impliciti, a volte più consapevoli e organizzati, in ogni caso ancora non hanno trovato una stabilizzazione e ancor meno un riconoscimento istituzionale. Tuttavia al loro interno, di sicuro la nozione di capitale sociale trova un posto importante, tanto a livello micro, dentro singoli progetti, come a livello macro, nell’ecosistema che si sta creando intorno a queste modalità di produzione. Tanto se cerchiamo di capire come funzionano come se cerchiamo di visualizzare il valore che generano”.
Per approfondire tutti questi aspetti, appuntamento a #SCE2015.