La città open source alla Biennale dello Spazio Pubblico

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Software City, City 2.0, Re-imagining the commons field, sono i temi al centro della prossima Biennale dello Spazio Pubblico – “Spazi pubblici | network| innovazione sociale, La città open source” (Roma, 16-19 maggio 2013). Questa edizione guarda in particolare a quella pluralità di spazi costruiti dall’incontro e dall’interazione virtuale, in cui una moltitudine di persone attraverso una varietà di strumenti (desktop, prêt-à-portatile smartphone, tablet) e infinite possibilità applicative (App) sperimenta l’intelligenza della città nella città con progetti innovativi in grado di reimmaginare l’uso e la costruzione di spazi pubblici reali.

2 Aprile 2013

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Ilaria Vitellio*

Software City, City 2.0, Re-imagining the commons field, sono i temi al centro della prossima Biennale dello Spazio Pubblico – “Spazi pubblici | network| innovazione sociale, La città open source” (Roma, 16-19 maggio 2013). Questa edizione guarda in particolare a quella pluralità di spazi costruiti dall’incontro e dall’interazione virtuale, in cui una moltitudine di persone attraverso una varietà di strumenti (desktop, prêt-à-portatile smartphone, tablet) e infinite possibilità applicative (App) sperimenta l’intelligenza della città nella città con progetti innovativi in grado di reimmaginare l’uso e la costruzione di spazi pubblici reali.

La Biennale dello Spazio Pubblico nasce dall’esigenza di tornare a ridiscutere dello spazio pubblico in un momento in cui esso appare sempre più come estensione delle attività commerciali, oppure luogo di proprietà pubblica su cui intervenire con progetti di decoro urbano o, ancora, area libera e pedonale a contorno delle nuove icone urbane di architetture contemporanee. Nella sua prima edizione del maggio 2011 tra i temi di riflessione vi fu la “Città eventuale” che guardava a come gli spazi pubblici si costruiscono e ricostruiscono attraverso eventi che nel loro svolgersi attivano nel corpo sociale iniziative di risignificazione e riuso degli spazi. L’obiettivo era di riflettere a partire da quegli eventi discrepanti, distorcenti e perturbativi che irrompono nello spazio ordinario e organizzato attivando pratiche di scoperta, riappropriazione e riuso, abilitando usi multipli e possibilità trasformative dello spazio.

In linea con questo campo di riflessione la prossima edizione della Biennale (Roma, 16-19 maggio 2013) apre, attraverso la sessione “Spazi pubblici | network| innovazione sociale, La città open source”, a quel fenomeno multiplo di costruzione e ricostruzione dello spazio pubblico che a partire dal virtuale ricade sul reale e viceversa. La sessione guarda in particolare a quella pluralità di spazi costruiti dall’incontro e dall’interazione virtuale, in cui una moltitudine di persone attraverso una varietà di strumenti (desktop, prêt-à-portatile smartphone, tablet) e infinite possibilità applicative (App) sperimenta l’intelligenza della città nella città con progetti innovativi in grado di reimmaginare l’uso e la costruzione di spazi pubblici reali.

La varietà di iniziative di interazione e di co-experience ci raccontano, infatti, di un territorio dell’innovazione costruito e ricostruito assiduamente attraverso un fermento plurimo, organizzato e autopropulsivo, che nel suo farsi si tramuta in innovazione sociale e in cui – nella generazione di contesti proattivi di promozione sociale, di sostegno alle reti di socialità e di solidarietà – il dire e il fare trovano la loro pratica espressiva nella riconquista dello spazio.

La sfida della social innovation per la riconquista dello spazio pubblico

Se la sfida che lancia la social innovation è quella di “riprendersi gli spazi e di attribuirgli nuovi segmenti di esistenza, rielaborando i vecchi modelli”, queste iniziative appaiono ridare centralità allo spazio e arginare, in qualche modo, quel processo di consumo semantico di cui appare soffrire la nozione di spazio pubblico. Attraverso modelli deboli supportati dalle nuove tecnologie, le pratiche legate all’innovazione sociale rielaborano e sperimentano un concetto di spazio pubblico, andando molto oltre le banali operazioni di recupero basate esclusivamente sul ricambio degli assetti fisici (come quelli di nuova realizzazione, di recupero e di decoro) o funzionali (come le pedonalizzazioni) del tessuto urbano.

Una moltitudine di esperienze, che nascono dal basso e si auto-organizzano, impongono infatti di guardare alla pluralità degli spazi pubblici e a riconoscere come – con l’ausilio di network sociali e usi alternativi del reale e del virtuale – si configurino “altri” modelli di costruzione “pubblica” dello spazio. Queste pratiche ci dicono come, spesso attraverso processi di appropriazione “spontanei” e usi alternativi dello spazio, esistono una varietà di forme di condivisione urbana e una progettualità diffusa fondata sulla capacità di esplorare il potenziale trasformativo dei luoghi e di immaginare lo spazio relazionale anche solo attraverso iniziative leggere e a bassa frequenza. Ci dicono inoltre della pluralità di spazi pubblici che emerge dalla moltiplicazione delle possibilità e dalle varietà di piattaforme di crowdsourcing urbano. Infine ci raccontano che, nel processo innovativo conta più la “messa a disposizione” di luoghi (reali e virtuali) dove sperimentare possibilità, dove condividere, apprendere e giocare con tattiche a somma positiva, piuttosto che l’impegno istituzionale di fondi o di strumenti, perché la rete è in grado in qualche modo di produrli.

La città open source

La città che emerge da questa rinnovata produzione di spazi pubblici si presenta così come open source, continuamente costruita e ricostruita attraverso la pubblica elaborazione cooperativa di free software. La città open source, testo aperto, si costruisce infatti attraverso la sperimentazione assidua di processi di decodifica e di cooperazione interpretativa, in cui si riempiono i vuoti di un ambiente abbandonato o “prescritto”, con appropriazioni momentanee che catalizzano la creatività dispersa attraverso tattiche e immaginari sovversivi, distorcenti, eversivi, capovolgimenti silenziosi. Rispetto al passato, le nuove tecnologie sovvertono gli sguardi sulla città e sui suoi abitanti, non più cittadini utenti e/o utilizzatori degli spazi pubblici, ma protagonisti, spesso informali e temporanei, dei loro luoghi di vita, capaci di ridare senso e significato allo spazio pubblico.

La città open source è la città dei narratori, che sperimentano nuove geografie attraverso le trame nascoste, dimenticate e abbandonate, è la città della scoperta attraverso pratiche irruenti, che nascono dal basso e che fanno emergere un vivaio di protagonisti “caparbi ed entusiasti” dello spazio.

La Sessione “Spazio pubblico|network|innovazione sociale. La Città open source” raccoglie le riflessioni e le sperimentazioni in questo campo organizzandole in tre temi diversi

Software City

E’ il tema dove si presentano quei casi in cui attraverso l’uso del web e di app si ricostruiscono nuovi territori, nuove geografie dello spazio e si sperimenta un uso diverso della città attraverso azioni narrative. Azioni urbane che si presentano come propagatori di racconti, dove la città come software viene costruita e ricostruita su una rete di (micro)pratiche di risignificazione creativa di spazi (centrali e non) percepiti in qualche modo, abbandonati dall’esperienza e dalla routine quotidiana. Qui pratiche di uso e riuso degli spazi compongono visioni e immagini inserite nella dimensione del possibile, dove si rielaborano mappe plurime dei territori, a carattere proiettivo, immaginifico.

I casi racconteranno di come attraverso una moltitudine di piattaforme si sperimentano progetti di ricerca-azione in cui si rielaborano creativamente pratiche, conoscenze e competenze elaborando collettivamente nuovi protocolli operativi. L’applicazione Missorts – un immersive soundwork pensato per rigenerare Redcliffe a Bristol – permette di ascoltare racconti e percorrere gli spazi e ridisegna una diversa geografia della città; ITI Itinerari Turistici Industriali cerca di coniugare due anime divise di Siracusa: quella del polo Petrolchimico e quella archeologica-paesaggistica attraverso un mix di attraversamenti, visite, incontri (fisici) ed esperienze virtuali (wiki ed App).

Molte iniziative si rivolgono ai tessuti storici della città come ai luoghi dimenticati e abbandonati. Attraverso strumenti di analisi non convenzionale, integrati e amplificati dall’uso di una conoscenza di tipo nuovo, multimediale, wiki e a disposizione di tutti; Stampati+ a Cagliari e Sequenze Urbane / Urban ConversActions a Napoli si occupano dei centri storici tentando di ridefinire attraverso un lavoro di osservazione e mappatura collettiva l’uso dello spazio pubblico e di tutte le possibili interconnessioni urbane.Etucosacivedi, che nasce dall’incontro e confronto tra una rete di soggetti operanti nel campo della progettazione partecipata, della pianificazione urbana sostenibile, del web, dell’open data, dei social media e della gestione creativa dei conflitti opera nella risemantizzazione degli spazi pubblici di alcune città del Veneto. ConversION+, è una esplorazione-laboratorio-mostra sulle architetture dismesse o incompiute di Conversano dove è stato sperimentato l’uso ibrido, integrato e contemporaneo dei social network e dei locative media, nell’esperienza di esplorazione ed attraversamento.

City 2.0

Queste iniziative introducono il secondo tema, City 2.0, dove si presentano iniziative di crowdsourcing urbano che, attraverso il web 2.0, coniugano le nuove applicazioni tecnologiche con rinnovate strategie culturali di uso e immaginazione degli spazi urbani. Esperienze che si costruiscono attraverso una cooperazione interpretativa dell’uso degli spazi, distrettualizzano la creatività diffusa e sperimentano nuove forme di abitabilità e di lavoro, esprimendo bisogni, desideri, ma anche saper fare, capability, abilità nella co-progettazione. Iniziative che intercettano varie forme della vita sociale e relazionale nella gestione e nella cura condivisa di beni comuni urbani, promuovono processi di rigenerazione urbana e fermentano capacità.

In tal senso [im]possible living, sito web crowdsourced dedicato al riutilizzo di edifici abbandonati in tutto il mondo, fornisce strumenti e servizi alle persone che cercano di sollevare, discutere e di risolvere il problema degli edifici abbandonati. Gli utenti possono contribuire in maniera diretta al database autogenerato in wiki e segnalare edifici abbandonati sul sito web (fornendo l’indirizzo, foto, video, una descrizione riguardanti la proprietà). Una volta mappato, un edificio può essere riattivato e il progetto fornisce gli strumenti per coinvolgere una community online che condivida risorse per la riattivazione.

Il progetto City-Hound a Roma è social network finalizzato alla semplificazione dei processi di trasformazione temporanea degli spazi urbani sottoutilizzati. Una piattaforma web, strumento catalizzatore di energie e disponibilità, capace di attivare un corto circuito finalizzato alla riappropriazione dello spazio e alla costruzione di nuove forme di socialità. Microspazi-Mi è un progetto che sperimenta una strategia crowdsourcing per la qualificazione partecipata dello spazio pubblico latente. Offre infatti uno strumento di crowdsourcing urbano web based, accessibile ed open source, e strutturato per dare la possibilità a chiunque di mappare le aree che conosce e creare un dibattito su di esse, nonché segnalare iniziative già presenti. Lo scopo è non solo di indagare le opportunità offerte dalle superfici residuali, ma anche di creare un punto di confronto tra cittadini e tra cittadini ed amministrazioni per arrivare ad una gestione partecipata del territorio. Ancora a Milano Non-Riservato promuove una mappatura di soggetti impegnati a riutilizzare luoghi sottoutilizzati e in grado, con la loro azione, di interpretare lo spazio pubblico come catalizzatore per la creazione di community. Ne emerge così un’immagine inedita della città, nella quale le coordinate tradizionali centro/periferia sono sostituite da altre più trasversali, caratterizzate da un crescente desiderio di partecipazione attiva e di riscoperta dei propri quartieri da parte della collettività.

Urban Replay, ricerca di Urban Habitat dell’Università Francisco de Vitoria di Madrid, promuove all’interno del quartiere madrileno di Chamberí, in abbandono e decadenza, la riattivazione degli spazi attraverso nuovi luoghi di lavoro per imprenditori in co-working formulando insieme ai proprietari e alle agenzie istituzionali nuove forme contrattuali.

Re-imagining the commons fields

L’ultimo tema, Re-imagining the commons fields, guarda alla coltivazione come leva per l’innovazione sociale, dove le pratiche di agricoltura urbana e peri-urbana appaiono perseguire diverse strategie che intercettano la dimensione sociale, ambientale, culturale ed economica di un territorio.

A Roma, Linaria insieme al Maam e Metropoliz, danno avvio a un vero e proprio laboratorio socio-culturale di sperimentazione, ma anche di alta qualità, per raccontare un’eccellenza botanica e progettuale, che non finisce con il termine dei lavori, ma che prosegue nel tempo con la cura e l’evoluzione dello spazio e delle persone che lo vivono. Alla Bovisa di Milano, la coltivazione nelle aree del campus del progetto Coltivando prevede una gestione collettiva dello spazio e la divisione del raccolto tra i partecipanti. Una iniziativa costruita sviluppando sia gli aspetti software a brainware (sistema di funzionamento, business model, modello di organizzazione) che quelli hardware (progetto degli spazi, delle strutture di coltivazione e conviviali attraverso diverse fasi di co-progettazione e participatory action research). Local Squares riunisce sette organizzazioni di cinque paesi diversi (Spagna, Germania, Olanda, Belgio, Austria) nel campo della riattivazione delle zone grigie; riflette a partire da alcune pratiche sulle modalità e sulla tipologia di quegli spazi verdi riconquistati da collettivi e movimenti che suggeriscono un rinnovato rapporto tra i cittadini e la loro città, dove la cura collettiva, l’impegno personale, la protezione e la relazione diventano centrali nell’esperienza urbana e sono al centro della loro esistenza.

Infine, a partire dalla coltivazione come strumento militare, dall’agricoltura in contesti di conflitto, come nei territori palestinesi occupati, un contributo di Mirko Andolina riflette su come considerare l’agricoltura il mezzo attraverso il quale stabilire nuovi processi, magari di pace, basati su strategie di superficie multiple, che permettono di riconoscere il diritto all’opacità di questi due popoli.

Questo insieme di esperienze, in diversi campi, si presenta come un rinnovato vivaio di pratiche che stimolano l’immaginazione, fertilizzano processi di cittadinanza attiva, generano nuove piazze, nuovi luoghi del lavoro e di produzione di processi culturali, promuovono assidua partecipazione, creano e ridefiniscono nuove reti sociali e culturali, sollecitano l’uso innovativo di spazi abbandonati o sottoutilizzati, sensibilizzano l’opinione pubblica su temi e problemi, praticano beni comuni.

L’esperienza della città nella città viene riorganizzata, riletta e riscritta, trasformata, riconfigurata in un nuova forma capace di catturare una varietà di interpretazioni possibili.  

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