La sfida del recupero degli spazi in disuso, fra tecnologia, partecipazione e innovazione sociale
Gli spazi cittadini vissuti da sempre in un determinato modo, possono prestarsi ad altro? Possono diventare ospiti di nuove azioni, parti di città destinate ad un uso ancora da scoprire? Se lo è chiesto il Comune di Pesaro che ha proposto un concorso internazionale per riprogettare le aree della cantieristica adiacenti al porto ormai in forte crisi.
15 Marzo 2013
Alessandro Cecchini e Alessandro Liuti*
Gli spazi cittadini vissuti da sempre in un determinato modo, possono prestarsi ad altro? Possono diventare ospiti di nuove azioni, parti di città destinate ad un uso ancora da scoprire? Se lo è chiesto il Comune di Pesaro che ha proposto un concorso internazionale per riprogettare le aree della cantieristica adiacenti al porto ormai in forte crisi.
Più di ogni altra arte, quella del progettista, tende alla "paralisi": che essa avvenga a motivo del nesso che sussiste con l’ergonomia, le cui necessità variano con impercettibile lentezza, o perchè la persistenza dei manufatti architettonici superi di gran lunga in durata la vita degli uomini, resta il fatto che fin troppo spesso ci si abitui ad un determinato impiego del territorio, ad un modo di fare, di progettare o costruire.
Accade pertanto, nella progettazione, che con frequenza si ricada in approcci tipologici, o si perda la cognizione dell’irrinunciabile valore della ricerca in Architettura; un progettista che immagini gli spazi come si faceva 50 anni fa, impone il medesimo sospetto che si avrebbe nei riguardi di un medico che decida di ricorrere a salassi e sanguisughe per curare i suoi pazienti: l’Architettura è costituita dagli uomini per gli uomini, e se gli uni cambiano, non è ammissibile che l’altra resti immutata.
È in accordo con questa necessità, di rilanciare cioè la cultura del progetto, che nasce YAC (acronimo di “young architects competitons”) società promotrice di concorsi d’architettura ed il progetto Smart Harbor.
Come fare ricerca? Come ridestare o coinvolgere l’interesse e la sensibilità di chi fa architettura?
In primo luogo demandando in quelle realtà la cui ragion d’essere risieda nel fare ricerca: università, giovani studi, tutte realtà accomunate dalla frequentazione di menti fresche, appena formate e con una forte volontà di apportare il proprio contributo; un contributo internazionale: se è vero che è l’uomo il centro dell’azione del progettista, è altrettanto vero che esiste una sola “creatura uomo”, interrogata dalle medesime questioni, per la quale differenze di cultura e latitudine non possono che rappresentare una inestimabile pluralità di soluzioni e punti di vista.
In secondo luogo, per effettuare una ricerca che sia dignitosa ed utile, è indispensabile indagare una problematica concreta, attuale, per nulla oziosa, le cui implicazioni abbiano immediata rilevanza sulle città e nel territorio.
Terzo, infine, per premiare disponibilità e talento, per accendere l’entusiasmo ed una dialettica di confronto fertile e fattiva, si adotta l’espediente del concorso, mezzo di competizione in grado di affascinare e stimolare gli interlocutori al fine di creare condizioni favorevoli alla genesi di idee e suggestioni.
Il progetto Smart Harbor per il rilancio dell’arsenale di Pesaro
A fornire il primo spunto concreto di riflessione su luoghi non abituali è stata l’Amministrazione Comunale di Pesaro – nella preziosa collaborazione del Sindaco, Luca Ceriscioli e dell’Arch. Nardo Goffi, dirigente del Servizio Urbanistica del Comune di Pesaro. Città marchigiana di circa 100.000 abitanti, per decenni, ha deputato gli spazi attigui al porto alla cantieristica navale: presto potrebbe non essere più così. La crisi economica, che molti meno riguardi si fa dell’uomo ad abbattere sistemi ed abitudini, ha dato un duro colpo all’arsenale pesarese, spingendo gli interessati, siano essi tecnici o cittadini, a chiedersi se quegli spazi, da sempre vissuti – o meglio non vissuti perchè interdetti ai più – in un determinato modo, non possano prestarsi ad altro. Possono questi luoghi, privilegiati da un’affascinante dialettica col mare e con le città che hanno alle spalle, diventare ospiti di nuove azioni, parti di città destinate ad un uso ancora da scoprire?
Crediamo di sì: si pensi al Vinterbad Bryggen, progetto firmato Bjarke, che inventa una nuova fruizione dei fiordi di Copenaghen mediante un manufatto assolutamente sostenibile e per nulla invasivo: un gioiello di coinvolgimento sociale, riqualificazione ed integrazione urbana. Si pensi altrimenti alla Highline Newyorkese di Corner Field Operations e Diller Scofidio + Renfro, che manipola le tracce ferroviarie abbandonate: fulgido esempio di riappropriazione di spazi marginali che riqualificano tratti potenzialmente degradati di città.
Pesaro è comunque solo la punta dell’iceberg: Pesaro equivale a dire Ancona, Palermo, Genova o San Diego, qualsiasi altra città che si ritrovi con vaste porzioni di territorio per le quali ancora non è mai stata immaginata una funzione diversa da quella a cui eravamo abituati. Partendo da questo punto interrogativo sul territorio, la sfida è lanciata a tutto il mondo interessato d’Architettura, per iniziare, in Italia ma dal mondo, una ricerca dai tratti di contemporaneità ed innovazione: una ricerca che non mistifichi la fissità, ma piuttosto sia ispirata a variabilità, alta tecnologia e personalizzazione.
Come ci ricordano Carlo Ratti e il MIT, l’Architettura sempre più spesso dovrà assomigliare ad un dispositivo, non invasivo, finanche invisibile, che serva non la vana pretesa progettista di lasciare un segno sul territorio, ma si adoperi per l’unico vero scopo dell’architettura: fornire spazi intelligenti per l’azione umana. Una ricerca, in una sola parola, che dovrà essere "Smart".
Al progetto Smart Harbor collaborano docenti e studenti dalle università di Shangai, Pargi, Barcellona, del Litoral, Bologna, la rivista “The plan” di Nicola Leonardi, la municipalità di Pesaro e tanti altri partner da tutto il mondo, al solo fine di generare una nuova cultura, che guardi al di là del l’abitudine, dello stereotipo, della tranquillità di fissare le cose una volta per tutte. Una cultura fattiva, che proponga e disponga soluzioni, che generi idee, che dia voce coloro i quali credono, forti delle conquiste della propria storia, nella ricerca e nella possibilità di fare meglio e di più di quanto si sia fatto ieri.
*Alessandro Cecchini e Alessandro Liuti sono co-founder YAC