Le Unioni di Comuni: utili per cosa? La risposta (in parte) negli Open data di SIOPE

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Questo è il secondo dei due articoli sintesi di un più ampio lavoro avente per oggetto la realtà dei piccoli Comuni e le esperienze delle Unioni di Comuni che verrà presentato il 28 gennaio a Bologna, nel corso di un convegno organizzato da FORUM PA dal titolo “Non solo Aree metropolitane: la cooperazione intercomunale dei medi e piccoli Comuni per l’innovazione e lo sviluppo”.

13 Gennaio 2015

N

Nicola Melideo

Articolo FPA

Questo è il secondo dei due articoli sintesi di un più ampio lavoro avente per oggetto la realtà dei piccoli Comuni e le esperienze delle Unioni di Comuni che verrà presentato il 28 gennaio a Bologna, nel corso di un convegno organizzato da FORUM PA dal titolo “Non solo Aree metropolitane: la cooperazione intercomunale dei medi e piccoli Comuni per l’innovazione e lo sviluppo”.

A voler considerare gli scopi che, negli atti costitutivi, le Unioni di Comuni si prefiggono non c’è che da essere interamente d’accordo: condivisione delle competenze e delle risorse umane, razionalizzazione della spesa, sviluppo del territorio, e via dicendo… Se, tuttavia, si prendono in esame i risultati delle esperienze avviate dalle Unioni di Comuni (in seguito anche UdC) a partire dall’inizio del millennio ed, in particolare, nell’ultimo quadriennio, da quando cioè le gestioni associate sono diventate obbligatorie per i Comuni con meno di 5000 abitanti, qualche dubbio sulla riproducibilità su larga scala dei modelli di Unioni di Comuni noti  diventa più che legittimo ed, anzi, doveroso.

Una situazione che determina critiche autorevoli

E, del resto, è lo stesso Presidente dell’ANCI, Fassino, a prendere le distanze da un modello di UdC che il suo predecessore, Del Rio, aveva ereditato e ribadito con la legge n. 56 del 7 aprile 2014. Infatti non più di 4 mesi fa, Piero Fassino dichiarava:

“Lo strumento per favorire l’aggregazione dei Comuni c’è: sono le Unioni Comunali, che consentono di associare i Comuni senza metterne in discussione l’esistenza e l’identità. Quel che non c’è è una legge adeguata: l’attuale è infatti farraginosa e poco incentivante. E questo spiega perchè il numero delle Unioni costituite è ancora limitato. Eliminare dai vincoli del Patto di stabilità i Comuni che si associano in Unioni sarebbe un buon passo in avanti. Anche per questo l’Anci – che da tempo sollecita riforme che favoriscano le aggregazioni tra Comuni –  ha avviato con il ministero delle Autonomie Locali la elaborazione di una nuova legge sulle Unioni che, rendendone la formazione semplice e conveniente, consenta la diffusione delle Unioni su tutto il territorio nazionale” (www.anci.it del 15 ottobre 2014).

Riservandoci di tornare in altra occasione sull’argomento e di prendere in esame, una volta nota, la proposta dell’ANCI, conviene in questa sede tratteggiare in estrema sintesi i profili rinvenibili nella realtà delle UdC a fine 2014.

Le fonti informative

La possibilità di disporre di informazioni aggiornate, sulle UdC come sui Comuni, le Province, le Regioni etc.., è dovuta alla più rilevante iniziativa OPEN DATA messa in campo dalla pubblica amministrazione italiana con il SIOPE – Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici, un servizio realizzato da Bankitalia e Ragioneria Generale dello Stato (www.siope.it). I dati SIOPE sono preziosi, insostituibili, aggiornatissimi, ma si occupano solo dei flussi finanziari di incassi e pagamenti degli Enti monitorati.

Altre fonti informative istituzionali e di rango nazionale sulle UdC, se si eccettua la banca dati sui certificati di conto consuntivo del Ministero dell’Interno, che però pubblica i suoi dati con un ritardo di circa 14 mesi (peraltro abbastanza fisiologici trattandosi di bilanci e non di rendiconti di cassa) non ve ne sono. Dall’ISTAT i dati disponibili sulle Unioni di Comuni sono la copia esatta di quelli pubblicati dal Ministero dell’Interno.

Le Regioni, dal canto loro, non fanno molto di più. Ha provato a ritagliarsi un ruolo sull’informazione relativa alle UdC Ancitel, società in house di ANCI, con www.comuniverso.it, ma l’iniziativa non deve aver avuto grandi appoggi dall’Associazione di riferimento se si limita a tenere – e a fatica – solo il conto dei Comuni che aderiscono alle UdC, senza approfondire se si tratti di un’adesione effettiva o solo di facciata.

Se si vuole conoscere sulle UdC più di quanto SIOPE e Mininterno consentono, vale a dire quali e quante sono le UdC che effettivamente operano, quali sono le attività sulle quali si concentrano, quanti sono i Comuni che aderiscono e quale la popolazione complessivamente servita, bisogna affidarsi ad una ricostruzione acribiosa degli scenari anno per anno, e senza avere mai avere le certezze che un’informazione istituzionale garantirebbe.

Lo stato dell’arte sulle UdC

Fatta questa lunga ma doverosa premessa, il quadro delle UdC alla fine del 2014 – anno in cui il processo di associazione di tutti i Comuni < 5000 abitanti avrebbe dovuto completarsi – è il seguente.

Il numero – A partire da un’anagrafica teorica di 497 Unioni, numero che comprende anche le UdC cessate e in via di liquidazione dal 2000, le UdC che nel 2014 hanno avuto flussi finanziari correnti in entrata superiori ai 500.000 € sono state 219: nel 2011 erano 187, nel 2012 209, nel 2013, 205.
Per avere un’idea di quanto sia bassa soglia delle Entrate definita, ci è utile sapere che essa è pari ad 1/10 della media delle Entrate di un Comune con popolazione tra 5000 e 10000 abitanti; e che le UdC più grandi superano i 50 milioni di Entrate correnti/anno: questo per dire che prendiamo in considerazione anche le UdC con operatività poco più che simbolica.

La dimensione finanziaria – Gli incassi complessivi delle UdC corrispondenti alle Entrate correnti sono stati, nel 2014, 778 milioni di euro (un importo analogo all’anno precedente). La ripartizione di questa somma mostra che 33 UdC (quelle con Entrate superiori o uguali a 5 milioni di euro) sulle 219 prese in esame, da sole dispongono di più di 403 milioni di Euro; mentre le UdC con incassi che vanno da un minimo di 100.000 Euro fino ad un milione di Euro sono 128 e cumulano Entrate correnti complessive per 58 milioni di Euro. Si evidenzia, dunque, una distribuzione per classi di Entrata tutt’altro che omogenea: tante piccole, se non insignificanti, Unioni; poche Unioni grandi.

La partecipazione dei piccoli Comuni – Le Unioni sono nate per consentire soprattutto ai piccoli Comuni di superare il gap dimensionale ed accedere a modelli di gestione più efficienti. Tuttavia, per una sorta di eterogenesi dei fini all’origine non messa nel conto, le UdC sono diventate, in alcune regioni, lo strumento di sperimentazione di forme di nuovo governo locale di aree vaste e popolose, con Comuni che hanno una popolazione media anche di 20.000/30.000 abitanti. Ciò detto, la partecipazione dei piccoli sui totali dei Comuni delle classi demografiche di appartenenza (dati 2013) è rappresentata dalle seguenti percentuali: Comuni fino a 2000 abitanti 19,8%; Comuni da 2000 a 5000 abitanti 16,3%. La percentuale dei Comuni associati della classe immediatamente superiore (5000-10000), non obbligati ad associarsi, e del 14,5%.
Non dissimile si presenta la situazione se in luogo del numero dei Comuni il calcolo si effettua sulle popolazioni coinvolte.

La partecipazione nel 2014 – Nell’anno del (presunto) compimento del processo associativo obbligatorio la situazione non sembra essere cambiata di molto rispetto agli anni precedenti ed, in particolare, al 2013 se non, forse, in termini di una riduzione in valore assoluto della partecipazione dei piccoli Comuni.

La distribuzione delle UdC per regioni – Continuando a concentrarci su tutte le UdC con Entrate superiori a 500.000 Euro, appare schiacciante il primato dell’Emilia Romagna non tanto in termini di numero di UdC costituite, quanto di valore complessivo delle Entrate rappresentato: 39 UdC per oltre 294 milioni di Euro di risorse finanziare incassate; seguono la Toscana, le cui 23 UdC vantano quasi 128 milioni di Entrate; la Lombardia, con 45 UdC e quasi 98 milioni di Entrate; a seguire Veneto (36 UdC per 63,5 milioni) e Piemonte (66 UdC per 44 milioni). Nel Sud e nelle Isole è degna di menzione, rispetto alle altre regioni, la Sardegna, per l’evidente sostegno all’associazionismo intercomunale nella forma delle UdC.

Cosa fanno le UdC? – Sempre seguitando nell’analisi a partire dai dati dei flussi di cassa, questa volta in uscita, (pagamenti), le UdC evidenziano una spesa corrente complessiva per il 2014 di poco superiore a 826 milioni di euro (eccedenti, dunque, l’ammontare degli incassi).

I dati SIOPE consentono un’analisi dei pagamenti solo per “fattori di produzione” (“Interventi”, nel linguaggio degli addetti), a volte integrati da indicazioni utili a far comprendere la missione, la finalità della spesa. Così abbiamo selezionato, a livello nazionale e per singole aree geografiche, alcune voci di spesa, anche aggregandole, al fine di evidenziare, per quanto possibile, macro-ambiti di attività delle UdC.

In tal modo si riesce a disporre di indicatori solo per quelle attività che generano costi esterni quali, ad esempio, la gestione dell’ambiente, i servizi sociali, i servizi scolastici. Non si presta, dacchè la spesa per il personale è indistinta e non ripartita per missioni, a rilevare quelle attività “labour intensive” quali, ad esempio, quelle della polizia municipale, delle attività di amministrazione generale delle UdC, della pianificazione, etc..

La tabella sotto-riportata mostra che le UdC:

  • nel Centro Nord tendono a sviluppare un’offerta di servizi per i cittadini, mentre il SUD e Isole concentrano la propria azione più sui servizi ambientali;
  • soprattutto nel Centro Nord svolgono una funzione di “stanza di compensazione finanziaria” tra Comuni (trasferimenti a Comuni);
  • dappertutto si mostrano decisamente avviate a svolgere funzioni di centro di aggregazione della domanda comunale quanto meno per alcuni servizi e, dunque, di stazione appaltante.

 
ITALIA
NORD OVEST
NORD EST
CENTRO
SUD
ISOLE
Personale
25,6%
25,9%
31,4%
23,0%
6,2%
14,0%
Beni e materiali di consumo
2,4%
3,1%
1,7%
4,1%
1,2%
1,4%
Servizi di smaltimento rifiuti
14,6%
13,7%
6,6%
13,0%
51,5%
39,4%
Mense e servizi scolastici
5,6%
4,2%
7,4%
4,8%
3,0%
1,3%
Ricovero in strutture per bisognosi
3,1%
5,5%
3,6%
0,7%
2,0%
2,4%
Altri contratti e spese per servizi
19,8%
12,8%
16,3%
30,9%
23,0%
22,6%
Trasferimenti correnti a Comuni
5,1%
7,8%
5,3%
4,7%
1,7%
1,1%
Trasferimenti correnti a famiglie
2,9%
1,8%
3,8%
2,5%
1,5%
2,9%
Altri pagamenti
20,9%
25,2%
23,9%
16,3%
9,9%
14,9%
TOTALE
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
 

Alla fine, quanti tipi di UdC? – Emergono, nel corso dell’analisi sulle UdC, diverse anime o vocazioni. Abbiamo UdC – di solito di dimensioni robuste sia sul piano demografico che su quello finanziario, presenti soprattutto nel Nord Est – che nascono senza aver alcuna intenzione di interferire con l’operatività interna di ciascun Comune associato, ma solo per diventare uno strumento di sviluppo dei territori Comunali intesi come un unico sistema; abbiamo UdC a vocazione “mutualistica”, presenti per lo più nel Nord Ovest, dove alcune funzioni comunali possono essere assicurate (vedi Polizia municipale o servizi sociali) solo associandosi; vi sono poi UdC che di fatto sono aziende speciali “camuffate” da Ente locale, dedite ad un servizio in particolare (per lo più l’ambiente); vi sono infine le UdC in attesa di eventi.

Abbiamo infine (ma sono le più rilevanti) le UdC dell’Emilia Romagna, che fanno storia a sé e rappresentano il modello più avanzato di ricerca di un nuovo modo di fare “governo locale”: modello interessante, anche per il livello elevato di investimento “sistemico” (in termini di partecipazione istituzionale, di risorse finanziarie e progettuali, di capitale umano utilizzato, di risultati conseguiti) rilevabile sull’intero territorio regionale, ma difficilmente replicabile e non esente da qualche ombra.

La “Posta del Sindaco” al servizio dell’intercomunalità

Le sintetiche e disordinate considerazioni sin qui svolte rendono quando meno evidente la necessità di dare una risposta adeguata all’esigenza di informazione sullo stato dei Comuni e delle loro esperienze associative. Per questo motivo, stante ancora la relativa latitanza delle istituzioni pubbliche, l’idea di costituire, con la “Posta del Sindaco” un centro di raccolta ed elaborazione di materiali informativi utili sulla realtà delle dinamiche della cosiddetta intercomunalità, ci sembra meritevole di considerazione e di adesione da parte di soggetti, pubblici e privati, che guardano con interesse ai processi di aggregazione in atto o possibili tra le varie realtà territoriali.

 

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