Periferie: margini che ribollono e brillano
Le periferie delle città italiane raccolgono un bacino demografico che supera il 60 percento della popolazione totale: masse inurbate che abitano margini di natura complessa. Sono realtà dense di problematicità ma anche di bellezza, come ha voluto sottolineare Renzo Piano. Ed è proprio sul destino di queste aree che oggi è necessario riflettere e investire perché rappresentano l’occasione di ripensare le città in tutta la loro interezza. Un’occasione unica per un paese che vive un momento di transizione istituzionale importante e non può permettersi di trascurare quanto già oggi sta accandendo di bello in questi luoghi sul confine. A seguire una riflessione che raccoglie spunti emersi dalle iniziative e dagli impegni degli ultimi mesi, di FORUM PA e non solo.
15 Dicembre 2014
Martina Cardellini
Le periferie delle città italiane raccolgono un bacino demografico che supera il 60 percento della popolazione totale: masse inurbate che abitano margini di natura complessa. Sono realtà dense di problematicità ma anche di bellezza, come ha voluto sottolineare Renzo Piano. Ed è proprio sul destino di queste aree che oggi è necessario riflettere e investire perché rappresentano l’occasione di ripensare le città in tutta la loro interezza. Un’occasione unica per un paese che vive un momento di transizione istituzionale importante e non può permettersi di trascurare quanto già oggi sta accandendo di bello in questi luoghi sul confine. A seguire una riflessione che raccoglie spunti emersi dalle iniziative e dagli impegni degli ultimi mesi, di FORUM PA e non solo.
Se il centro è un clone, ascoltiamo le periferie
“Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città, avrei creduto d’essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito […] Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie, imballaggi, insegne che non cambiavano in nulla”. [1] Oggi il racconto è realtà. Tutto simile, anzi clonato. Al punto da non poter riconoscere il luogo in cui ci si trova. Un incubo reale, emergenze del capitalismo globalizzato che sta ridisegnando i cuori delle città: un fenomeno studiato dalla New Economic Foundation e che riguarda la maggior parte delle città occidentali e non solo. Se il tessuto commerciale – fatto di vetrine, insegne, marchi, prodotti – dei centri urbani tende a clonarsi, sono i margini quelli in cui si respira autenticità. Come Gianni Dominci sottolineava nell’editoriale della scorsa settimana: “Le periferie urbane stanno velocemente diventando non solo i luoghi dove si addensano i problemi, ma anche contesti dove, spesso, si concentrano le energie e le iniziative in grado di affrontarli con approcci nuovi”.
Sospese in una transizione incompiuta
In effetti, in questi anni di recessione, in cui la crescita si è fermata, è proprio sui margini sensibili che si sono manifestati gravissimi problemi sociali. Le periferie sono diventate territori di frontiera, con percorsi di riqualificazione e crescita identitaria interrotti. Torpignattara, per fare un esempio, non è più la periferia romana consolidata, il quartiere di Ragazzi di Vita non c’è più, ma il problema è che non c’è neanche altro. L’identità di una volta sembra essere evaporata. Oggi non ci sono più né le vecchie periferie, né quelle nuove (come accade per esempio in alcune zone di Berlino). I margini delle grandi città del paese sembrano vivere un momento di transizione interrotto, una crescita incompiuta di cui non si conosce il punto d’arrivo[2]. Sembrano aborti di un’architettura avventata che ha fallito sul piano politico, economico, naturalmente architettonico, ma soprattutto sociale.
Questi luoghi reclamano identità e definizione: sono terre con percorsi incompleti nelle quali emergono problemi profondi specifici della non identità e non definizione[3]. I margini, seppur fragili e delicati[4], si trasformano in bacini di violenza.
Nuove categorie e modelli per orientarci
Attualmente pensare il binomio centro-periferia attiva categorie di giudizio cariche di preconcetti. Il centro è il cuore e lo si immagina sempre come il luogo in cui tutto converge: un nucleo florido e potente. La periferia è invece il margine, spesso slabbrato, scomodo da raggiungere, dove crescono mostri di rara bruttezza (come il Serpentone romano di Fiorentino), e dove il degrado urbano e le case-canili di cui parla Cederna disegnano scenari da luoghi dell’abbandono. Eppure è tempo di rivisitare i nostri modi di pensare le estremità urbane, perché seppur spesso “non fotogeniche”, riprendendo un’espressione di Renzo Piano, sono queste la speranza del Paese: sono queste le città del prossimo futuro.
In questi bacini al margine, dove violenza e delicatezza coesistono, si raccolgono circa 36 milioni di persone, ben più della metà della popolazione italiana. Sono luoghi densi che stanno acquisendo una nuova centralità, e forse, come ci suggerisce Mario Spada “vale la pena indagare sulle risorse endogene” perché se è vero che nelle periferie si accumulano gran parte dei problemi, spesso è vero anche che in questi luoghi si trovano le energie per affrontarli. Sono delle scintille che fanno brillare un panorama desolato. Ed è a queste realtà, spesso non ben definite, che occorre prestare maggiore attenzione e ascolto. In questi luoghi nidificano soluzioni spontanee di rigenerazione a partire dalle quali si può innescare una ripresa per l’intero paese: sono storie di resilienza – di singoli, associazioni di quartiere, scuole così come di comunità straniere – che vanno scovate e valorizzate.
Nuova centralità dei margini
È sui margini delle città che si stanno sperimentando nuovi modi di vivere, anzi di convivere. Proprio nel momento in cui il governo della cosa pubblica non riesce a far fronte ai bisogni dei territori (oppure tenta di farlo con strumenti inadatti, strumenti di una volta), quelle che un tempo erano semplici associazioni di quartiere, associazioni di volontariato, ma anche semplici gruppi di cittadini attivi si trasformano in attori protagonisti di un nuovo modo di gestire, progettare e vivere il territorio. A fronte della crisi di istituzioni che spesso non riescono a rispondere alle necessità concrete dei cittadini, in alcune periferie nascono invece realtà che sono veri laboratori civici. Attraverso soluzioni – spesso collaborative – si superano inefficienze amministrative.
Prendono vita sistemi di co-housing, per cui nascono condomini solidali – che condividono lavanderie, laboratori per il “fai da te”, spazi per il tempo libero e il gioco – di condivisione dei luoghi di lavoro – sono nati co-working[5], incubatori, etc. – così come esperimenti di co-design dei servizi, di co-gestione del territorio. Tutti questi fenomeni ci devono far riflettere e far ragionare sulla necessità di nuovi modelli d’essere centro e periferia.
In quest’ottica, riprendendo e re- interpretando la Suburban Revolution di Roger Keil, FORUM PA ha avviato, a SCE 2014, un lavoro di indagine e progettazione sulle periferie, i loro bisogni ma soprattutto le loro energie, con il titolo "Periferie al centro, lavori in corso".
Come ci suggeriva Camilla Perrone, introducendo gli stili di vita suburbani, occorre un “nuovo sguardo” per “interpretare l’intricata coesistenza di fenomeni contrapposti” che ci troviamo davanti quando parliamo di questi elementi di confine. Dobbiamo ascoltare, interpretare, studiare, approfondire e appassionarci a questi luoghi che sperimentano e sono ricchi di umanità, di speranza e di voglia di cambiare.
È necessario prestare ascolto alle periferie anche in vista di queste nuove realtà istituzionali che saranno le Città Metropolitane: un processo di transizione, solo in parte normativa, che ridefinirà il territorio anche dal punto di vista economico e sociale.Attualmente l’apparato burocratico-amministrativo risulta un freno per gran parte delle iniziative che nascono dal basso. Per dirlo con le parole con cui Gianni Dominici ha introdotto il laboratorio a #SCE2014 il 22 ottobre scorso: “L’amministrazione, tanto più a livello periferico, deve acquisire la capacità di interloquire con questi stati nascenti ed è proprio da lì, partendo dalle situazioni cerniera, che va sperimentato un nuovo modo di lavorare insieme, collaborando”.
Una necessità eclatante riscontrata sin da subito anche dai tre gruppi di lavoro impegnati in questo primo anno di “rammendo” – qui uno stralcio dal dossier Periferie: “C’è bisogno di una nuova generazione di strumenti amministrativi capaci di adeguarsi a un contesto ormai mutato. È stato dunque chiaro da subito che, oltre a coinvolgere i cittadini attivi, il luogo fisico del rammendo deve allargarsi a strategie di co-gestione e manutenzione condivisa”[6].
Le periferie, che brillano e ribollono, rappresentano l’occasione di ripensare le città in tutta la loro interezza e su queste scegliere di investire[7]: è senza dubbio una delle più interessanti sfide che il paese dovrà affrontare in questi anni.
[1] lo racconta Italo Calvino, nel racconto di Trude, una delle sue Città Invisibili.
[2] “Luoghi che hanno perso il loro significato sia urbanistico che sociale”, è quanto si legge anche a proposito di Borgata Vittoria, quartiere della periferia torinese: uno dei tre “progetti di rammendo” del gruppo G124.
[3] Secondo quanto emerge dal Rapporto 2014 del Censis nelle città italiane sono cresciute disuguaglianze e divari sociali, e le periferie dove si condensano maggiormente problematicità e malessere sono ormai zone ad alto rischio banlieue parigine.
[4] Riporto due esempi, esemplificativi di una duplice natura che caratterizza le periferie: delicata e violenta al contempo. La morte del 28enne pachistano ucciso a pugni da un ragazzo 17enne nel quartiere di Tor Pignattara, nella periferia di Roma lo scorso ottobre. E quei numerosi esempi in cui le aree verdi vengono recuperate dal degrado e curate spontaneamente da gruppi di cittadini nelle periferie delle grandi città, da Napoli a Firene, da Torino e Bologna.
[5] Tra gli ultimi nati l’Alveare a Centocelle, quartiere della pariferia di Roma: un co-working con spazio baby, progetto dell’associazione Città delle Mamme.
[6] Periferie, diario del rammendo delle nostre città, Report 2013 – 2014, p.65
[7] Secondo la legge di Stabilità, a sostegno del progetto di rammendo dell’architetto senatore, per dare concretezza ai tre progetti pilota sviluppati dai sei giovani architetti su Roma, Torino e Catania, saranno stanziati 200 milioni di euro.