Piccolo è intelligente? La smart city nelle soluzioni dei comuni italiani

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Nei piccoli centri le tecnologie non trasformano la vita del cittadino facilitandone l’accesso ai servizi pubblici né ha molto senso applicarle a sistemi di mobilità urbana, come accade nei modelli dominanti di smart city. Per questi centri c’è invece la necessità di individuare esigenze, problemi e soluzioni applicabili alla propria realtà. Come fare? Si può partire con l’individuare le esigenze ma si può anche partire con il condividere le soluzioni. Perciò nasce Piccolo è Intelligente?, uno spazio on line di condivisione di pratiche intelligenti e sostenibili per le città d’Italia. Ce ne parla Dimitri Tartari, assessore a Innovazione tecnologica, Comunicazione e Politiche giovanili di San Giovanni Persiceto, tra i promotori dell’iniziativa.

13 Luglio 2012

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Chiara Buongiovanni

Nei piccoli centri le tecnologie non trasformano la vita del cittadino facilitandone l’accesso ai servizi pubblici né ha molto senso applicarle a sistemi di mobilità urbana, come accade nei modelli dominanti di smart city. Per questi centri c’è invece la necessità di individuare esigenze, problemi e soluzioni applicabili alla propria realtà. Come fare? Si può partire con l’individuare le esigenze ma si può anche partire con il condividere le soluzioni. Perciò nasce Piccolo è Intelligente?, uno spazio on line di condivisione di pratiche intelligenti e sostenibili per le città d’Italia. Ce ne parla Dimitri Tartari, assessore a Innovazione tecnologica, Comunicazione e Politiche giovanili di San Giovanni Persiceto, tra i promotori dell’iniziativa.

 

Chi parla?
Sono Dimitri Tartari, assessore all’Innovazione tecnologica, Comunicazione e Politiche giovanil a San Giovanni in Persiceto, un comune di circa 30.000 abitanti in Emila Romagna.

Navigando ci si siamo imbattuti in "Piccolo è Intelligente?" (con il punto interrogativo). Che cosa è?
Piccolo è intelligente?” è un progetto on line che ospita un blog e uno spazio social (su piattaforma IdealInformer) di condivisione, commento e votazione delle esperienze di utilizzo intelligente delle tecnologie, portate avanti da enti di piccole e medie dimensioni. In fondo non è niente di più di quello che si fa normalmente tra amministratori di territori vicini o di territori lontani quando si viene a conoscenza di esperienze interessanti. “Piccolo è intelligente?” è una domanda e non un’affermazione proprio perché è un tentativo di rendere visibili, riusabili e condivisibili le idee e i progetti delle amministrazioni più piccole, per venire incontro ad altre amministrazioni che magari stanno lavorando alla soluzione dello stesso problema e aprire così uno spazio di confronto. Nel tempo si riusciranno a selezionare dal basso le pratiche più “intelligenti”, probabilmente le più sostenibili. 

Perché dici che le pratiche più intelligenti saranno anche le più sostenibili?
Come tutti ben sappiamo l’Italia è costituita perlopiù da città medie, di provincia. E i piccoli centri hanno caratteristiche, esigenze, risorse diverse da quelle delle grandi città a cui generalmente con il modello della smart city si fa riferimento. I bei progetti di città intelligente devono essere declinati, necessariamene, secondo la logica della sostenibilità. Nelle realtà medio – piccole infatti le risorse, ora più che mai, sono molto limitate, quindi abbiamo bisogno di raccogliere idee intelligenti ( a me piace dire furbe), proprio in quanto coniugano la sostenibilità economica con la sostenibilità ambientale e sociale.

Quindi con “Piccolo è intelligente?” si propone una sorta di a caccia all’intelligenza “dal basso”…
Credo che ci sia bisogno di lavorare allo sviluppo dell’”intelligenza” dei piccoli comuni italiani seguendo un approccio di questo tipo, cioè sostanzialmente“dal basso”, perché quello che, in termini di smart city, viene proposto ai piccoli enti è generalmente qualcosa che è stato ideato e immaginato per le grandi metropoli, principalmente straniere. Nelle nostre cittadine non abbiamo le risorse di Toronto, di New York, e neanche possiamo paragonarci a Roma, Milano, Torino o Bologna. Per questo c’è la necessita di trovare soluzioni, idee e prodotti disegnati e scalabili sulle esigenze specifiche delle molteplici città italiane di medie e piccole dimensioni.

San Giovanni in Persiceto (e le altre cittadine italiane) non hanno le risorse di New York, ma hanno altre risorse. Questo ha a che fare con la loro “intelligenza”?
E’ chiaro che le cittadine italiane non hanno risorse economiche cosi ingenti, ma hanno delle caratteristiche proprie che sono risorse da mettere in gioco e che fanno spesso e volentieri la differenza. Abbiamo un tessuto sociale coeso, con la presenza di un gran numero di associazioni di volontariato e di promozione sociale e culturale. Abbiamo anche un grande potenziale legato alle piccole e medie imprese (PMI). Credo che, attraverso le scelte e le indicazioni inserite e discusse  nello spazio on line che proponiamo, si possano  attivare sul territorio le energie necessarie a realizzare le soluzioni per le nostre città, coinvolgendo tanto il sistema imprenditoriale quanto quello dell’associazionismo.

Gli amministratori sono pronti all’approccio di "Piccolo è Intelligente"?
Gli amministratori delle città medio – piccole sono molto pronti, perché si tratta di cittadini spesso prestati alla politica che ogni giorno affrontano i problemi concreti delle persone. E’ vero che potrebbe esserci  un divario di conoscenza e competenza legata all’uso degli strumenti tecnologici, per cui si potrebbe creare qualche problema di accesso, però l’età media degli amministratori sul territorio è molto bassa e molti hanno già sviluppato idee e usi di tecnologie frutto di visioni intelligenti (spesso seguendo un approccio all’innovazione senza permesso, per necessità o per eccezionalità degli eventi). Il punto è comprendere che la tecnologia può aiutare molto le piccole realtà e, per allargare questa consapevolezza, abbiamo bisogno di far circolare e condividere esperienze concrete a cui sono collegati risultati pratici.

Vuoi dire che  “tecnologia e piccoli paesi” può essere un binomio vincente in Italia?
E’chiaro che le tecnologie nei piccoli centri non trasformano la vita del cittadino facilitandone l’accesso ai servizi pubblici. laddove molto spesso gli sportelli non hanno code né problemi di parcheggio, come non ha molto senso applicarle a sistemi di mobilità urbana che di fatto non esistono. Però, ad esempio, i piccoli centri  si confrontano con la problematica dell’isolamento e con quella della popolazione anziana che vi risiede e che ha bisogno di assistenza. Voglio dire che è necessario capire esigenze, problemi e soluzioni applicabili a una realtà di piccole e medie dimensioni e che questo lo si può fare interrogandosi su quali siano le esigenze oppure facendo derivare il modello dalle soluzioni individuate, create ed applicate. Il metodo che proponiamo con "Piccolo è intelligente?" è il secondo. E’ una inversione del processo: partiamo da quello che è stato già fatto, dalle soluzioni e non dai problemi. Questo permetterebbe da un lato di descrivere quale è il modello di partenza, dall’altro di avere  a disposizione, da subito, un "pacchetto" di soluzioni intelligenti.

C’è spazio anche per i cittadini ?
Certo. Quello dei cittadini dovrebbe essere un ruolo di supporto, perché “Piccolo è intelligente?” cerca di comprendere se nei comuni sono state fatte esperienze che hanno portato risultati in termini di sostenibilità economica, ambientale e sociale. I cittadini possono, da un lato, diventare promotori (ci sono molte iniziative intelligenti che nascono dalla cittadinanza e non sempre hanno un coinvolgimento diretto delle amministrazioni), dall’altro possono diventare uno stimolo e, partendo dalle esperienze condivise su "Piccolo è intelligente?”, possono proporle alle amministrazioni dove risiedono, lavorano o hanno interessi economici.

Pensi che siamo pronti per un modello italiano di “città intelligente”?
Penso che sia fondamentale parlarne. L’Italia, con la sua
grande densità di piccoli centri, ha caratteristiche diverse da altri paesi europei e non avrebbe senso parlare di "smart cities e smart communities" senza tener conto di questo dato. E’ chiaro che sul territorio nazionale ci sono dei divide, delle distanze che vanno colmate e sulle quali bisogna intervenire. E’ vero anche, però, che da nord a sud,  esistono realtà in cui privati, enti territoriali e/o centri di ricerca si sono attivati e hanno ottenuto buoni risultati per colmare questi gap di natura infrastrutturale o sociale. Al momento quello che io vedo, e su cui credo bisogna puntare, è la possibilità di raccontare storie, esperienze concrete che hanno prodotto risultati veri. Piccoli contributi di intelligenza, diffusi su tutto il territorio nazionale.

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