“Post Quake Visions”: memoria e contemporaneità nella ricostruzione dei centri storici
Gli antichi centri storici italiani colpiti dal sisma del maggio 2012 possono rinascere a nuova vita grazie ad architetture in grado di dialogare con le architetture storiche superstiti, senza la pretesa di sostituirsi ad esse. Da questa premessa nasce "Post Quake Visions", concorso di idee per progettisti under 35 organizzato da Young Architects Competitions, in collaborazione con l’Università di Bologna, il Comune di Crevalcore, CNA Bologna, The Plan Magazine, e con la partecipazione di realtà professionali di grande fama e rilievo internazionali.
8 Luglio 2013
*Alessandro Cecchini
Gli antichi centri storici italiani colpiti dal sisma del maggio 2012 possono rinascere a nuova vita grazie ad architetture in grado di dialogare con le architetture storiche superstiti, senza la pretesa di sostituirsi ad esse. Da questa premessa nasce "Post Quake Visions", concorso di idee per progettisti under 35 organizzato da Young Architects Competitions, in collaborazione con l’Università di Bologna, il Comune di Crevalcore, CNA Bologna, The Plan Magazine, e con la partecipazione di realtà professionali di grande fama e rilievo internazionali.
La problematica della tutela, custodia e trasmissione della memoria storica, è da sempre tema di acceso dibattimento, e l’Italia, tradizionalmente, è uno dei principali campi da gioco di questa dialettica. Arroccata sulle rovine d’irresponsabili e criminosi attentati al proprio patrimonio storico, negli ultimi decenni la legislazione Italiana si è munita di un soffocante sistema normativo, orientato ad inibire ogni possibile manomissione dei propri centri storici: garantendone da un lato la conservazione, ma condannandoli dall’altro all’arresto, ed, in ultima istanza, alla morte.
Ad oggi la maggior parte dei comuni italiani di medie o piccole dimensioni sta assistendo ad un graduale quanto inesorabile abbandono dei propri centri storici, determinato da un’evidente incapacità degli stessi di assecondare quelle fisiologiche trasformazioni che l’agire dei propri fruitori richiederebbe; ma quando un evento, finanche drammatico o calamitoso, interrompa questo meccanismo, quali scenari si aprono di fronte ai progettisti?
Nella notte del 20 maggio 2012 un terremoto scuote il nord Italia, radendo al suolo centinaia di edifici e riducendo preziosissimi centri storici a laceri cumuli di macerie. L’attuale crisi economica complica la ricostruzione, suggerendo ai progettisti una fondamentale domanda: è possibile che l’uomo contemporaneo, in contesti non del tutto incontaminati, possa proporre una soluzione architettonica che vada oltre il mero ripristino?
Su questa domanda si costruisce Post Quake Visions, concorso di idee per progettisti under 35 organizzato da Young Architects Competitions, in collaborazione con l’Università di Bologna, il Comune di Crevalcore, CNA Bologna, The Plan Magazine, e con la partecipazione di realtà professionali di grande fama e rilievo internazionali: primi fra tutti Shigeru Ban Architects, 5+1 AA e il New York Department of City Planning impegnato in ricerche affini in relazione alla ricostruzione post-sandy[1].
Set ospite delle riflessioni relative a Post Quake Visions, è costituito dall’insieme dei lotti compromessi dal terremoto, mappati dalla recente pianificazione post-sisma, all’interno del centro storico di Crevalcore. Borgo medievale di circa 13.500 abitanti, Crevalcore è, nei fatti, uno dei comuni italiani più danneggiati dal sisma che nel 2012 ha scosso il nord Italia.
La scelta del sito è assolutamente strategica. Come la maggior parte delle piccole città italiane, il pregio architettonico di Crevalcore non risiede nell’eccellenza puntuale di alcuni manufatti localizzati, ma nella straordinaria omogeneità del tessuto urbano. A Crevalcore la coerenza della trama e la leggibilità del disegno è talmente manifesta da risultare teatrale: costituito secondo direttrici severamente ortogonali, si presenta come un quadrato senza irregolarità dal lato di 350 m orientato secondo gli agrimensori che scandiscono, da secoli, la campagna bolognese. Un tale assetto, unito alla stupefacente planarità del terreno ed all’assenza di sostanziali manomissioni della trama originaria, permette di percepire senza soluzione di continuità l’intero sviluppo del decumano da una porta all’altra della città.
Crevalcore costituisce dunque un laboratorio urbano di impareggiabile interesse per la genesi di soluzioni diffuse: senza necessariamente rinunciare ad una propria riconoscibilità, queste dovranno essere in grado di instaurare un dialogo colto ed elegante con le architetture storiche superstiti, definendosi quali paradigmi di un approccio omogeneo e globale da potersi estendere a qualsiasi dei vuoti causati dal terremoto; espressione della contemporanea sensibilità dei progettisti rispetto alle problematiche legate alla memoria.
Una sensibilità che non si prodighi al semplice ripristino, ma che guardi oltre: alle necessità di una società diversa da quelle che costituirono le nostre città, alla necessità di una verità storica che non può accettare la trasmissione dell’immagine artistica come unica istanza da tutelare, all’esigenza di contemporaneità, intesa come utilizzo di soluzioni, dispositivi e tecnologie architettoniche coerenti al nostro tempo. Fulgido esempio di tale assunto, trova esperimento in pregevoli esperienze di restauro architettonico, come l’intervento eseguito sull’Oratorio dei Filippini a Bologna, dove dell’architettura è restituita continuità fruitiva, senza tuttavia rinunciare a lasciare traccia dell’evento bellico che ha ferito il complesso.
Ma come rapportarsi alla storia senza relegarla all’ambito museale? Come garantire una conservazione efficace e sostenibile? In questo senso si inquadra la vision proposta da YAC in collaborazione con CNA, l’opportunità cioè di trasformare Crevalcore in un modello di smart city, di ri-strutturare gli antichi centri storici come mall tecnologico-culturali: straordinari tessuti connettivi, quinte di pregio hig tech entro le quali innestare programmi sinergici con le realtà produttive locali, che in un centro storico troverebbero straordinarie occasioni per l’inserimento di laboratori di ricerca, showroom o incubatori di impresa, e verso il quale garantirebbero un futuro di fruizione e sostenibilità economica. Un nuovo percorso partecipato, fra progettisti ed imprenditori, finalizzato alla trasformazione ed implementazione delle nostre realtà urbane, fra architettura e tecnologia.
La ricerca che YAC auspica di premiare sarà in grado di leggere nelle ferite inferte dal sisma vuoti utili all’innesto di architetture e dispositivi architettonici capaci di sintonizzare gli antichi centri storici su frequenze contemporanee, fatte di temporalità, leggerezza e personalizzazione della fruizione. Vere e proprie protesi architettoniche, non banalmente sostitutive, ma atte ad implementare e rivoluzionare, attraverso un dialogo colto ed elegante con le antichità superstiti, la fruizione dei manufatti storici, per stabilire una nuova cultura e proiettare, con efficacia e lungimiranza, il passato di altri nel nostro futuro.