Rigenerazione urbana e società multietnica: Torino e Malmo a confronto
I meccanismi migratori della nostra epoca pongono l’accento sulla “labilità” dei confini fisici, politici e culturali tradizionalmente concepiti e contribuiscono a delineare il profilo di una società contemporanea intrinsecamente multietnica. Le città sono lo scenario in cui si riflettono i più imponenti processi di cambiamento della struttura socio-demografica ed economica globale e in cui iniquità e arbitrarietà nella distribuzione della ricchezza tra i vincitori e i perdenti della globalizzazione emergono con maggiore prepotenza. Si illustrano alcuni casi studio in cui sono state adottate politiche per l’integrazione funzionali non solo a promuovere la coesione sociale, ma anche ad incentivare lo sviluppo economico locale attraverso il rafforzamento delle stesse comunità immigrate nell’ambito della rigenerazione urbana di quartieri fortemente degradati.
7 Aprile 2015
Chiara Testoni *, Andrea Boeri **
I meccanismi migratori della nostra epoca pongono l’accento sulla “labilità” dei confini fisici, politici e culturali tradizionalmente concepiti e contribuiscono a delineare il profilo di una società contemporanea intrinsecamente multietnica. Le città sono lo scenario in cui si riflettono i più imponenti processi di cambiamento della struttura socio-demografica ed economica globale e in cui iniquità e arbitrarietà nella distribuzione della ricchezza tra i vincitori e i perdenti della globalizzazione emergono con maggiore prepotenza. Si illustrano alcuni casi studio in cui sono state adottate politiche per l’integrazione funzionali non solo a promuovere la coesione sociale, ma anche ad incentivare lo sviluppo economico locale attraverso il rafforzamento delle stesse comunità immigrate nell’ambito della rigenerazione urbana di quartieri fortemente degradati.
Se da un lato i fenomeni di immigrazione implicano la diffusione di nuove forme di diversità culturale[1], dall’altro comportano la difficoltà da parte degli enti di governo nel gestire le necessarie politiche di integrazione: i bassi livelli occupazionali della forza lavoro immigrata, la crescente disoccupazione e gli alti tassi di immigrati sovra qualificati, l’esclusione sociale, la disparità di rendimento scolastico, la tensione da parte delle comunità autoctone, la povertà diffusa di molte comunità straniere sono i più evidenti indicatori di problematiche ancora irrisolte e pressanti in molti paesi europei.
Le politiche per l’integrazione sono inscritte tra gli obiettivi di crescita inclusiva della Strategia Europa 2020; inoltre, il riconoscimento dell’identità culturale e della diversità come un valore per l’Unione Europea non solo è la base per costituire società più integrate ma anche il punto di partenza per avviare concreti processi di sviluppo economico e sociale.
Il tema dell’integrazione sociale è una delle questioni di cui gli Amministratori Pubblici non possono non tenere conto, soprattutto in considerazione delle numerose aree urbane di segregazione ed emarginazione sociale che impongono di fare i conti con la presenza di diffuse comunità immigrate e che possono offrire strategiche opportunità di rigenerazione urbana.
Questo paper illustra alcuni casi studio in cui sono state adottate procedure di smart governance nell’ambito della rigenerazione urbana di quartieri caratterizzati da una consistente presenza di stranieri e fortemente degradati da un punto di vista ambientale, sociale ed economico. L’aspetto “intelligente” delle operazioni consiste nell’adozione di politiche per l’integrazione funzionali non solo a promuovere la coesione sociale ma anche ad incentivare lo sviluppo economico locale attraverso il rafforzamento delle stesse comunità immigrate.
Sono stati trattati gli esempi di interventi di rigenerazione avviati nel quartiere Barriera di Milano a Torino e in alcuni quartieri di Malmö.
Nel primo caso vengono illustrati strumenti di community empowerment nell’ambito di un processo di pianificazione strategica. La “pianificazione strategica” è un processo di pianificazione, generalmente in capo a soggetti istituzionali o economici, che riguarda contestualmente aspetti sociali, ambientali ed economici attraverso di un territorio e attraverso il quale vengono definiti gli obiettivi di un sistema e si individuano i mezzi, gli strumenti e le azioni compatibili con le risorse esistenti per raggiungerli nel medio/lungo termine[4].
Nel secondo caso sono esaminate politiche locali di community envolvement attive su due fronti: l’adozione di metodologie di living labs e lo sviluppo di pratiche sistematiche di urban farming, entrambe allo scopo di delineare strategie condivise di riqualificazione fisica del quartiere, consolidare il senso di appartenza al luogo, incentivare forme di resilienza e autosufficienza nella comunità.
La nozione di living lab (living laboratory) è nota ormai da qualche anno ed ampiamente diffusa in Europa[5]: un living lab è un forum di ricerca e innovazione, in cui il coinvolgimento attivo degli utenti finali permette di realizzare percorsi di co-progettazione di nuovi servizi, prodotti e infrastrutture di interesse sociale.
La pratica dell’ “agricoltura urbana”[6] in contesti multietnici caratterizzati dalla disponibilità di aree da riqualificare, facendo “leva” sulle specificità delle diverse comunità, sul loro spirito di iniziativa e capacità imprenditoriale e interpretando quindi la diversità culturale come una risorsa per lo sviluppo dell’economia locale, potrebbe essere un eventuale ambito di approfondimento per una Pubblica Amministrazione che volesse attuare strategie di integrazione correlate a procedure di rigenerazione urbana.
Pianificazione strategica e politiche per l’integrazione nella rigenerazione del quartiere “Barriera di Milano” a Torino
Il caso studio è particolarmente rappresentativo di un efficace approccio di pianificazione strategica integrata, in cui un capitolo essenziale del programma di rigenerazione è dedicato alle politiche per l’integrazione della vasta comunità multietnica che abita il quartiere.
Dal secondo dopoguerra ad oggi Torino è stata al centro di un consistente flusso migratorio: prima, dal Sud Italia in ragione delle possibilità occupazionali offerte dalla consolidata struttura industriale ai tempi del boom economico, poi negli ultimi decenni dai paesi del “Sud del mondo”[7].
Barriera di Milano è un quartiere “popolare” di Torino, in cui negli anni uno scenario multi-culturale si è progressivamente sostituito a quello autoctono di memoria industriale. Oggi Barriera di Milano è uno dei quartieri maggiormente attrattivi per le comunità straniere grazie alle condizioni favorevoli per l’insediamento, tra cui un’ offerta abitativa a condizioni economiche accessibili e una buona dotazione di servizi di pubblico interesse (mobilità, viabilità, servizi di prossimità).
Nonostante le intrinseche problematiche di integrazione, il quartiere è fortemente “vissuto” dalla comunità: con il programma “Urban – Barriera di Milano”[8], l’Amministrazione Comunale sta investendo per potenziarne la qualità urbana, l’attrattività e la competitività economica.
“Urban – Barriera di Milano” è un piano di 34 interventi fra loro coordinati e integrati, finanziati attraverso il ricorso a risorse pubbliche e private. Gli interventi, avviati a partire dal 2011, dovranno essere conclusi e rendicontati entro il 31/12/2014.
Il programma, interamente promosso e redatto dall’Amministrazione di Torino, è strutturato in tre assi strategici di intervento: “asse 1, fisico – ambientale”, inerente la riqualificazione dello spazio pubblico; “asse 2, economico – occupazionale”, inerente il miglioramento dell’ economia locale e dell’occupabilità; “asse 3, socio – culturale”, inerente il rafforzamento dell’offerta culturale e della coesione sociale.
La particolarità dell’intervento consiste nel riconoscimento della comunità immigrata del quartiere come strategica per incentivare lo sviluppo economico locale. Il programma intende infatti favorire un maggiore protagonismo degli immigrati nei processi socio-economici locali, grazie alla formazione di un loro più competitivo e strutturato background professionale funzionale ad accedere al mondo del lavoro e ad avere voce attiva nelle politiche pubbliche.
In dettaglio, le policies per l’integrazione rientrano nell’ambito dell’ “asse 2, economico – occupazionale” e dell’ ”asse 3, socio-culturale”.
Nell “asse 2, “economico – occupazionale”, rientrano diverse iniziative: il Progetto “Extra-Titoli in Barriera”, rivolto ai cittadini stranieri residenti a Torino, offre un supporto al riconoscimento in Italia dei titoli di studio o delle competenze professionali conseguiti all’estero[9]; il Progetto “OccupABILE a Barriera” è un insieme di servizi e strumenti per sostenere la qualificazione del capitale umano e favorire l’inserimento lavorativo della popolazione residente nell’area, di cittadinanza italiana o straniera, con particolare riferimento alle donne[10].
Nell’ambito dell’ ”asse 3, socio – culturale”, sono attivate iniziative per il rafforzamento dell’offerta culturale e della coesione sociale: il progetto “Promozione della cittadinanza attiva, integrazione e coesione sociale” si occupa di promuovere esperienze a servizio della collettività da parte di categorie deboli della popolazione, tra cui anziani, giovani, stranieri (iniziativa “Cittadini attivi”) e iniziative per la riappropriazione degli spazi da parte dei cittadini, la relazione interpersonale, la conoscenza reciproca e l’integrazione tra vecchi e nuovi abitanti, attraverso presidi sociali visibili ed eventualmente animati dagli stessi cittadini (iniziativa “Vivere Barriera”).
Politiche locali per l’integrazione: il caso di Malmö
La Svezia è un paese da tempo interessato da imponenti fenomeni di immigrazione.
A Malmö, la consistente immigrazione degli ultimi cinquanta anni ha profondamente alterato il paesaggio urbano, definendo un territorio punteggiato da vaste zone di segregazione ed emarginazione sociale: la disparità in termini di accesso ai diritti – casa, lavoro, educazione – determina una “miccia” esplosiva che in molti quartieri si traduce in vere e proprie azioni di “guerriglia urbana” [11].
Diversi quartieri storicamente abitati dalla working class, oggi sempre più multietnici e fortemente degradati (Augustenborg, Rosengård, Herrgården, Lindängen, Seved, Segevång, Holma-Kroksbäck,…), sono oggi il campo d’azione di imponenti operazioni di rigenerazione urbana che interessano simultaneamente aspetti ambientali, sociali ed economici.
In questi contesti, l’ Amministrazione Comunale ha avviato importanti strategie in materia di gestione dell’immigrazione. La particolarità dell’approccio adottato consiste soprattutto nell’adozione di un modello di governance “multi-livello” che prevede:
- l’adesione a progetti di cooperazione internazionale in materia di integrazione;
- l’adozione di una rete capillare di iniziative a scala municipale finalizzate a contrastare la discriminazione socio-culturale[12];
- l’attivazione alla scala di quartiere di sinergie tra rappresentanze comunali locali, associazioni di immigrati, ONG, in un attivo processo di concertazione tra le parti sociali.
A livello locale in particolare, la città di Malmö ha adottato una politica fortemente concentrata sull’integrazione e sul coinvolgimento della collettività nei processi decisionali pubblici. A questo scopo sono stati adottati programmi d’area quinquennali di intervento (Områdesprogrammen)[13] nei quartieri più conflittuali della città, nell’ambito dei quali sono state avviate iniziative di pubblico dialogo per l’attivazione di investimenti strategici sull’ambiente fisico e sulla struttura socio-economica, attraverso diverse modalità tra cui living labs e iniziative di urban farming.
Modalità di community envolvement: i living labs
Le iniziative di living labs avviate dall’Amministrazione di Malmösono molto diversificate, in ragione della consolidata esperienza della città ad adottare tali metodologie.
Di interesse per questo paper sono soprattutto i living labs finalizzati a rigenerare il tessuto socio-economico locale e innescare nuove forme di partecipazione, integrazione e iniziativa imprenditoriale nell’ambito di contesti urbani conflittuali. In questi casi le tecnologie informatiche sono impiegate come strumenti interattivi in grado di veicolare l’interesse e le vocazioni espressive degli utilizzatori e sono strumentali alla costruzione di un maggiore senso di appartenenza dei residenti al loro quartiere.
Un caso particolarmente esemplificativo in cui sono state avviate vivaci iniziative di living labs è costituito dal quartiere di Rosengård, correntemente assunto come il simbolo dei problemi connessi all’immigrazione e alla segregazione urbana[14].
Il Programma Sustainable Rosengård[15], promosso dall’Amministrazione Comunale, propone un concreto miglioramento della qualità ambientale e abitativa, insieme al potenziamento dell’integrazione sociale e dell’attrattività economica del contesto.
Il Living Lab “The Neighborhood”[16], attivo nel quartiere di Rosengård (oltre che di Fosie), coordinato dall’Università e con la partecipazione del Comune e di numerosi operatori economici, si è occupato di creare una piattaforma di co-produzione di servizi e innovazione sociale, finalizzata a coinvolgere la comunità prevalentemente straniera dei quartieri e stakeholders interessati a maturare investimenti nei due distretti. Diversi sono i progetti sviluppati attraverso il Living Lab.
Il progetto Parapolis ha esplorato le modalità con cui la partecipazione dei cittadini nell’ambito dei processi di rigenerazione urbana potesse essere implementata attraverso il ricorso a tecnologie informatiche: attraverso workshops condivisi tra vari stakeholders, sono state raccolte idee e suggestioni da parte dei cittadini relativamente alla trasformazione dello spazio pubblico poi trasformate in rappresentazioni visuali.
Il progetto URBLove era finalizzato a costruire una piattaforma digitale nella quale i giovani potessero ipotizzare percorsi interattivi nel quartiere ed invitare altri utenti ad esplorarli. Lo scopo era fare conoscere ai più giovani aree inesplorate e valorizzarle attraverso lo strumento del “gioco”.
Con il progetto Neighbourhood Technology la cooperativa di edilizia sociale MKB si è impegnata a riqualificare diversi edifici residenziali e spazi pubblici, in sinergia con la compagnia ICT Do-Fi, gli abitanti di Rosengård, l’organizzazione giovanile RGRA.
Con il progetto Hållbara Hilda, la cooperativa di edilizia sociale Hållbara Hilda ha attivato un percorso condiviso con gli abitanti per il rinnovamento di numerosi alloggi, allo scopo di garantire una migliore qualità abitativa e una riduzione dell’impatto ambientale.
Con l’iniziativa Herrgårds Kvinnoförening è stata potenziata la struttura dell’associazione femminile Herrgårds Kvinnoförening, specializzata nella produzione di artigianato locale e produzione di cibi, allo scopo di offrire accoglienza ai rifugiati di guerra: in questo modo l’associazione da un lato svolge un compito di notevole importanza in termini di promozione dell’ inclusione sociale, grazie anche alla possibilità di coinvolgimento dei rifugiati in attività quotidiane nelle quali acquisiscono ed esercitano le basi della lingua svedese, dall’altro è stimolata a potenziare la sua vocazione imprenditoriale ed è incentivata a strutturarsi per diventare maggiormente competitiva nel settore del catering e della produzione tessile – artigianale.
Networking tra stakeholders: il ruolo dell’urban farming
La particolarità delle politiche messe in atto dal Comune consiste nell’approccio “sistemico” alle questioni del riuso urbano connesso alle pratiche agricole, declinate attraverso il disegno unitario degli spazi da dedicare ad agricoltura e il coinvolgimento delle comunità di stranieri, delle cooperative edilizie, del terzo settore, allo scopo di sviluppare concreti progetti imprenditoriali con rilevanza economica estesa alla scala di quartiere, secondo una visione che si spinge oltre il riutilizzo del singolo appezzamento e implica un più complesso sistema di networking tra gli operatori[17].
In particolare l’Amministrazione ha costituito, nei quartieri di Seved, Rosengård e Lindängen, una rete strutturata di soggetti coinvolti nella promozione dell’urban farming – dall’Ente Pubblico titolare delle aree, alle organizzazioni impegnate nel city farming (“Stadsodling i Malmö”), ai proprietari di immobili/terreni tra cui le cooperative di abitazione locali (MKB), ai residenti – in modo da un lato di potenziare il senso di coesione sociale e dall’altro di fornire alla comunità gli strumenti per il proprio autonomo sostentamento e per un’eventuale accesso al mercato del lavoro: i prodotti agricoli coltivati localmente oggi vengono distribuiti in locali e ristoranti dei diversi quartieri a beneficio di una distribuzione a Km0 e dell’indotto locale.
A Rosengård, dove è stato istituito un apposito centro di formazione nel settore alimentare, le iniziative di coinvolgimento della comunità hanno riguardato per lo più la fascia più debole, quella delle donne: sono in particolare state avviate iniziative di start – up imprenditoriale di donne immigrate nell’ambito sia della produzione alimentare sia dell’ artigianato etnico grazie alla sinergia con organizzazioni e imprese sociali, che si occupano di avviare percorsi di inserimento professionale e avvio di iniziative imprenditoriali nel campo della ristorazione.
Conclusioni
Nella prospettiva di un futuro in cui i confini fisici e culturali dovrebbero essere sempre meno rigorosi, una delle sfide per una smart city è spingere le differenze culturali ad eccellere per contribuire fattivamente a uno sviluppo intelligente, sostenibile e inclusivo. Il tema della messa in valore delle comunità straniere per contribuire allo sviluppo economico locale in particolare è assolutamente determinate, allo stesso modo della coesione sociale.
Diverse sono le procedure di smart governance che possono essere adottate per attuare politiche per l’integrazione efficaci: dalle policies inserite all’interno di un processo di pianificazione strategica a modalità di community envolvement attraverso living labs o pratiche di urban farming.
Tutte le modalità implicano un considerevole sforzo di coordinamento da parte dell’ente pubblico, chiamato a svolgere un complesso ruolo di mediazione con gli operatori economici e la comunità[18].
Se l’attivazione di un procedimento di pianificazione strategica o di una metodologia di living lab richiedono procedimenti articolati, il ricorso a pratiche sistematiche di urban farming allo scopo di favorire integrazione e sviluppo economico locale incorre in difficoltà anche superiori da un punto di vista sia culturale che procedurale.
Da un punto di vista culturale, il tema del coinvolgimento degli immigrati nelle pratiche agricoleè estremamente “delicato” perché oggi l’agricoltura si sta “popolando” sempre più di lavoratori stranieri, una categoria socialmente ed economicamente svantaggiata, con basso potere contrattuale, spesso al di fuori della piena regolarità e del rispetto dei diritti, secondo un diffuso fenomeno di “californizzazione” del sistema produttivo basato sull’impiego di manodopera d’immigrati stagionali e a basso costo.
Da un punto di vista procedurale, poi, sarebbe necessario per un ente pubblico operare un “salto di scala” e andare oltre la visione di singolo orto urbano che, per quanto di interesse sociale, per la sua natura circoscritta non contribuisce al potenziamento di un “sistema” più ampio di benefici e interessi correlati a scala almeno di quartiere. Di maggiore portata strategica sembra allora una politica estesa a scala territoriale e coordinata a livello istituzionale, finalizzata a consolidare l’autosufficienza e laresilienza delle realtà locali, attraverso la saldatura tra i piccoli produttori, i commercianti al minuto, le piccole e medie aziende, gli artigiani e i professionisti radicati nel territorio.
Essenziale sarebbero poi, sulla base di un progetto unitario di aree da dedicare ad urban farming, lo sviluppo di progetti, rivolti agli stranieri, di formazione in sinergia con le cooperative agricole e con gli istituti professionali e di percorsi di start-up per iniziative imprenditoriali in sinergia con le imprese sociali.
Infine, per meglio valorizzare le competenze professionali, utile potrebbe essere una mappatura delle principali provenienze, competenze e specificità culturali delle diverse comunità straniere, in modo da inquadrarne le potenzialità di sviluppo più coerenti. Tale obiettivo richiede uno sforzo organizzativo considerevole che va oltre il semplice censimento “quantitativo” delle cifre dell’immigrazione per sconfinare nel terreno della valutazione “qualitativa” del profilo sociale delle comunità straniere. Sarebbe infatti indispensabile attivare analisi complesse e multidisciplinari, dalle valutazioni statistiche alla sociologia urbana, che richiedono un obbiettivo impegno economico da parte di un’Amministrazione ma che potrebbero contribuire a delineare un quadro di iniziative più coerenti rispetto alla effettive caratteristiche della popolazione straniera presente sul territorio.
* architetto, dottoranda di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Università di Ferrara
** architetto, Full Professor Università di Bologna, Dipartimento di Architettura
[1]Wood P., Landry C. (2007), “The Intercultural City: Planning For Diversity Advantage”, Earthscan, London
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[6]“Agricoltura urbana: produrre cibo in città più verdi”, 2010, available at: http://www.fao.org/news/story/it/item/45669/icode/(accessed 20/08/2014)[7] Sacchi P., Viazzo P.P. (2011), “Più di un Sud. Studi antropologici sull’immigrazione a Torino”, FrancoAngeli, Milan
[8] http://www.comune.torino.it/urbanbarriera/ (accessed 13/08/2014)[9] In 31 mesi di attività (dal 1/2/2012 al 31/10/2014) il servizio Extratitoli ha accolto 357 beneficiari residenti sul comune di Torino e ha offerto circa 200 consulenze (da fonte diretta: Extratitoli Torino)
[10] http://www.comune.torino.it/urbanbarriera/lavora/progetto-occupabile.shtml(accessed13/08/2014). Nel corso dell’ultimo trimestre 2014, il servizio ha permesso di inviare oltre 12.000 annunci di lavoro alle persone interessate, con una media di 13 offerte per ciascuna di loro. Nel corso del progetto le persone che hanno avuto almeno un contratto lavorativo sono state 247 (il numero complessivo di avviamenti è stato 489, con una media di 2 movimenti a persona). Nella maggioranza dei casi (63%) si tratta di occasioni lavorative di breve durata, cioé inferiori a 8 mesi. I contratti a tempo indeterminato hanno riguardato circa 1/4 delle persone. (da fonte diretta: Progetto Occupabile, UNDICESIMO REPORT DI MONITORAGGIO 31/12/2014)
[11] European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, “Diversity policy in employment and service provision. Case study: Malmö, Sweden”, CLIP, Cities for Local Integration Policies
[12]Mighton L. (2010), “Immigrant integration conflicts in Malmö through a development communication lens”, Thesis Submission for Graduate Degree – Master of Arts Communication for Development, Malmö University, Malmö available at: http://dspace.mah.se/bitstream/handle/2043/11753/mightoncomdev_sept29_2010.pdf?sequence=2 (accessed 20/08/2014); European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, “Diversity policy in employment and service provision. Case study: Malmö, Sweden”, CLIP, Cities for Local Integration Policies (accessed 20/08/2014) http://www.eccar.info/city-malmo-implementation-ten-point-plan-action-against-racism-and-discrimination (accessed 20/08/2014)[13]Guidoum Y. (2010), “URBACT cities respond to the economic crisis: Malmö. Area based programmes for completing the recovery from the 1980’s crisis”, available at:http://urbact.eu/fileadmin/general_library/Malmo_Casestudy.pdf(accessed 20/08/2014); PC van Gent W., Musterd S., Ostendorf W. (2009), “Disentangling neighbourhood problems: Area-based interventions in Western European cities”, Urban Research and Practice, Vol. 2, pp. 53-67, available at: http://dare.uva.nl/document/144353(accessed 20/08/2014)
[14]Lisa Mighton, “Immigrant integration conflicts in Malmö through a development communication lens”, Thesis Submission for Graduate Degree – Master of Arts Communication for Development, Malmö University, Sweden, Mighton L. (2010), “Immigrant integration conflicts in Malmö through a development communication lens”, Thesis Submission for Graduate Degree – Master of Arts Communication for Development, Malmö University, Malmö available at: http://dspace.mah.se/bitstream/handle/2043/11753/mightoncomdev_sept29_2010.pdf?sequence=2 (accessed 20/08/2014); Kaura P. (2013), “ The culture of employment: a study of immigrant women’s attitudes about working in Malmö, Sweden”, Bachelor of Philosophy, University of Pittsburgh, available at: http://d-scholarship.pitt.edu/18528/1/Kaura_P_etd2013.pdf(accessed 20/08/2014); http://www.corriere.it/esteri/09_maggio_05/salom_malmo_ghetto_ribelle_6798593c-3938-11de-ab3d-00144f02aabc.shtml(accessed 20/08/2014)
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