Seoul Sharing City. L’atomo diventato molecola, in che modo lo scopriremo a FORUM PA 2017

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Il 20 settembre 2012, l’SMG firma la dichiarazione di Seoul Sharing City. Won-Soon Park, sindaco della città sud-coreana, crea una équipe dell’economia collaborativa, dando spazio, fino ad ora, a più di 70 nuove PMI di differente vocazione. È possibile replicabile il progetto nelle nostre amministrazioni? Non può valere la regola del one-fits-all, eppure qualcosa si muove anche nel nostro paese

27 Febbraio 2017

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Marina Bassi

Parliamo costantemente di economia collaborativa e delle implicazioni positive che questa può avere sul benessere dei cittadini, eppure non sono ancora molti i casi in cui si sia passati dalla teoria alla pratica. Ma se è vero quanto dice Michel Bauwens[1], e cioè che l’intelligenza di una pubblica amministrazione sta nell’accogliere gli effetti dell’intelligenza degli attori sociali che compongono la comunità, allora Seoul è un classico esempio di amministrazione intelligente.

Il Seoul Metropolitan Government (SMG), con la dichiarazione di Seoul Sharing City dell’autunno del 2012, si è fatto promotore di un movimento che ha ben poco a che vedere con i buoni auspici teorici delle più classiche campagne elettorali. Won-Soon Park, sindaco della città sud-coreana, probabilmente influenzato dalla sua esperienza nei diritti umani, ha costruito una équipe dell’economia collaborativa, che fino ad ora ha dato spazio a più di 70 nuove PMI di differente vocazione. E qui spazio vuol essere inteso nel senso letterale del termine. La maggior parte delle imprese gode infatti di uffici, finanziamenti e servizi direttamente sostenuti dalla pubblica amministrazione. Non stupisce, quindi, che gli sia stato conferito il premio Gothenburg per lo sviluppo sostenibile, premio annuale destinato alle persone o organizzazioni con grandi meriti in tema di innovazione sociale. Che sia stato per motivi sociali o politici (pare che Park sia destinato a concorrere per la carica di Capo dello Stato alle prossime elezioni), il modello sembra funzionare. Un indicatore che misura la buona riuscita del progetto potrebbe essere quello che concerne il finanziamento alle imprese, delle quali solo una risulta essere stata eliminata dal programma per mancata ottemperanza ai parametri richiesti dalla Sharing Facilitation Committee, specializzata nella gestione amministrativa e fiscale del progetto. Questo sta a significare, da un lato, che il monitoraggio delle attività esiste; d’altra parte, ciò dimostra la serietà di chi ha deciso di imbarcarsi nell’avventura dell’economia collaborativa. “They’re serious about that!” dice Neal Gorenflo[2].

Chiaramente, non può essere frutto del caso, o della sola amministrazione Park, oppure ancora della sola iniziativa spontanea dal basso, che queste condizioni si verifichino con risultati così promettenti (parliamo di più di 6.000.000 $ stanziati a favore di startup). Ben prima della Sharing Promotion Ordinance[3], e prima ancora della dichiarazione di Seoul Sharing City, il governo locale già tentava di rispondere ai bisogni territoriali, che nell’era post-industrializzazione si erano trasformati in vere minacce al benessere sociale. Nel periodo post bellico la città è stata caratterizzata da una fortissima urbanizzazione, che si è tradotta in una densità di popolazione di 10.000.000 di abitanti per poco più di 370 km2. Il sovraffollamento, al quale è seguito isolamento e mancanza di spazi di condivisione, ha portato Seoul a essere una delle città con il più alto tasso di suicidi al mondo. Il dato preoccupante riguardava i giovani soprattutto nell’età di passaggio tra la scuola dell’obbligo e l’Università. Come sostiene Monica Bernardi, quello è il periodo in cui in Corea del Sud si decide che tipo di vita un uomo o una donna faranno. Se non si riesce ad accedere alle Università migliori del Paese, e se non esistono luoghi di condivisione di queste ed altre paure, decisioni estreme possono trovare terreno fertile. Questo, infatti, è stato il punto di partenza che ha portato alla Seoul che conosciamo oggi.

La formazione dei giovani è stata il primo campo di sperimentazione per l’economia collaborativa, tanto da creare una youth zone per lo studio condiviso.

A questo va aggiunta una politica di inclusione degli anziani, per i quali sono stati previsti corsi di formazione digitale, che oggi permettono loro di seguire lo stato di percorrenza della metro, ad esempio.

Ma se c’è un vero protagonista della rinascita di Seoul, questo è il processo di digitalizzazione infrastrutturale della città. Oggi, Seoul vanta la rete internet più veloce al mondo, quasi 2.000 postazioni WiFi pubbliche, e fibra ottica a copertura totale del territorio. È anche grazie a questa garanzia che startup come BnBHERO[4] o Nanum Car[5] si sono affermate sul territorio come validi competitors dei grandi players, come AirBnB o UberX, da poco peraltro messo al bando dal governo sud-coreano.

La considerazione naturale che ne deriva è che se diversi fattori cooperano per uno scopo comune, quello scopo si raggiunge. Dobbiamo comportarci da molecole, non da atomi.

Se il modello sia esente da minacce toccherà stabilirlo alla Bank of Korea, che ha recentemente creato un gruppo di lavoro all’interno dell’Economic Statistic Department, al fine di monitorare sul lungo periodo gli effetti del progetto Seoul Sharing City. E chiedendo se il programma sia replicabile nelle nostre amministrazioni, invece, Bernardi risponde che non può valere la regola del one-fits-all. Il progetto di economia collaborativa deve necessariamente essere contestualizzato perché possa funzionare, fermo restando che buone pratiche come quella di Seoul possono essere una leva per il passaggio tra il dire e il fare.

E a proposito di fare, qualcosa si muove anche in Italia. Dopo alcuni buoni esempi di economie collaborative, come quella innescata a Palermo per la mobilità (tanto da rientrare nel ranking di Smart Cities Index 2016 di E&Y), o Regione Puglia con il programma Bollenti Spiriti, da poco concluso, anche Regione Veneto fa passi da gigante. Il Consorzio Arsenal nasce come connettore delle 9 aziende sanitarie, aziende ospedaliere e dall’Istituto Oncologico Veneto (IOV), e ha l’obiettivo di facilitare il rapporto dei cittadini con il sistema sanitario regionale creando percorsi personalizzati, e avvicinandoli attraverso la tecnologia digitale.

Ecco che altri atomi si fanno molecola.

Durante la Manifestazione FORUM PA 2017 (23-25 maggio) affronteremo il tema dell’economia collaborativa

Focus: Seoul Sharing City. Il 20 settembre 2012, l’SMG firma la dichiarazione di Seoul Sharing City, dopo una consultazione pubblica che ha messo in evidenza i problemi e i rispettivi bisogni della comunità: traffico, residenze, ambiente. Da più di quattro anni, il progetto regge 77 startup nate e cresciute all’interno di un incubatore a sostegno pubblico, per la produzione di servizi collaborativi di welfare. Le cinque azioni chiave del progetto sono: Ordinanza sulla promozione della condivisione (giugno 2014); supporto delle imprese collaborative; sostegno da parte delle istituzioni; apertura e accesso alle informazioni pubbliche; monitoraggio periodico dei risultati.

[1] Fondatore della P2P Foundation
[2] Co-fondatore di Shareable
[3] Entrata in vigore nel giugno 2014, la Sharing Promotion Ordinance è un atto amministrativo che disciplina e specifica l’oggetto, le modalità, i tempi, e i servizi soggetti a diventare esempio di sharing economy.
[4] Servizio di fitto posto letto o stanza per brevi periodi.
[5] Servizio di car sharing

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