Burocrazia zero? No grazie.
Anche questo breve editoriale sarà dedicato al decreto di manovra finanziaria per il 2011 che tra poco comincerà il suo corso parlamentare per la sua conversione in legge. Già la settimana scorsa avevo parlato distesamente dei tagli lineari e degli effetti, a mio parere perniciosi, che essi possono avere sul funzionamento delle amministrazioni sia per il sostanziale attacco all’autonomia organizzativa degli enti, sia per il negativo giudizio implicito che contengono e che si sostanzia nel radicale ridimensionamento della formazione, della comunicazione, della consulenza.
8 Giugno 2010
Carlo Mochi Sismondi
Anche questo breve editoriale sarà dedicato al decreto di manovra finanziaria per il 2011 che tra poco comincerà il suo corso parlamentare per la sua conversione in legge. Già la settimana scorsa avevo parlato distesamente dei tagli lineari e degli effetti, a mio parere perniciosi, che essi possono avere sul funzionamento delle amministrazioni sia per il sostanziale attacco all’autonomia organizzativa degli enti, sia per il negativo giudizio implicito che contengono e che si sostanzia nel radicale ridimensionamento della formazione, della comunicazione, della consulenza.
Un’ulteriore norma in questo decreto non può che confermare questa impressione e le preoccupazioni ad essa connessa: si tratta dell’introduzione delle zone a “burocrazia zero”.
Leggo da dizionario Hoepli:
“Burocrazia [bu-ro-cra-zì-a] s.f. (pl. -zìe)
Organizzazione statale nella quale lo svolgimento dell’attività, spec. amministrativa, è affidato a enti che agiscono nel rispetto dei regolamenti”
e subito viene da chiedermi se le zone a “burocrazia zero”, che la manovra di Tremonti propone, saranno zone senza enti o senza regolamenti.
Senza enti no, ce ne sarà uno solo, un commissario, dotato di tutti i poteri e in grado di dare tutte le risposte. Saranno allora senza regolamenti? senza regole?
Mi preoccupo e per capire meglio vado a rileggermi Weber: in sintesi dice che per burocrazia si intende l’organizzazione di persone e risorse destinate alla realizzazione di un fine collettivo secondo criteri di razionalità, imparzialità, impersonalità. Il termine indica un potere (o, più correttamente, una forma di esercizio del potere) che si struttura intorno a regole impersonali ed astratte, procedimenti, ruoli definiti e immodificabili dall’individuo che ricopre temporaneamente una funzione.
Peggio mi sento: se questa è la base dello stato democratico moderno e delle sue regole che fine fa nelle zone a burocrazia zero? Le regole impersonali ed astratte che ci difendono dall’arbitrio ci saranno? O sarà possibile modificarle da parte di chi dovrebbe applicarle?
Di nuovo, come nel caso della disinvolta attribuzione di moltissimi compiti complessi alla categoria di “eventi eccezionali”, ci troviamo di fronte ad una tentazione vecchia che ha il suo simbolo più famoso nella spada di Alessandro che, invece di usare la pazienza di sciogliere il nodo, lo taglia e se ne va.
Dobbiamo quindi difendere i nodi, i lacci e i laccioli che soffocano le imprese?
Certo che no: dobbiamo lottare per un’amministrazione più moderna, più efficiente ed efficace, per una semplificazione delle regole, per un’attribuzione dei poteri e delle funzioni meno confusa e sovrapposta, in una parola per una burocrazia migliore, ma non per azzerare un presidio senza il quale c’è solo l’arbitrio, sia esso di un sovrano o di un commissario.
Quella che non vogliamo è la burocrazia autoreferenziale che fa sì che le organizzazioni abbiano come principale attività quella di sopravvivere e accrescersi. Quella che non vogliamo è un’organizzazione della Repubblica che a quasi dieci anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione non riesce ad uscire da una confusione di ruoli e di competenze che nessun Governo da allora (ne sono passati cinque) ha avuto la forza di sconfiggere. Quella che non vogliamo è l’ignorante prepotenza del burocrate sciolto da ogni valutazione e da ogni conseguenza delle sue azioni o, più spesso, delle sue omissioni.
Azzerare la burocrazia in alcune zone particolarmente “calde” dal punto di vista degli insediamenti produttivi va in questa direzione? A mio parere no: sia nella forma sia nella sostanza va anzi in direzione contraria.
Non posso che ripetere quel che già scrissi quattro mesi fa parlando della “Protezione Civile SpA”. Se invece di pretendere dalle istituzioni che siano efficaci ed efficienti, che si dotino di procedure con tempi certi, che rendano conto ai cittadini di come sono spesi i loro soldi diciamo loro “scansati e lasciami lavorare”, come potranno migliorare?
Se invece di sanzionarle quando sbagliano, di dotarle dei mezzi di cui hanno bisogno, di creare le condizioni istituzionali per cui possano operare insieme ai diversi livelli di governo le esautoriamo, come potranno costruire in autonomia e responsabilità le condizioni della fiducia?
C’è ancora tempo per correggere la manovra. Per una svolta che vada nel senso dei migliori aspetti della Riforma Brunetta: la responsabilità, la valutazione, la premialità. Il mio auspicio e che su questo le forze politiche siano più attente meno approssimative, meno caciarone, meno rivolte ad immediati ed effimeri successi e non mettano così in pericolo i pilastri stessi del vivere democratico. C’è ancora tempo… ma non molto.