Chi paga la manovra?

Home Economia Chi paga la manovra?

Da Mauro Bonaretti, Direttore generale del Comune di Reggio Emilia, una riflessione sulla manovra finanziaria per rispondere principalmente a una domanda:davvero questa manovra sarà a carico dei cosiddetti “fannulloni”? Oppure siamo di fronte ad una azzeccata formula mediatica?

22 Giugno 2010

M

Mauro Bonaretti, Direttore generale del Comune di Reggio Emilia

Articolo FPA

Da Mauro Bonaretti, Direttore generale del Comune di Reggio Emilia, una riflessione sulla manovra finanziaria per rispondere principalmente a una domanda:davvero questa manovra sarà a carico dei cosiddetti “fannulloni”? Oppure siamo di fronte ad una azzeccata formula mediatica?

//

In questi giorni si è a lungo discusso della manovra del governo. La posizione ufficiale dell’esecutivo è molto chiara: la manovra non interviene sulle categorie “produttive” né in termini fiscali né in termini retributivi. La manovra interviene principalmente attraverso i tagli alle amministrazioni pubbliche (in particolare Regioni e Comuni) e il blocco della dinamica contrattuale nel pubblico impiego. Il messaggio contenuto in questa strategia è molto semplice: esiste una categoria che, grazie alla garanzia del posto di lavoro, è stata meno esposta di altre alla crisi e dunque si sceglie, principalmente, di penalizzare quel blocco sociale, peraltro indicato dallo stesso Governo per qualche anno confidenzialmente come “i fannulloni”.

Come tutti gli schemi comunicativi efficaci, il messaggio è semplice, diretto e coglie un buon senso e sentire comunemente diffuso. Questo messaggio viene poi confezionato con una frase tormentone: “la riduzione del perimetro della pubblica amministrazione”.
Cioè si dice in sintesi estrema “anziché far pagare tutti, carichiamo il problema su chi ha sofferto meno ed è più garantito: i dipendenti pubblici”.
Al di là di numerose possibili osservazioni di merito su questa affermazione è a mio parere molto interessante porsi una domanda di fondo: ma è davvero così? Davvero questa manovra sarà a carico dei cosiddetti “fannulloni”? Oppure siamo di fronte ad una azzeccata formula mediatica?

La mia tesi è quest’ultima e provo a dimostrarlo con alcuni esempi secondo me chiarissimi:

a)  In primo luogo i tagli che riguarderanno le amministrazioni sono di tipo lineare e lasciano inalterati i livelli di efficienza: chi spreca continuerà a sprecare. Di più, si teorizza persino una sorta di cristallizzazione sul piano retributivo individuale, lungi dall’ipotizzare, interventi selettivi sui meccanismi di generazione della spesa improduttiva o sul merito, la manovra comprime e cancella con un tratto di penna ogni ipotesi di riforma della PA. Dunque l’esito unico possibile della riduzione dei trasferimenti sarà automaticamente il taglio dei servizi ai cittadini. I servizi pubblici sono spesso una forma di redistribuzione della ricchezza e di conseguenza tagliare i servizi significa semplicemente penalizzare in modo prioritario chi non potrà sostituire il servizio pubblico con quello alternativo privato: i lavoratori precari, chi ha perso il lavoro, i cassa integrati. Questo fenomeno sarà aggravato dal blocco del turn over che in molti settori (scuole, sanità, sicurezza, sociale) è sinonimo di ulteriore riduzione dei servizi.

b)  In secondo luogo i tagli che le amministrazioni saranno costrette ad effettuare saranno sulla cosiddetta spesa comprimibile, una porzione non superiore a circa un quarto della spesa corrente e concentrata sulla produzione diretta per servizi. Percentualmente dunque i tagli subiranno un effetto moltiplicato in quanto il denominatore potenziale al quale sono applicabili è almeno quattro volte inferiore rispetto al totale della spesa complessiva del bilancio. Inoltre i tagli, in assenza di manovre strutturali, necessariamente si concentreranno proprio sulla spesa variabile destinata agli aggregati di acquisto per servizi, trasferimenti ecc.

c)  L’esito netto dei tagli dunque sarà una riduzione non tanto del perimetro pubblico, ma delle funzioni di committenza della PA. In sostanza ciò che immediatamente verrà ridotta è la parte buy della pa, invertendo così pesantemente il trend di outsourcing in corso da venti anni, attraverso una reinternalizzazione dei servizi in appalto. A farne le spese saranno dunque in primo luogo le imprese e i lavoratori che hanno come mercato il settore pubblico che vedranno di fatto dimezzato il loro abituale fatturato.

d)  Il patto di stabilità che impedisce la spesa per investimenti anche in presenza di finanziamenti certi non penalizza affatto solo i lavoratori pubblici, ma in primo luogo le imprese manifatturiere e i lavoratori che hanno come business le commesse pubbliche e in misura indiretta tutti i cittadini che non potranno vedere realizzate le opere pubbliche e le infrastrutture. A soffrirne dunque saranno interi settori produttivi primari (edilizia e opere pubbliche) e la capacità del Paese di ammodernare o almeno manutenere il proprio sistema infrastrutturale, così vitale in termini di competitività di sistema (o almeno così si diceva una volta).

e)  I tagli del 50% alla formazione e dell’80% alla consulenza, se li si guarda con una retorica meno rozza di quella che li assimila agli sprechi, significano la rinuncia a investire sui lavoratori della conoscenza e sui talenti. Di cosa parliamo quando parliamo di ricercatori, avvocati, ingegneri, architetti, designer, creativi, esperti di scienze organizzative ecc. se non di lavoratori della conoscenza? Come è possibile che un giorno queste professioni intellettuali siano considerate il futuro dei Paesi sviluppati e il giorno seguente diventino corporazioni formate da una pletora di parassiti a cui vanno tagliate le unghie rapaci? Francamente non mi è chiaro. Ciò che è certo è che la PA è un mercato fondamentale per le professioni e per la ricerca e che il nostro Paese già oggi svolge poco e male, rispetto ad altri, questa fondamentale funzione di committenza e volano per il capitale intellettuale. I tagli alla formazione e alla consulenza si può discutere se, come sostengano alcuni, penalizzino anche i dipendenti pubblici (minori possibilità di crescita) o se, come sostengono altri, li avvantaggino (maggiori spazi per lavori oggi spesso esternalizzati), ma ciò che è certo e indiscutibile è che ad essere penalizzate saranno in prima battuta tutte le professioni intellettuali del nostro Paese che vedranno ridotte quasi al nulla i propri rapporti con la Pa.  

A pagare la manovra dunque saranno certamente i dipendenti pubblici con il blocco contrattuale e del turn over, ma questa in verità è solamente una foglia di fico comunicativa. Chi ne farà maggiormente le spese saranno immediatamente e primariamente altre categorie di lavoratori e cittadini:
a)     Le imprese profit e non profit che producono servizi per le amministrazioni. Saranno lasciati a casa migliaia di lavoratori che attualmente operano al fianco delle amministrazioni nei servizi erogati in outsourcing.
b)     Le imprese manifatturiere e i lavoratori dei settori primari vedranno bloccate tutte le commesse infrastrutturali delle PA, impossibilitate a pagare i fornitori in conto investimenti nonostante la presenza dei finanziamenti necessari.
c)      I professionisti della conoscenza e della creatività (architetti, ingegneri, geometri, geologi, economisti, ecc) che in numerosi casi vedranno di fatto azzerarsi le proprie commesse professionali.
d)     I cittadini delle classi meno agiate che vedranno ridursi in modo consistente l’agibilità dei servizi pubblici che saranno sostituiti da servizi privati a totale copertura a carico di rette e tariffe.

Senza entrare nel merito dell’equità o meno della manovra ciò che appare evidente è che la comunicazione degli impatti e gli impatti reali della manovra avranno percorsi che divergeranno in modo profondo.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!