Di Brunetta, delle idee, dell’orgoglio e dei cinesi per un‘Amministrazione 2.0
Qualche giorno fa Giampaolo Fabris sul suo blog ha ricordato il famoso aforisma di John Fitzgerald Kennedy «Scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità». I pericoli che discendono dall’attuale situazione sono evidenti a tutti e, in termini occupazionali e produttivi, oltre che sociali, ne stiamo già subendo le conseguenze. Meno attenzione viene posta, invece, alle opportunità che da un periodo come questo di messa in discussione radicale delle certezze radicate, possono scaturire dal futuro.
20 Gennaio 2009
Gianni Dominici
Qualche giorno fa Giampaolo Fabris sul suo blog ha ricordato il famoso aforisma di John Fitzgerald Kennedy «Scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità». I pericoli che discendono dall’attuale situazione sono evidenti a tutti e, in termini occupazionali e produttivi, oltre che sociali, ne stiamo già subendo le conseguenze. Meno attenzione viene posta, invece, alle opportunità che da un periodo come questo di messa in discussione radicale delle certezze radicate, possono scaturire dal futuro.
Nel caso dell’innovazione tecnologica, ad esempio, l’Italia ha arrancato fino ad oggi dietro ai grandi players mondiali giocando un ruolo marginale nello scenario internazionale: abbiamo una dotazione infrastrutturale digitale modesta, non abbiamo aziende produttrici di caratura internazionale e non abbiamo campioni in grado di confrontarsi a livello mondiale nel campo del web. Anche se (ed è altamente improbabile) l’economia ricominciasse a girare ci ritroveremmo in termini di competitività ai livelli marginali precedenti.
La crisi e i pericoli attuali potrebbero diventare, invece, occasione per introdurre una nuova marcia, un nuovo ruolo dell’Italia nello scenario internazionale. Ma servono idee forti e coraggiose. Come quando la Finlandia in piena crisi economica, nei primi anni ‘90, ha trasformato la sua vocazione economica individuando e sostenendo quei settori, come quello delle telecomunicazioni, che riteneva più promettenti e in cui, in pochi anni, è diventata leader mondiale.
Proprio in queste ore in Inghilterra si parla di “Digital Britain”, un progetto voluto direttamente dal primo ministro Gordon Brown, che punta proprio sull’industria delle telecomunicazioni per ridare slancio all’economia inglese e offrire una nuova centralità (oltre a quella finanziaria) nell’arena internazionale alla Gran Bretagna tramite l’obiettivo concreto di dotare tutte le case di banda larga entro il 2012.
E’ un’idea, un progetto, sicuramente più promettente della mancanza assoluta di strategie e di visione del futuro che invece subisce il nostro paese.
In questa ottica fa bene il ministro Brunetta ad individuare nella pubblica amministrazione il settore dal quale poter riavviare la crescita della nostra economia (come d’altronde la Commissione Europea sostiene da anni) sancendo definitivamente il passaggio dallo Stato soggetto allo Stato funzione o, meglio ancora, servizio. Ma questa centralità non può essere guadagnata semplicemente appellandosi al senso di responsabilità dei dipendenti pubblici a favore di una maggiore produttività. Troppo semplice per un’equazione leggermente più complessa: all’orgoglio individuale ci si può riferire quando c’è un progetto condiviso, un obiettivo nobile da raggiungere, una visione di futuro che non può essere semplicemente quella di mettersi a testa bassa e produrre di più in termini assoluti.
Il processo di informatizzazione e di modernizzazione della pubblica amministrazione, ad esempio, in passato si è prevalentemente basato su una spontanea partecipazione dei dipendenti più motivati che hanno messo a disposizione competenze, energie e orgoglio per costruire, sperimentando insieme, una pubblica amministrazione più vicina ai cittadini: è sullo spontaneismo dal basso che sono nate le prime reti civiche, i servizi online e la telematica pubblica.
Ora è evidentemente necessario pensare ad una nuova fase che dia nuova spinta e centralità alla pubblica amministrazione e che sia sostenuta, allora sì, dall’orgoglio e dalla responsabilità a cui si appella Brunetta.
Ma è una nuova fase che deve scaturire non dalla semplice evoluzione o adattamento di quella precedente, ma come completo, radicale e genetico mutamento.
C’è bisogno, per parafrasare l’iniziativa britannica, di una “Digital Italy”. Da questa prospettiva il web 2.0 può essere metafora e strumento per una pubblica amministrazione che si ripensa. E’ metafora nel senso che può essere evocativo di una pubblica amministrazione che rifonda se stessa e ridefinisce il suo ruolo all’interno del paese, è strumento perchè proprio dall’utilizzo delle tecnologiche più avanzate si possono trovare le soluzioni più adatte per migliorare i servizi offerti, ridurre i costi, guadagnare efficienza per investire in nuove soluzioni e fare così da volano ad un’economia in difficoltà.
L’Amministrazione 2.0 (per ora chiamiamola così) ragiona in termini di obiettivi piuttosto che di procedure, si preoccupa di valorizzare i saperi e la saggezza dei dipendenti e dei cittadini nella consapevolezza che l’intelligenza collettiva permette imprese impossibili per un’organizzazione o per una persona, punta l’attenzione sulla partecipazione dei cittadini piuttosto che sulla semplice informazione.
Convinti della necessità di avviare una riflessione su questi temi FORUM PA e il Comune di Venezia hanno organizzato un tavolo di confronto tra gli enti locali più sensibili ed impegnati a sostenere un nuovo modo di amministrare la cosa pubblica: il club di Amministrare 2.0. Si tratta per ora di un tavolo informale che si riunirà il prossimo mese a Venezia proprio per stabilire nel dettaglio il programma delle iniziative di quest’anno.
Prima fra tutte il sondaggio lanciato oggi al nostro Panel proprio su questi temi.
Rimanete sintonizzati e, intanto, dite la vostra.