Giuseppe De Rita, Le minoranze vitali che spezzano l’inerzia italiana

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by Thomas Hawk

Il Rapporto Censis 2007, descrivendo lo scenario italiano, parla di "poltiglia di massa" e “mucillagine”, insomma di inclinazione all’inerzia in una realtà frammentata, priva di coesione e degradante al peggio. Parla, tuttavia, anche di “minoranze attive”, vitali e trainanti, che possono innescare nuovi processi di sviluppo. Ma quali sono queste minoranze attive? Dove sono oggi le energie vitali in Italia? 

2 Maggio 2008

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Michela Stentella

Articolo FPA
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by Thomas Hawk

Il Rapporto Censis 2007, descrivendo lo scenario italiano, parla di "poltiglia di massa" e “mucillagine”, insomma di inclinazione all’inerzia in una realtà frammentata, priva di coesione e degradante al peggio. Parla, tuttavia, anche di “minoranze attive”, vitali e trainanti, che possono innescare nuovi processi di sviluppo. Ma quali sono queste minoranze attive? Dove sono oggi le energie vitali in Italia? 

Parla Giuseppe De Rita, Segretario Generale Censis.

“Negli ultimi due tre anni, dopo che in Italia si era imposto un clima di declino e di pessimismo totale, a un certo punto c’è stato qualcuno che ha reagito a questo stato di impoverimento generalizzato – ci dice Giuseppe De Rita –. Penso a esponenti del mondo bancario e del mondo finanziario, in cui c’è stata una trasformazione addirittura generazionale, a settori del mondo universitario, in cui si cerca di uscire da una logica “impiegatizia” per sviluppare un discorso di qualità. Nel mondo dell’industria, poi, abbiamo avuto una trasformazione vitale di settori che sembravano addirittura destinati alla scomparsa, come l’agroalimentare, l’abbigliamento, l’arredamento, il calzaturiero, che oggi vanno molto meglio in Italia e nel mondo. Basti pensare al successo del Salone del Mobile di Milano, in cui produttori stranieri hanno riconosciuto la superiorità delle nostre manifatture. Insomma, nella realtà italiana abbiamo una varietà di soggetti che rappresentano le minoranze attive”.

È quindi da queste minoranze che potrebbe partire la spinta innovativa per il Paese?
Oggi, in effetti, possiamo dire che in Italia chi si muove è la minoranza, mentre la maggioranza resta sostanzialmente statica. Questa è una situazione relativamente nuova, perché se è vero che noi siamo un Paese storicamente creato da una minoranza, è anche vero che, dopo l’esperienza del fascismo, si è affermata e consolidata l’idea democratica che a valere sia sempre l’opinione della maggioranza. Del resto, le minoranze vitali non vanno alla ricerca del consenso e guardano al confronto con il mondo, con la modernizzazione, con i processi di innovazione, insomma parlano italiano e inglese. La classe politica, invece, cerca consensi e li trova sul territorio, dove deve parlare per forza una lingua locale, un dialetto. Questo crea una distanza enorme tra la minoranza vitale e la maggioranza legata al territorio.


Ma allora, se le minoranze attive non cercano consenso e non sono l’interlocutore a cui si rivolge la classe politica, come possono diventare motore di sviluppo per il Paese?

Le minoranze vitali crescono, anche se si tratta di un processo lungo. Nel giro di quattro o cinque anni questo porrà un problema, anche a coloro che oggi fanno politica attraverso la ricerca del consenso sul territorio. La prospettiva, comunque, è una sola: bisogna creare le condizioni perché si possa investire e lavorare in Italia. Molte minoranze attive si rivolgono all’estero, dalle piccole e medie imprese che stanno sviluppando strategie di mercato in tutto il mondo a coloro che, nell’ambiente scientifico, puntano sulla ricerca. C’è un alto grado di prodotto italiano all’estero, che non si trasforma in PIL, in ricchezza per il nostro Paese. Questo fatto svela una realtà innegabile: in Italia oggi è difficile investire, per ragioni di poteri locali, di pesantezza delle istituzioni, di burocratizzazione, di lentezza della giustizia. Una situazione che non è risolta dal fatto che esiste, comunque, una minoranza vitale anche all’interno della pubblica amministrazione.

Se questi amministratori “illuminati” riuscissero ad emergere e a fare sistema, potrebbero rompere i vecchi schemi all’interno della PA?  
La verità è che non basta una minoranza vitale per modificare l’assetto dello Stato, anche se questi amministratori hanno fatto un grande lavoro, creando reti interne alla pubblica amministrazione e linguaggi nuovi. Se si trattasse di un’azienda, forse una minoranza di progettisti o di addetti al marketing ce la farebbe, perché creerebbe quegli input che modificano poi il sistema. Nella pubblica amministrazione questo non è possibile, perché il processo non è regolabile da input interni, ma da decisioni politiche. Anche la più attiva tra le reti di funzionari locali si trova bloccata dalla lentezza delle procedure burocratiche, che investe ogni iniziativa, e dall’eccessivo numero di norme da seguire. Se questo aspetto non verrà risolto, sarà difficile per le minoranze vitali fare sistema e far sentire le propria voce.

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