Innovazione sociale: largo agli innovatori

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Social innovation è un’etichetta che si mette convenzionalmente intorno a quelle strategie, quelle soluzioni, quegli strumenti che le persone stanno creando per rispondere alle grandi sfide del nostro tempo. La definizione data nel Libro bianco sull’innovazione sociale[1] dice: “definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che vanno incontro ai bisogni sociali e che allo stesso tempo creano nuove relazioni sociali e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono sia buone per la società sia che accrescono le possibilità di azione per la società stessa”.

1 Ottobre 2012

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Annalisa Gramigna*

Social innovation è un’etichetta che si mette convenzionalmente intorno a quelle strategie, quelle soluzioni, quegli strumenti che le persone stanno creando per rispondere alle grandi sfide del nostro tempo. La definizione data nel Libro bianco sull’innovazione sociale[1] dice: “definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che vanno incontro ai bisogni sociali e che allo stesso tempo creano nuove relazioni sociali e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono sia buone per la società sia che accrescono le possibilità di azione per la società stessa”.

Il presupposto che può generare innovazione sociale mi pare decisamente sfidante se è vero, come si legge nell’introduzione del Libro bianco, che è “necessaria una riorganizzazione delle relazioni produttive e sociali”. L’idea che l’innovazione non avvenga, in realtà, solo “nelle università e dentro i laboratori delle grandi società” è molto ben rappresentata in questo testo che, in modo pacifico, racconta di una possibile rivoluzione a partire dalle nuove energie dei giovani: “dietro la passività delle strutture economiche e politiche di questo paese sembra emergere una nuova ondata di creatività e energia, particolarmente fra le generazioni più giovani, quelli sotto i quarant’anni. Molti di questi sono cresciuti nel nuovo ambiente informatico di cui internet e i social media diventano parte integrante della vita quotidiana, e sono perciò abituati a nuovi modi di trovare informazioni, di mettersi in contatto con altri e collaborare. Molti hanno vissuto a lungo all’ estero, per scelta o necessità, e sono stati in contatto con quelle nuove forme di socialità che si sviluppano in centri creativi come Londra, New York o San Francisco. Sono coloro i quali hanno vissuto la fine delle grandi ideologie, dei movimenti sociali, e della politica di scontro; e hanno sviluppato un approccio più pragmatico all’azione politica, enfatizzando l’intervento concreto e contingente. … Queste generazioni concepiscono l’innovazione sociale come un nuovo modo di fare impresa nel senso classico/umanistico del termine, e cioè di intraprendere un progetto che fa la differenza.”

Molte condizioni di contesto dovranno cambiare, affinché l’innovazione sociale trovi più spazio, ma la quantità di esperienze che si sta facendo silenziosamente largo fa essere ottimisti.

Esperienze di innovazione sociale: si … può … fare!

Sono due le esperienze che propongo, in questa sede, come casi di innovazione sociale e la scelta è caduta su casi che hanno la capacità di “fare sistema” sia sul piano degli attori – mettendo insieme istituzioni, associazioni e cittadini- sia sul piano degli strumenti e dei contenuti (mercato, no profit, risparmio, vantaggi economici, cambiamenti culturali, ecc.).

il 29 ottobre a Smart City Exhibition si parlerà di "social innovation" in due incontri: "Innovazione sociale e smart city" e "Open innovation nel public sector: le sfide aperte e le esperienze a cui ispirarsi"

La prima esperienza è quella di Last minute market

Last Minute Market è una società spin-off dell’Università di Bologna che nasce nel 1998 come attività di ricerca. Dal 2003 diventa realtà imprenditoriale ed opera su tutto il territorio nazionale sviluppando progetti territoriali volti al recupero dei beni invenduti (o non commercializzabili) a favore di enti caritativi. LMM si avvale di un team operativo giovane e dinamico affiancato da docenti e ricercatori dell’Università di Bologna. Con oltre 40 progetti attivati in comuni, province e regioni Italiane, LMM ha consolidato un metodo di lavoro efficace ed efficiente che permette di attivare in maniera progressiva il sistema donazioni/ritiri tenendo sotto controllo gli aspetti nutrizionali, igienico-sanitari, logistici e fiscali. Nella fase di sviluppo dei progetti, oltre al coinvolgimento dei soggetti donatori e beneficiari, lavoriamo a stretto contatto con gli assessorati alle attività produttive, alle politiche sociali e culturali degli enti locali, con prefetture e ASL in modo tale da garantire la perfetta conformità con le normative vigenti, la trasparenza delle procedure, il monitoraggio e la quantificazione dei risultati ottenuti. Progetti con alto contenuto innovativo, studiati su misura degli interlocutori, si realizzano così grazie allo stretto contatto tra il mondo universitario della Facoltà d’Agraria dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e attori imprenditoriali e istituzionali. (dal sito di LMM).

Attraverso l’analisi dei passaggi delle filiere agroalimentari LMM ha imparato ad individuare dove e perché hanno origine gli sprechi e, di conseguenza, sono stati definiti modelli logistico-organizzativi che permettono di recuperare in totale sicurezza tutte le tipologie di prodotto, inclusi i prodotti che rientrano nelle categorie dei “freschi” e “freschissimi”.

Interessante è l’estensione del modello elaborato per i prodotti alimentari anche ad altre tipologie di beni e di attività commerciali e produttive, mantenendo ferma la finalità principale che è quella di evitare gli sprechi:

  • LMM-FOOD: prodotti alimentari, eccedenze di attività commerciali e produttive;
  • LMM-HARVEST: prodotti ortofrutticoli non raccolti e rimasti in campo;
  • LMM-CATERING: pasti pronti recuperati dalla ristorazione collettiva (es. scuole, aziende);
  • LMM-PHARMACY: farmaci da banco e parafarmaci prossimi alla scadenza;
  • LMM-BOOK: libri o beni editoriali destinati al macero;
  • LMM-NO FOOD: tutti i beni non alimentari.

LMM ha realizzato anche varie “azioni collaterali” e quelle legate strettamente alla sua missione, finalizzate a rafforzare i valori di fondo della sua azione, per esempio ha contribuito alla promozione della “Legge Antisprechi” (24.12.2007 n° 244 ) che ha permesso di incentivare la donazione di beni non alimentari; ha sviluppato un indicatore, denominato “Carocibo”, in grado di monitorare il costo della spesa alimentare degli italiani, in collaborazione con la società di studi economici e comunicazione Econometrica; sta sperimentando un nuovo servizio che si chiama “Ancora Utili” che prevede la raccolta e il riutilizzo di medicinali non scaduti provenienti dalle donazioni di privati cittadini, di ambulatori e strutture ospedaliere a favore degli Enti no profit.

Si tratta di iniziative e di attività che, da una parte, hanno effetti positivi su diversi soggetti e che, dall’altra parte, richiedono responsabilità condivise. Le imprese, per esempio, possono gestire i prodotti invenduti in maniera innovativa e attivare un’azione concreta di Responsabilità Sociale di Impresa ed LMM le accompagna in tutte le fasi del processo di recupero, dall’individuazione degli enti beneficiari, agli aspetti fiscali e amministrativi oltre che favorire l’interazione con le Asl del territorio.

Il terzo settore è avvantaggiato perché riceve prodotti gratuiti e di qualità potendo così ridurre i costi di gestione. Gli enti pubblici hanno il vantaggio di veder diminuire il flusso di rifiuti da gestire. Il ruolo delle istituzioni, poi, è quello di “fare da garanti”: la collaborazione con le Istituzioni dà maggiore garanzia ai progetti LMM, permette di includere anche le piccole e medie aziende e di offrire alle aziende partecipanti benefici in termini di comunicazione sociale e/o sconti sulla tassa/tariffa dei rifiuti.

I vantaggi del lavoro di LMM sono tangibili e sul sito si trovano diversi esempi:

  • Da uno degli ospedali di Bologna si recuperano ogni giorno 30 pasti pronti presso la mensa, per un valore complessivo di oltre 35.000 euro all’anno;
  • A Ferrara si recuperano, presso le farmacie comunali, parafarmaci e farmaci da banco per un valore complessivo di circa 11.300 euro all’anno;
  • A Verona otto mense scolastiche recuperano circa 8 tonnellate all’anno di prodotto cotto che corrispondono a circa 15.000 pasti;
  • In alcune città, grazie a un accordo tra istituzioni e aziende multiutility, si è riusciti a ottenere uno sconto sulla Tariffa di Igiene Ambientale (TIA) includendo anche lo smaltimento di parafarmaci e farmaci da banco.

L’altra esperienza di innovazione sociale si chiama Ausilioteca. Nasce nel 1982 quando l’Associazione AIAS Bologna onlus (associazione di utenti disabili e famiglie) costituisce un primo nucleo di competenze in materia di ausili elettronici ed informatici per disabili motori. Come si legge nel sito: dopo un periodo iniziale di ricerca e sperimentazione, questo nucleo mutli-disciplinare di professionisti si è sviluppato in sinergia con L’Azienda USL di Bologna ed ha consentito l’implementazione di più servizi specializzati su tutti gli ausili.

E ancora dal sito: La linea portante dello sviluppo dei servizi è stata quella della sussidiarietà fra pubblico e privato, attuata attraverso la co-progettazione e gestione dei servizi fra Unità Sanitaria Locale, in qualità di erogatore di servizi sanitari, ed AIAS Bologna onlus in qualità di detentore del know-how tecnico-metodologico sugli ausili.

Nella cronistoria del progetto che si trova sul sito, colpisce come si sia passati da un’attività di ricerca, avviata autonomamente dall’Associazione rispetto agli ausili per i disabili motori, ad una stretta collaborazione con il sistema sanitario e quello regionale che ha consentito di sviluppare competenze e soluzioni strutturate diventando anche una risorsa sovra regionale.

Su questo fronte l’innovazione sociale è continua anche perché ci sono condizioni di contesto che la favoriscono: da una parte, i costi dei supporti e, dall’altra, la riduzione delle risorse pubbliche in sostegno alle famiglie con tagli pesanti delle regioni ai fondi dedicati. Questo mix di criticità sta portando alla produzione e alla diffusione di ausili fai da te[2] e nel 2013 nascerà un’ausilioteca che raccoglierà soluzioni slow tech cioè ausili che si possano facilmente riprodurre e replicare.

Spazio agli innovatori

L’innovazione sociale è di tutti: singoli, organizzazioni, imprese, istituzioni, ecc. Ma la vera differenza la può fare un’innovazione sistemica che sia in grado di filtrare nel sistema sociale, culturale ed economico verso un nuovo tipo di economia che, si legge nel Libro Bianco, ha alcune caratteristiche basilari: “il forte uso di networks ramificati per sostenere e gestire le relazioni, aiutati da ogni forma possibile di comunicazione; confini sfuocati tra produzione e consumo; l’enfasi che viene data alla collaborazione, alla cura e alla manutenzione piuttosto che ad un irresponsabile consumo usa e getta; un forte ruolo dei valori e degli obiettivi”.

Che ruolo giocano – o possono giocare – le amministrazioni pubbliche in questa partita?

Il primo modo per supportare l’innovazione sociale è anzitutto crederci (“ha molta importanza se i leader segnalano che l’innovazione importa”) e subito dopo provarci, utilizzando “i colori delle politiche pubbliche”[3] che vanno ben al di là delle leggi: incentivi, formazione, informazione, partecipazione, spazi sicuri per l’innovazione, creazione di occasioni, ecc.

Quello che ci mostrano anche le due esperienze indicate è che l’attore pubblico può avere un ruolo come "innovatore" su piani diversi: sul fronte della distribuzione delle risorse, sul piano normativo, in funzione di garante ma anche come creatore di nuove soluzioni insieme ad altri soggetti (sindacati, imprese, banche, …). Le istituzioni, poi, hanno un peso determinante sul fronte culturale e dell’educazione dei cittadini.

La pubblica amministrazione può fare la differenza imparando a rispondere ai cittadini attraverso la creazione di soluzioni complesse, a partire dalla sistematizzazione degli interventi che già vengono realizzati: siamo sicuri che urbanistica, sociale, educazione, scuola, giovani, partecipazione, … non abbiano tra loro a che fare molto più di quello che un Comune medio italiano è disposto a riconoscere? Le amministrazioni sono il collante dell’innovazione sociale e hanno il compito di contribuire – come primus inter pares – all’ideazione e alla realizzazione dei disegni di una nuova società.

“Amministrare oggi è una responsabilità assai severa. […] … che deve indurre gli amministratori pubblici ad andare oltre i tagli e i risparmi di giornata, per costruire progetti che consentano di guardare al domani, anteponendo il lavoro e la fiducia alla paura che immobilizza. […] Per questo riteniamo che il tornare a sentirci comunità, il rimettere in campo una forma di governo innovativa e adeguata ai tempi, orizzontale, a reti, attorno a un progetto di città, sia la strada da percorrere.”[4] 

Il 30 ottobre prossimo, Annalisa Gramigna parteciperà al laboratorio "Social is smart. Il ruolo dei social network nella smart city. Incontro con gli esperti e le amministrazioni" a Smart City Exhibition.

 

* Leggi un breve profilo di Annalisa Gramigna


[1] Compilato dal del governo inglese NESTA (National Endownment for Science Technology and the Arts), un ente governativo che per molto tempo ha avuto come compito stimolare la creatività dell’economia inglese.

[2] E’ appena stato pubblicato N. Gencarelli, Ausili fai da te, Erickson che presenta ausili personalizzati, inventati o adattati da familiari, insegnanti, educatori, ecc.

[3] [3] “Le città a colori: un’alternativa per tornare a crescere” di M. Bonaretti.

[4] G. Del Rio Città delle persone, ed. Saggine, pag. 138.

 

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