Istat, nel dettaglio il Report sui dati censuari

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L’Istituto Nazionale di Statistica pubblica il Report sullo stato del sistema delle imprese italiane, in particolare struttura produttiva e fattori di competitività, e fornisce un’analisi interessante dei profili strategici e di mercato anche delle piccole aziende. A seguire si individuano i punti principali della rilevazione statistica.

20 Novembre 2013

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Redazione FORUM PA

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L’Istituto Nazionale di Statistica pubblica il Report sullo stato del sistema delle imprese italiane, in particolare struttura produttiva e fattori di competitività, e fornisce un’analisi interessante dei profili strategici e di mercato anche delle piccole aziende. A seguire si individuano i punti principali della rilevazione statistica.

Un quadro delle relazioni di cooperazione tra le imprese che attraversano il sistema produttivo italiano è quello che l’Istat offre con il secondo Report sullo stato dell’Industria e dei Servizi, oggetto della Rilevazione diretta sulle imprese, svolta nell’ambito delle attività connesse al 9° Censimento generale dell’industria e dei servizi (anni 2011-2012). Ne emerge un sistema di aziende interconnesse, quasi due su tre infatti intrattengono relazioni stabili con altre aziende e istituzioni. In fenomeno che interessa tutto l’apparato produttivo, senza rilevanti differenze tra le aree geografiche. Dal punto di vista territoriale, infatti, la presenza di relazioni tra imprese non si differenzia in misura significativa tra le diverse macro aree del Paese; la percentuale di imprese unite da tali legami varia infatti tra il 64,9% del Nord-ovest e il 61,4% del Sud e Isole.

Queste informazioni, rilevate sul totale delle imprese con almeno 20 addetti e su un ampio campione di imprese tra 3 e 19 addetti, si aggiungono a quelle offerte dal sistema dei registri statistici, e consentono una mappatura completa della struttura e delle strategie relative alle imprese con almeno 3 addetti (circa 1 milione e 50 mila). Ogni Report è corredato da un allegato statistico di supporto alla lettura, e ulteriori informazioni sono disponibili – ad un elevato livello di dettaglio in I.stat, il datawarehouse dell’Istat.

Tracciamo i punti salienti della rilevazione:

Un sistema di imprese interconnesse

I risultati mostrano una struttura dimensionale fortemente frammentata, ma nel quale le imprese non operano isolate le une dalle altre. Il 63,3% di queste con almeno 3 addetti (oltre 660 mila unità) dichiara, infatti, di intrattenere almeno una relazione con altre aziende o istituzioni. la capacità di attivare accordi produttivi aumenta al crescere della dimensione d’impresa: da circa il 60% delle microimprese a quasi il 90% delle grandi imprese (circa tremila unità con 250 addetti e oltre). Una lettura settoriale rivela che la maggiore propensione ad attivare relazioni produttive si registra tra le imprese delle Costruzioni (in ragione di circa l’85% delle unità), ovvero il settore nel quale la dimensione media aziendale è più contenuta (circa 8 addetti), e nell’Industria in senso stretto (il comparto dalla dimensione media più elevata, con 18,4 addetti). L’apparente contrasto tra le componenti dimensionale e settoriale risente da un lato delle specificità di investimenti e tecnologie delle diverse attività; dall’altro, rappresenta una conferma della possibilità di cercare economie esterne all’impresa attraverso collaborazioni con altre unità.  Lo dimostra che i settori manifatturieri maggiormente attraversati da relazioni di cooperazione sono quelli delle Apparecchiature elettriche, della Farmaceutica, dell’Elettronica-ottica (nei quali l’incidenza delle relazioni varia tra l’85 e l’86%) e dei Macchinari (circa 83%), mentre il fenomeno è relativamente meno frequente nei settori tradizionali.

Tipologie relazioni

Le relazioni delle imprese con altri soggetti assumono forme diverse. Tra queste prevalgono accordi di commessa e subfornitura, cui ricorrono rispettivamente il 74,1 e il 56,6% delle imprese con relazioni, mentre molto meno frequente è l’attivazione di legami formali come consorzi (7%). Anche il ricorso ad accordi di tipo informale è limitato, coinvolge il 15,6% delle imprese “interconnesse”. La diversa complessità e i diversi costi di transazione legati all’attivazione delle varie tipologie di relazioni si riflettono nelle differenze osservabili tra le classi dimensionali d’impresa. In proposito, i rapporti di commessa e subfornitura sono largamente adottati dalle imprese di tutte le dimensioni, con differenze relativamente contenute nel caso della commessa (si passa dal 73% delle micro al 78,2% delle grandi imprese) e più accentuate per la subfornitura, che prevale presso le piccole e le medie imprese. Inoltre, le imprese di minore dimensione privilegiano più delle grandi il ricorso ad accordi informali (vi ricorre circa il 16% delle micro e delle piccole), mentre l’attivazione di relazioni governate da una struttura formale è ancora molto legata alla grande dimensione: coinvolge una  grande impresa su due.

I fattori legati al contenuto tecnologico dell’attività d’impresa condiziona la scelta del tipo di relazione. Le imprese manifatturiere e quelle attive nella fornitura di servizi energetici ricorrono in misura considerevole a rapporti di commessa. La subfornitura è a sua volta il tipo di accordo di gran lunga più adottato dalle aziende delle costruzioni. Nella quasi totalità dei comparti, inoltre, le imprese hanno come interlocutori altre imprese con percentuali comprese tra il 75 e il 95%.

Perché un accordo/relazione?

Gli accordi vengono attivati per svolgere pressoché tutte le principali funzioni aziendali, con intensità diverse anche a seconda della tipologia di relazione. In larghissima maggioranza (per oltre l’80% delle imprese che hanno relazioni), essi sono funzionali allo svolgimento dell’attività principale dell’impresa. Tuttavia, gli accordi formali e informali sono adottati in misura maggiore rispetto a commessa e subfornitura nelle attività innovative e di ricerca e sviluppo.

Relazioni come strumento di competitività

La principale motivazione che spinge le imprese ad attivare delle partnership è la necessità di ridurre i costi di produzione: si tratta di una finalità perseguita con tutte le tipologie di accordo con percentuali sempre di poco inferiori al 60%, sebbene con una leggera prevalenza di accordi informali e relazioni di commessa e subfornitura.  Si rilevano anche finalità più complesse, legate all’innovazione di prodotto o processo e l’accesso a nuove conoscenze e tecnologie. La presenza di relazioni di cooperazione produttiva si associa quindi a un profilo di strategie aziendali più articolate e meno difensive, le imprese con relazioni perciò svolgono la propria attività su un mercato di riferimento tendenzialmente più vasto rispetto a quello delle aziende “isolate”.  

In primo luogo, la quota di imprese che dichiara di avere introdotto innovazioni (di prodotto, di processo, organizzative o di marketing) è sistematicamente più elevata tra le aziende con relazioni in tutte le classi dimensionali, con un divario in termini di punti percentuali più ampio tra le imprese di minore dimensione. Quel che risalta maggiormente, tuttavia, è che in termini percentuali la presenza di relazioni tende almeno in parte a compensare il gap legato alle dimensioni: in ogni classe dimensionale la quota di imprese innovatrici tra le aziende con relazioni è infatti pari o superiore alla quota di imprese innovatrici – ma prive di relazioni – appartenenti alla classe dimensionale immediatamente superiore. Da ultimo, la presenza di relazioni si associa anche a una maggiore articolazione delle fonti di finanziamento, in misura pressoché indipendente dalla dimensione aziendale e dall’appartenenza a un gruppo di imprese.

La percezione degli effetti degli accordi sulla competitività nei mercati internazionali presenta un segno più netto: sebbene sia più elevato il numero di imprese che dichiara di non poter trarre conclusioni in merito (coerentemente con una maggiore incertezza in un contesto concorrenziale più vasto), il saldo complessivo tra i giudizi di miglioramento e di peggioramento è positivo, e le imprese che hanno visto migliorare la propria competitività estera sono il doppio di quelle secondo cui è peggiorata. L’andamento si ripete identico in tutte le classi dimensionali.

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