Ottava Relazione sulla coesione: l’Italia sotto la lente d’ingrandimento

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La fotografia dell’Italia disegnata nell’ottava Relazione sulla coesione, appena pubblicata dalla Commissione Europea, è tutt’altro che rosea. Il nostro Paese si trova in una condizione di “sviluppo bloccato” a causa di fattori strutturali tra cui produzione industriale in declino, basso capitale umano, scarsa qualità dell’amministrazione pubblica, insufficiente spesa in ricerca e sviluppo, popolazione anziana e dinamismo demografico. E, laddove il Mezzogiorno mostra performance peggiori su ciascuno di questi indicatori, la maggior parte delle regioni italiane esprime comunque livelli spesso al di sotto della media europea

15 Febbraio 2022

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Francesco Molica

Direttore Politiche Regionali della Conferenza delle Regioni Periferiche Marittime d'Europa

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L’ottava Relazione sulla coesione pubblicata la scorsa settimana dalla Commissione Europea rappresenta una preziosa miniera di informazioni sullo stato di salute dello sviluppo regionale nel Vecchio Continente. Globalmente il documento osserva una timida ripresa del processo di convergenza attribuendolo tuttavia in larga parte alla spinta dei paesi dell’Est. Le disparità regionali, nonostante abbiano ripreso a diminuire, restano in generale più marcate rispetto a prima della crisi economica del 2008. E queste statistiche, ovviamente, non tengono conto dell’impatto del Covid. La fotografia dell’Italia disegnata nel rapporto, come è stato già riportato da molti media, è tutt’altro che rosea. Si tratta di dinamiche per lo più note agli addetti ai lavori. Ma è utile leggerne alcuni tra gli aspetti più rilevanti per misurarne le implicazioni.

I risultati della Relazione sulla coesione

L’Italia e le “trappole di sviluppo”

In primo luogo, il nostro paese è interessato a tutto tondo da uno dei principali trend individuati nella Relazione sulla coesione, cioè le cosiddette “trappole di sviluppo”. Il concetto, per come tematizzato di recente nel campo delle scienze regionali, designa le aree che hanno sperimentato una crescita economica anemica o negativa negli ultimi venti anni unitamente a bassa produttività e creazione di occupazione. Il fenomeno è particolarmente pronunciato in tutta l’Europa mediterranea, inclusa la Francia, ma punteggia anche quella settentrionale.

Una delle conclusioni salienti del rapporto è che regioni con condizioni economiche anche molto diverse possono precipitare in trappole di sviluppo, come illustra proprio la situazione dell’Italia. Nel nostro caso non ne è dunque colpito solo il Mezzogiorno, ma anche regioni relativamente prospere nel centro e nord italia che hanno subito una crescente concorrenza manifatturiera e sono indietro rispetto allo sviluppo di settori ad alto valore aggiunto o terziario avanzato.

Le cause strutturali dello sviluppo bloccato

Al netto dell’impatto della crisi economica del 2008, esistono fattori strutturali associati, in misura diversa a seconda delle aree, a questa condizione di sviluppo bloccato: a maggior ragione in Italia. Cito i principali individuati nella Relazione sulla coesione: produzione industriale in declino, basso capitale umano (percentuale di persone con istruzione terziaria), scarsa qualità dell’amministrazione pubblica, insufficiente spesa in ricerca e sviluppo, popolazione anziana e dinamismo demografico. È necessario tenerli presenti perché, studi empirici alla mano, essi hanno effetti importanti sull’impatto degli investimenti europei.

I dati del rapporto indicano che, laddove il Mezzogiorno mostra performance peggiori su ciascuno di questi indicatori, la maggior parte delle regioni italiane esprime comunque livelli spesso al di sotto della media europea. Ciò conferma che, accanto al tradizionale dualismo tra Sud e Nord, esiste un problema generale di competitività dei nostri sistemi regionali che occorre aggredire con maggiore vigore. Del resto, tutte le regioni italiane hanno visto il proprio PIL pro capite ridursi rispetto alla media europea negli ultimi venti anni.

L’impatto della pandemia nella Relazione sulla coesione

Il convitato di pietra di queste riflessioni è, lo si diceva in apertura, il Covid a cui la Relazione sulla coesione dedica il primo capitolo. L’impatto della pandemia sulle disparità regionali non può ancora del tutto essere misurato, sia perché i dati su base regionale per il 2020 e 2021 non sono ancora disponibili, sia perché esiste ancora un margine d’incertezza sul futuro della pandemia. Tuttavia, secondo le simulazioni incluse nel rapporto, gli effetti appaiono più acuti nel quadrante mediterraneo, quindi anche in Italia.

Le sfide emergenti e il futuro delle politiche di coesione

La Relazione sulla coesione ha anche il pregio di proiettare lo sguardo verso il futuro focalizzandosi sulle sfide emergenti e il loro possibile impatto sulle diseguaglianze territoriali. A cominciare dalle trasformazioni tecnologiche e digitali. Qui i divari tra Nord e Sud del paese emergono di nuovo con nettezza, specialmente nella capacità d’innovazione dei sistemi regionali. Oppure, sia pure in misura meno marcata rispetto a paesi come Francia o Spagna, sussistono diseguaglianze tra zone rurali e urbane, come nella copertura della banda larga. Un altro aspetto messo in luce dal rapporto riguarda l’impatto sullo sviluppo regionale del cambiamento climatico. In questo caso si ha per certi versi un capovolgimento: le proiezioni della Commissione su scenari di innalzamento delle temperature quantificano maggiori danni economici, per esempio derivanti da alluvioni e in termini di problemi a infrastrutture, nel centro-nord del paese. 

Di fronte ad un quadro di diseguaglianze più complesso rispetto al passato, anche per l’emergere di nuovi trend, il rapporto propone alcune iniziali piste di riflessione sul futuro delle politiche di coesione e il loro rapporto con altre politiche europee. Alcune tra le più interessanti da segnalare sono: l’idea di estendere il paradigma delle strategie di specializzazione intelligente o dei piani territoriali per la transizione giusta ad altri settori prioritari per la politica di coesione come l’ambiente; la suggestione che le aree meno sviluppate e periferiche potrebbero avere bisogno di un paradigma di sviluppo diverso e, collegato, il richiamo a strategie più mirate per aggredire le trappole sviluppo, il che potrebbe aprire la porta ad una ridefinizione delle categorie di sviluppo e ad un approccio più differenziato nella programmazione europea futura; una modalità diversa di ragionare sulle complementarità e sinergie tra strumenti europei a partire dalle politiche e non dai fondi; infine, la possibilità di integrare il concetto di coesione in altre politiche europee proprio per evitare, come si paventa ad esempio con i PNRR di alcuni paesi, che la loro applicazione possa senza volerlo incidere in negativo le disparità territoriali.

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