Piaccia o non piaccia, la sharing economy spacca

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Piaccia o non piaccia e comunque la si voglia definire, la sharing economy “modello Uber” continua la sua avanzata nei mercati internazionali e plana, attraverso le piattaforme digitali che la abilitano, nelle nostre città. Cresce, di conseguenza, l’urgenza avvertita di un coinvolgimento responsabile e consapevole delle istituzioni e delle amministrazioni. Da Bruxelles ai Comuni italiani, passando dal Parlamento, a che punto siamo? Un tavolo a SCE 2015 raccoglie posizioni e suggerimenti dai soggetti principalmente interessati.

13 Ottobre 2015

C

Chiara Buongiovanni

Ultimo arrivato negli States, per dare un’idea, il servizio Amazon Flex che chiama a raccolta autisti free- lance, dotati di smartphone, per la consegna dei pacchi. Dai 18 ai 25 euro all’ora, l’affare è fatto.

E a sentire i dati dell’ultimo rapporto Coop, a cui Affari e Finanza di Repubblica ha dedicato un approfondimento proprio in questi giorni, anche in Italia la sharing economy cresce bene, con un mercato dello home sharing che vale 400 milioni di euro mentre si attesta sui 40 milioni quello del car sharing.

Rimane aperta e calda la questione UBER – pop, al momento “bannata” oltre che in Italia in paesi come Francia, Germania e Spagna, tanto da giustificare la nascita di un pagina Wikipedia aggiornata con lo status legale dei servizi dell’azienda nei paesi del mondo.

Tra le ferite aperte della “sharing economy” di casa nostra, la vicenda di Cocontest – piattaforma online che consente di avere un preventivo dei lavori da architetti di tutto il mondo – che ha acceso il dibattito in rete dopo che, lo scorso maggio, con un’interrogazione parlamentare al Ministero dello Sviluppo Economico è stata accusata di ledere i diritti dei professionisti ed è stata denunciata all’Antitrust dallo stesso Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Architetti. E ancora in Italia, brucia il parere dello stesso MISE secondo il quale chiunque ospiti persone a cena a casa propria, tramite la piattaforma di social eating Gnammo, dovrebbe presentare la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività).

Insomma, fuor di metafora, la sharing economy spacca.

Cresce, di conseguenza, l’urgenza avvertita di un coinvolgimento responsabile e consapevole delle istituzioni e delle amministrazioni, in un universo che presenta a monte una confusione concettuale (con sfumature finanche ideologiche) e su cui può essere difficile scegliere di intervenire o astenersi con cognizione di causa.

Da quando, per la prima volta a FORUM PA 2014 con OuiShare Italia, abbiamo portato il tema all’attenzione delle istituzioni e della PA locale più di qualcosa si è mosso, con una notevole accelerata negli ultimi mesi.

Altroconsumo, dopo essersi schierato a fianco di UberPop e Gnammo a tutela del diritto dei consumatori a servizi innovativi e vantaggiosi, ha avviato un’interessante azione di advocacy presso il Governo e il Parlamento per la stesura di uno Sharing Economy Act “che guardi al futuro non imbrigliandolo e dia risposte concrete alla nuova domanda dell’utenza in tutti i settori coinvolti dal cambiamento delle regole di mercato”.

Nelle scorse settimane la Regione Lombardia ha varato la prima legge sullo home sharing, salutata con commenti positivi dalla piattaforma leader assoluta in materia, Airbnb, che in diverse città europee, attraverso i suoi host, già riscuote le tasse di soggiorno al pari delle strutture ricettive “tradizionali”.

E finalmente anche a Bruxelles ne iniziano a discutere, a partire dal progetto di parere della commissione Politica economica del Comitato delle Regioni, dal titolo “La dimensione locale e regionale dell’economia della condivisione”, presentato in questi giorni e al vaglio della plenaria di dicembre. Tra le proposte, una sistematizzazione concettuale in quattro categorie di quella che generalmente viene chiamata “economia della condivisione”, sulla base del diverso impatto sociale. Come spiegato all’Ansa dalla stessa Benedetta Brighenti, vicesindaco di Castelnuovo Rangone (Modena) e relatrice del progetto si distingue in: “economia dell’accesso” (es. Spotify per l’ascolto di brani musicali); “gig economy”, singole prestazioni lavorative attivate tramite piattaforme online o applicazioni su smartphone (es. Uber); “economia collaborativa” in cui si presuppone la condivisione di un bene (es. BlaBlacar); “pooling economy”, basata sulla gestione collettiva di un parco cittadino come di un condominio. Altrettanto interessanti i punti sollevati in materia fiscale, di tutela dei lavoratori e di circolazione e protezione dei dati personali che sono, sottolinea il Comitato delle Regioni, la benzina di questa nuova economia.

Insomma, le città si confermano al centro di un processo di innovazione che investe l’economia al pari delle dinamiche sociali. Coerentemente con questo, a SCE 2015 – Citizen Data Festival, in collaborazione con Milano Sharing City, la rete degli attori dell’economia collaborativa costituita dal Comune di Milano di cui FPA fa parte, organizziamo un tavolo, tutto italiano, sul tema delle piattaforme della sharing economy e su cosa la pubblica amministrazione, ai diversi livelli, abbia a che fare con esse. A breve gli sviluppi.


Il 15 ottobre, ore 16.15 – 18,30 appuntamento con “Le piattaforme della sharing economy: la città condivisa e collaborativa” a SCE 2015


(articolo pubblicato su CorCom, N. 16 del 9 ottobre 2015)


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