Terzo settore e PA insieme per progettare esistenze, non assistenze

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PA ed Enti del Terzo Settore possono collaborare in tempi ragionevoli per rispondere alle urgenze dei territori? La trasformazione digitale, in termini di semplificazione e dialogo efficace, è solo una delle sfide che comporta l’assunzione di un nuovo paradigma di lavoro collaborativo. Ecco le principali criticità da affrontare

26 Maggio 2022

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Mirta Michilli

Direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale

Tra i sette peccati capitali che impediscono all’economia italiana di uscire dalla stagnazione, crescere e recuperare, la burocrazia è al terzo posto, nella classifica dell’economista Carlo Cottarelli[1]. Mi vengono in mente le sue riflessioni sull’eccesso di burocrazia e di norme quando immagino pubblica amministrazione e terzo settore a programmare e progettare insieme come prevede l’intervento legislativo sul settore del non profit. ETS e PA, infatti, possono collaborare in partenariato perché hanno una finalità condivisa, interesse generale e pubblico, al contrario dei soggetti di mercato, con interessi diversi e contrapposti. Sembra così superata una volta per tutte la confusa distinzione tra statale, privato e pubblico: è ormai chiaro che anche i privati possono fare servizio pubblico.

Cominciamo dalle leggi vigenti in Italia di cui nessuno conosce con certezza il numero. Si ragiona su stime e sicuramente sono più di 20mila, il doppio o il triplo rispetto ad altri paesi europei. Sono lunghe, spesso incomplete, a volte incomprensibili, quasi sempre difficili da interpretare in modo univoco. Hanno bisogno di continui aggiustamenti e chiarimenti attuativi, come è successo anche al Codice del Terzo settore, in vigore da cinque anni, ma ancora non completato, perché non sono stati emanati tutti gli atti previsti dai decreti legislativi di attuazione della legge delega 106/2016. Da cinque anni progettiamo e agiamo “nelle more della legge”, come si dice in linguaggio giuridico-burocratico. Di recente il Forum del Terzo settore è tornato a sollecitare gli europarlamentari per ottenere con urgenza il via libera della Commissione Ue sul regime fiscale. Intanto da novembre 2021 è attivo il Registro unico nazionale del Terzo settore (Runts), con alcune funzionalità della piattaforma ancora da definire. A tracciare bilanci periodici sugli enti trasmigrati e nuove iscrizioni è Cantiere Terzo Settore, un progetto di CSVnet e Forum nazionale del terzo settore. L’ultimo aggiornamento, del mese di aprile, segnala che il 98% degli enti sono trasmigrati, sono state riversate oltre 22.000 imprese sociali nella sezione speciale e registrate oltre 4.500 domande di nuove iscrizioni. La somma dei dati processati non arriva alle metà del numero totale delle organizzazioni non profit censiste dall’Istat che sono oltre 350mila. Probabilmente tra le organizzazioni “in attesa” ci sono quelle che hanno posto quesiti o chiarimenti e attendono delucidazioni per procedere. Speriamo che per il terzo settore non venga duplicato il sistema macchinoso attuato per le imprese! Un tempo a calcolare il costo della burocrazia per le imprese era la Banca mondiale con la classifica “Ease of Doing Business”, che vedeva l’Italia in posizione decisamente critica.

Se la cornice rimane questa come possono PA ed ETS collaborare in tempi ragionevoli per rispondere alle urgenze dei territori? La trasformazione digitale, in termini di semplificazione e dialogo efficace, è solo una delle sfide che comporta l’assunzione di un nuovo paradigma di lavoro collaborativo. Mi vengono in mente almeno altre quattro criticità da affrontare:

  • il problema delle competenze. Negli enti locali ci sono profili professionali adeguati?
  • La gestione “politica” delle amministrazioni locali. Cosa succede con gli avvicendamenti?
  • Regia e governance. Chi governa la “macchina”?
  • Strategie e modelli di intervento. Chi progetta e chi implementa? Secondo quali modelli?
  • Valutazione. Quale modello? L’approccio controfattuale?

Nel suo bilancio annuale la Corte dei conti europea continua a sottolineare come la spesa italiana dei fondi sia ancora inficiata da errori, anche se migliora la capacità di uso delle risorse. L’anno precedente l’Italia occupava il penultimo posto della graduatoria come capacità di assorbire fondi diretti e indiretti che arrivano dalla Commissione europea. Secondo l’ultimo rapporto annuale della Corte dei conti, nel 2020 l’Italia ha partecipato al bilancio della Ue con versamenti a titolo di risorse proprie per 18,2 miliardi di euro (+1,4 miliardi sul 2019), uno dei più alti flussi degli ultimi sette anni. Sul fronte delle assegnazioni, il bilancio Ue attribuisce per il 2020 11,66 miliardi all’Italia, quarto Paese per ammontare di risorse accreditate[2]. Gli esperti di Pagella Politica stanno monitorando Come sta andando il Pnrr, tra soldi non spesi, rincari e ritardi: “il piano da oltre 190 miliardi di euro procede non senza preoccupazioni perché diversi fattori sembrano infatti complicarne l’attuazione”.

Sicuramente per la gestione efficace dei fondi europei serve più formazione diffusa a tutti i livelli, progettuale e gestionale, e la maturazione di competenze specifiche, indipendenti da logiche politiche e burocratiche. E anche una maggiore contaminazione di esperienze progettuali. Basti pensare che mentre la pubblica amministrazione è ferma all’approccio controfattuale per la valutazione dell’impatto dei progetti, nel terzo settore il dibattito è più avanzato: si sperimentano modelli diversi e si usano le catene di valore già in fase di progettazione. Con la metodologia di valutazione in tempo reale, così come rielaborata dal direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale Alfonso Molina per gli interventi di innovazione sociale[5], è possibile ad esempio intervenire anche in corso d’opera e non aspettare la conclusione di un intervento per capire se ha davvero funzionato, cosa che invece accade nell’approccio controfattuale. Sarebbe anche interessante, prima di prendere decisioni politiche per il bene comune, esplorare gli “esperimenti naturali” di David Card, Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens, scienziati sociali che hanno ricevuto il premio Nobel per l’economia 2021, proponendo un modo diverso di interpretare la relazione tra causa ed effetto nelle comunità e nei territori.

Concludo con un passaggio del messaggio di papa Francesco in occasione della seconda giornata mondiale dei nonni e degli anziani: “Le società più sviluppate spendono molto per questa età della vita, ma non aiutano a interpretarla: offrono piani di assistenza, ma non progetti di esistenza”. Credo che questa sfida non riguardi solo gli anziani, ma tutte le persone in condizioni di fragilità o a rischio di esclusione sociale. È importante che enti del terzo settore e pubblica amministrazione imparino a collaborare nell’interesse generale perché la vera sfida è valoriale: insieme dobbiamo fare progetti di esistenza, non piani di assistenza.


[1] C. Cottarelli, I sette peccati capitali dell’economia italiana, Feltrinelli, Milano 2018

[2] Corte dei Conti, Rapporto annuale 2021, I rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei Fondi europei, 2022

[5] Molina A. e Gregson G. (2002), Real Time Evaluation methodology as learning instrument in high-technology SME support networks, in International Journal of Entrepreneurship and Innovation Management, vol. 2, n.1, pp. 69-99


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