La comunicazione dei dati nell’emergenza coronavirus: alcune regole generali
In una situazione complessa come quella che stiamo attraversando i “decisori politici” hanno fatto la scelta coraggiosa di rendere pubblici in modo tempestivo i dati disponibili sulla rilevazione del coronavirus. Il problema è che la comunicazione di questi dati avviene attraverso due modalità estreme, una “burocratica” e una “propagandistica”, che non aiutano il loro utilizzo. Esiste una modalità più adatta a valorizzare questi dati? Ecco alcune regole generali che si potrebbero adottare
31 Marzo 2020
Daniele Fichera
Senior Consulting Urban Innovation, FPA
I “decisori politici” nazionali e regionali hanno fatto la scelta encomiabile e coraggiosa di rendere pubblici in modo tempestivo i dati disponibili sulla rilevazione del coronavirus, non solo attraverso conferenze stampa rivolte ai media, ma anche con la pubblicazione diretta sui loro siti di dati accessibili ed elaborabili da tutti. Dobbiamo ringraziare tecnici e funzionari che operano nei vari stadi del processo di rilevazione, comunicazione, assemblaggio e pubblicazione di queste informazioni (strutture ospedaliere, ASL, uffici regionali e nazionali).
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Che possano esserci degli “errori” in questo processo è una cosa assolutamente normale e, date le tempistiche estremamente rapide, quasi inevitabile: può capitare che – in una struttura ospedaliera sotto enorme pressione dal punto di vista della gestione sanitaria – non vi sia modo di raccogliere e inviare nei tempi previsti le informazioni richieste, come può capitare che ai vari livelli in cui i dati vengono assemblati non ci sia il tempo, rispetto alla comunicazione quotidiana, di rilevare e comunicare le “anomalie”.
Il problema dunque non è questo, anche se sarebbe forse utile incaricare qualcuno, fuori dalla filiera della informazione quotidiana, di operare le opportune verifiche ed eventuali correzioni in modo da avere, magari a distanza di qualche giorno, dati più consolidati e corretti. Abbiamo uno dei migliori istituti di statistica del mondo assolutamente qualificato nella definizione e adozione di procedure di raccolta e verifica dei dati molto complesse. Ciò che si sta facendo è comunque molto importante, non solo perché aumentare il livello di consapevolezza dei cittadini è un fattore di democrazia, ma anche perché – consentendo a tanti soggetti, dotati di competenze e specializzazioni diverse, di accedere alle informazioni – si favorisce la ricerca di soluzioni “non convenzionali” ai problemi.
Il vero problema è che la comunicazione di questi dati avviene attraverso due modalità estreme, che per comodità definirò “burocratica” e “propagandistica”, che non aiutano il loro utilizzo (e non valorizzano il lavoro che viene fatto).
La comunicazione “burocratica”
La comunicazione “burocratica” consiste nel fornire i dati grezzi, con il minimo di spiegazione (o magari il massimo, ma espressa in forme tecnicistiche e prolisse) e senza nessuna “interpretazione”. È un atteggiamento formalmente del tutto corretto, motivato dalla preoccupazione di mantenere l’imparzialità (quasi l’asetticità) delle fonti di informazione “istituzionale”, gestite da strutture tecnico-amministrative. Però i dati non sono solo numeri, sono numeri associati a definizioni (i “metadati”) che ne consentono una corretta comprensione e solo connessi tra loro possono essere interpretati. Se non vengono fornite definizioni comprensibili e non vengono illustrate le possibili relazioni si rischia di “distorcere” la comunicazione più di quanto non si farebbe accompagnandoli con un minimo (e anche più di un minimo) di contestualizzazione e interpretazione.
La confusione che c’è stata sulla effettiva valenza di alcune variabili come il “numero dei contagi” (che non rappresenta una stima dei contagi effettivi, ma solo la contabilizzazione dei casi rilevati che, ovviamente, dipende da quanto e come vengono effettuate le rilevazioni) o il “numero dei decessi” (che sono relativi a tutti i casi in cui il coronavirus è presente, indipendentemente dalla individuazione della – o delle – effettive cause di morte) e le conseguenti infinite diatribe sulla interpretazione dei confronti tra tassi di letalità, sono solo uno degli esempi possibili di queste dinamiche di “distorsione involontaria” dovute ad un eccesso di prudenza burocratica nella illustrazione dei dati.
La comunicazione “propagandistica”
C’è poi la modalità di comunicazione “propagandistica”, che è l’opposto di quella burocratica: i dati vengono selezionati, messi in relazione tra loro e presentati in modo da supportare un determinato messaggio. Non mi riferisco qui a dinamiche di tipo esplicitamente “politico” che sono del tutto fisiologiche e inevitabili (anche se dovrebbero essere tenute separate dalla comunicazione istituzionale), ma alla tendenza a considerare legittima una presentazione “orientata” delle informazioni per perseguire (in buona fede) un qualche obiettivo di interesse pubblico. Enfatizzare l’aumento dei decessi (che è un andamento assolutamente “normale” nelle prime fasi di diffusione di un contagio) per indurre a comportamenti ritenuti più “responsabili” è un esempio di tale comportamento. Peraltro questa linea di comunicazione non è facile da impostare in modo univoco, come dimostra il fatto che le stesse fonti istituzionali hanno alternato (e continuano ad alternare) messaggi basati su un utilizzo dei dati “allarmistico” (per evitare il rilassamento dei comportamenti) o “rassicurante” (per evitare gli eccessi di panico).
Regole generali per la comunicazione dei dati in emergenza
Affrontare le problematiche sollevate non è facile, soprattutto in una situazione complessa e concitata come quella che stiamo attraversando e che le amministrazioni pubbliche vivono in modo particolarmente intenso. Tuttavia alcune regole generali possono essere proposte e discusse.
La prima è di affidare il compito di informare ad un soggetto diverso da quelli che hanno il compito di decidere e di agire, sia per evitare un sovraccarico di compiti sia per ridurre le “interferenze” tra le diverse attività (è ovvio e comprensibile che chi deve prendere o attuare decisioni avrà la fisiologica tendenza a gestire le informazioni in un determinato modo).
La seconda è di accompagnare ogni diffusione dei dati con una spiegazione del loro significato e delle loro relazioni tarata su un target mediamente informato e non specialistico (questo richiede un lavoro aggiuntivo complesso, ma le modalità utilizzate correntemente dall’Istat rappresentano un ottimo riferimento in questa direzione).
La terza è affiancare alla diffusione istituzionale dei dati, delle spiegazioni e delle interpretazioni, l’attivazione di spazi per la loro discussione aperti (anche se gestiti e regolati) in modo da consentire il confronto di opinioni diverse.
Questa terribile esperienza ci sta facendo capire molte cose in molti campi. Forse può essere utile anche in quello della comunicazione pubblica dei dati, anche al di là della contingenza.