La comunicazione in sanità: un impegno nei confronti dei singoli e della collettività

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Comunicare in sanità è una sfida audace: significa riuscire a migliorare la vita delle persone, accompagnandole nei loro percorsi, passo dopo passo. Personalizzando sempre di più le conversazioni, ma soprattutto costruendo comunità coese di cittadini che collaborano alla diffusione delle informazioni

11 Marzo 2025

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Roberta Mochi

Dirigente Ufficio Stampa e Social Media Manager, ASL Roma 1

Foto di Volodymyr Hryshchenko su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/carte-gialle-che-formano-il-foro-verde-del-cuore-D-WqjD9AcrM

Questo articolo è tratto dal capitolo “Comunicazione pubblica” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)


“Parli come un irlandese!” era una esclamazione del 1939 di quella famosa Miss. Rossella in Via col Vento. “Parli come un irlandese” come se la parola fosse in grado di identificare con immediatezza un universo intero. Ed è questo quello che ci aspettiamo quando avviamo una comunicazione: di avere obiettivi chiari, di tradurre i nostri messaggi in un linguaggio semplice, adatto al nostro target, mantenendo l’autorevolezza che compete nel caso specifico al sistema sanitario pubblico, per informare bene e rendere i cittadini consapevoli dei propri percorsi di salute.

Emittente, messaggio e destinatario esattamente come negli anni ’50, efficace e matematico. Eppure, le cose non sono davvero così semplici. Lo scenario della comunicazione è molto più complesso; in particolare da quando la comunicazione si è spostata sulla rete, tutto l’universo dello scambio di informazioni ha subito un cambiamento radicale introducendo la possibilità di risposta e una iperdiffusione di voci.

Siamo connessi per oltre 6 ore al giorno ad internet, di cui circa due ore sui social e il 98% di noi lo fa da dispositivi mobili. La nostra concentrazione si è abbassata notevolmente, abituandoci a “scrollare” contenuti in grande velocità. Molti additano ad un declino cognitivo dovuto alla digitalizzazione della vita quotidiana. Pensiamo all’uso delle maps, senza le quali ormai abbiamo minore capacità di orientarci nello spazio. Qualcuno – con intenti sensazionalisti – arriva anche a dire che i social network siano la nuova tossina.

Secondo un sondaggio pubblicato sul The Guardian (“The State of the Nation’s Adult Reading”) nel Regno Unito, circa la metà degli adulti ha smesso di leggere regolarmente per svago e si è dichiarata un “lettore decaduto”, distratto dalla mancanza di tempo, dai social media e da motivi di salute mentale.

Ma ancora una volta non ci faremo rapire col rasoio di Occam alla gola. Questo universo digitale è molto più complesso e funzionale di come vogliono farcelo immaginare e conoscerne i meccanismi è doveroso per chi si approccia a fare comunicazione sanitaria.

Prima caratteristica la pervasività dell’informazione, a cui consegniamo qualcosa in più di un semplice contenuto. Affidiamo a semplici copy i valori stessi della sanità pubblica. Seconda caratteristica: i contenuti sono reperibili nel tempo. Commenti, conversazioni, notizie non spariscono dal web e questo significa che dobbiamo tenere in considerazione l’eventualità che possa non esserne percepita (da parte del lettore) l’esatta collocazione temporale. Calando nella realtà questa affermazione, immaginiamo un open day di vaccinazione, se non lo collochiamo esattamente nel tempo rischiamo di avere in un giorno qualunque un ambulatorio ingolfato da utenti che non potranno mai ricevere la prestazione attesa.

Terzo, esiste una nuova realtà fatta di cittadini, che sono anche utenti e fruitori di sanità, particolarmente attivi nel web che a volte si trasformano in veri e propri informatori e che vengono ritenuti più autorevoli delle stesse istituzioni perché vicini al proprio pubblico. Questi “influencer” possono distorcere le comunicazioni, se non le comprendono, o essere il nostro volano se ci dimostriamo particolarmente efficaci nella nostra tecnica.

Ultima ma non per importanza, la comunicazione online deve ancora essere integrata con la comunicazione tradizionale, perché i nuovi ambienti di comunicazioni non riescono a raggiungere tutte le fasce di popolazione e se vogliamo essere equi e garantire a tutti gli stessi diritti, è bene che ci concentriamo nella nostra pianificazione mezzi anche su chi è abituato al volantino o alla affissione verticale.

Abbiamo poi, nella comunicazione pubblica in generale, un grande problema di percezione, in cui i cittadini ci percepiscono come distanti, disinteressati e spesso anche noi operatori pubblici dimentichiamo che siamo a servizio delle persone e che il nostro compito principale è far sì che utilizzino i servizi per migliorare il proprio vissuto quotidiano. Spesso i nostri operatori sanitari si confrontano con territori dove la prestazione sanitaria non solo non è conosciuta e l’accesso alla stessa è totalmente ignorato ma viene percepita come non necessaria alla sopravvivenza, mancando loro di beni di sussistenza essenziali.

Entra in gioco l’abilità del comunicatore che deve riuscire a rendere evidente la differenza tra la percezione radicata nell’immaginario della massa e i fatti. Abbiamo dunque il delicato compito di unire caratteristiche di solidità e competenza, con la dote della sintesi e la attraente liquidità tipica degli ambienti digitali. Poche righe, pochi secondi per raggiungere il livello emotivo dei nostri lettori, riuscendo così a trasferire al destinatario informazioni complesse e spesso difficili da accettare.

Pensiamo alle campagne di comunicazione dello screening oncologico, quale lettore non avendo sintomi – vorrebbe sottoporsi ad un test per sapere se ha un cancro? Un unico lettore, quello a cui noi riusciamo a far comprendere il messaggio che la diagnosi precoce può salvargli la vita.

I social da questo punto di vista sono uno straordinario strumento, perché riescono a coinvolgere platee enormi. Comunità che possiamo indirizzare alla comprensione se dimentichiamo l’autoreferenzialità e viviamo il nostro mestiere come quello di facilitatori. Abbiamo la possibilità di trasformare le persone da utenti inconsapevoli a cittadini che fruiscono di un servizio, a beneficio di loro stessi e, al contempo, della cultura collettiva, dando vita a un potente meccanismo di feedback. È questo il concetto principale che deve guidarci come una bussola, qualunque sia il mezzo che utilizziamo, ricordare sempre che la comunicazione è un processo che si attiva a partire dal destinatario.

Tutti noi sappiamo perfettamente che non esiste alcun atto comunicativo se non per un soggetto che interpreta, agisce e interagisce. È proprio nell’incontro con un altro soggetto attivo e attento che la comunicazione si produce. L’informazione trova la sua collocazione perfetta all’interno di un patrimonio di significati. Si tratta né più né meno di una cooperazione alla produzione di significato attraverso la relazione e il coinvolgimento che abbiamo con quei segni che, in modo più o meno intenzionale, una comunità mette a disposizione.

La nostra continua interpretazione restituisce nella testa di chi ci ascolta il senso di quello che stiamo dicendo, che non è mai davvero completo all’origine. Si tratta di un processo di arricchimento continuo, anche quando sembra che vi sia una “perdita” di messaggio nel passaggio. Ogni nostra strategia comunicativa ha un valore locale all’interno di un contesto più generale, costituito da una sorta di conversazione permanente nella quale, diciamo anche la nostra e impariamo a farci ascoltare.

Nel web il livello di comunicazione tra gli utenti è altissimo, possono intervenire, esprimere la propria opinione, fornire risposte in tempo reale, modificare gli stessi siti, come avviene per wikipedia. In questo universo tutti cercano di autorealizzarsi, essere apprezzati e farsi riconoscere, ma cercano anche quella socialità di cui ogni essere umano ha bisogno e soprattutto cercano di non sentirsi soli nei momenti di bisogno e di sentirsi accolti da qualcuno che può facilitare l’accesso e la risoluzione al loro problema di salute.

Abbiamo quindi un sogno audace, noi comunicatori della sanità, quello di riuscire a migliorare la vita delle persone. Accompagnandoli nei loro percorsi, passo dopo passo. Personalizzando sempre di più le nostre conversazioni, ma soprattutto costruendo comunità coese di cittadini che collaborano alla diffusione delle nostre informazioni. La piazza virtuale diventa un luogo di cura, dove l’intera comunità si polarizza su qualcosa di davvero positivo, essere volano di comunicazioni corrette di salute.

A guidarci deve esserci sempre un forte e radicato senso di responsabilità, come giornalisti, come comunicatori della sanità e come membri della società stessa. «Chi è al servizio di un pubblico – diceva il linguista Tullio De Mauro – ha il dovere costituzionale di farsi capire». Qual è, quindi, la migliore strategia quando facciamo comunicazione in sanità? Esserci sempre, dialogare e creare contenuti in cui le persone si possano riconoscere. Insomma, non abbiamo bisogno di avere Clark Gable, col suo «Francamente, me ne infischio» (Rhett, Via col Vento, 1939), ma di comunicatori che abbiano cura delle persone.

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