Primo Rapporto OCSE sulla comunicazione pubblica: il contesto globale e la strada da seguire

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È sempre più evidente la necessità di una comunicazione pubblica di qualità, che aiuti le istituzioni ad affrontare al meglio le crisi, ma anche a raccontare i processi di trasformazione e implementazione delle politiche. Il Rapporto dell’OCSE sulla comunicazione pubblica pone l’accento proprio sull’importanza della buona comunicazione, raccogliendo dati e descrivendo buone pratiche. Ne abbiamo parlato insieme a due esperti dell’OCSE, Alessandro Bellantoni, Deputy Head della Divisione Open and Innovative Government e Head della Open Government Unit, e Carlotta Alfonsi, Open Government Policy Analyst

18 Febbraio 2022

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Mauro Tommasi

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Comunicare in modo corretto ed efficace è sempre più complesso, soprattutto a causa dei cambiamenti tecnologici, che hanno aumentato a dismisura il numero dei canali dove i cittadini si informano, ma soprattutto hanno reso i cittadini stessi fonti di informazione, rimuovendo il ruolo tradizionale di gatekeepers dei media tradizionali. Come garantire, quindi, un’informazione pubblica di qualità? Parte da qui il primo Rapporto dell’OCSE sulla comunicazione pubblica, uscito pochi giorni fa e disponibile online.

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Mai come in questi anni si è resa palese agli occhi di tutti la necessità di una comunicazione pubblica di qualità che aiuti le istituzioni ad affrontare al meglio le crisi, ma che racconti anche bene i processi di trasformazione e implementazione delle politiche. Con l’aumento esponenziale di fonti di informazione sul web e il moltiplicarsi dei canali di fruizione – in primis i social media – è aumentata anche la presenza di fake news e disinformazione, che soprattutto in un periodo come quello pandemico hanno causato non pochi disagi sia alle istituzioni, accusate di scarsa chiarezza e trasparenza, sia ai cittadini, i quali si sono trovati in balia della cosiddetta “infodemia”, complicando ancor di più il lavoro di comunicatori e dirigenti pubblici.

Il Rapporto dell’OCSE sulla comunicazione pubblica, frutto della raccolta di dati su politiche e pratiche in 46 paesi e 63 istituzioni (oltre la Commissione Europea), punta a rafforzare l’importanza di una comunicazione pubblica strategica quale strumento abilitante dei principi dell’Open Government ed elemento determinante quando si parla trasparenza e accountability delle istituzioni.

“Attraverso le attività dell’Open Government Unit e del Public Governance Directorate di cui fa parte, l’OCSE è impegnata a sostenere il rafforzamento della democrazia – ci spiega Alessandro Bellantoni, Deputy Head della Divisione Open and Innovative Government e Head della Open Government Unit – la nostra ambizione è di usare questo lavoro per promuovere una concezione della comunicazione pubblica come veicolo per il dialogo tra governo e cittadini e come strumento di implementazione delle politiche di governo”. Questo diventa fondamentale nei casi in cui il successo di queste politiche dipende dalla compliance dei cittadini stessi, come abbiamo osservato durante la pandemia. Vista attraverso questa lente, una comunicazione trasparente, reattiva e partecipativa può essere efficace per restituire fiducia verso il settore pubblico e contribuire al rafforzamento della democrazia.

Una nuova governance della comunicazione pubblica

Il report puntualizza la differenza tra comunicazione pubblica e comunicazione politica, sottolineando come la seconda sia strettamente legata alle elezioni e ai partiti politici, mentre la prima è intesa come una vera e propria funzione di governo i cui compiti sono fare informazione, ascoltare e rispondere alle richieste dei cittadini secondo quello spirito tipico del civil servant di cui spesso abbiamo parlato sui nostri canali. Una distinzione fondamentale, in quanto la comunicazione intesa a livello istituzionale è ed è stata spesso associata alla sfera politica e a tutti quei processi informativi mirati a influenzare l’agenda o a portare avanti determinate narrative. Lo scoppio della pandemia ha però messo al centro la comunicazione pubblica come strumento di gestione delle crisi e componente fondamentale della governance istituzionale.

È il motivo per cui il Rapporto dell’OCSE sulla comunicazione pubblica prende in esame 39 Centres of Government, ovvero tutte le strutture direttamente collegate agli organi di governo, e 24 Ministeri della Salute di 46 stati tra membri e non membri dell’OCSE, oltre la già citata Commissione Europea.

Ma come si inserisce tutto questo nelle dinamiche di open government? L’Open Government, stante la definizione che è stata formalmente adottata insieme alla Raccomandazione del Consiglio dell’OCSE a riguardo, è una “cultura” di governance incentrata sui principii di trasparenza, accountablility, integrità e partecipazione. “Da un lato – dice Bellantoni – questi stessi principii abilitano una comunicazione più efficace, mentre dall’altro lato la comunicazione può in sé contribuire a realizzare questi quattro principi”. “Va detto però che per il momento sono ancora una minoranza i paesi che riconoscono questo ruolo per la comunicazione”, puntualizza Carlotta Alfonsi, Open Government Policy Analyst dell’OCSE, sottolineando come solo il 45% dei Centres of Government abbia selezionato la trasparenza tra gli obiettivi primari della comunicazione e solo l’8% abbia selezionato la promozione della partecipazione.

La comunicazione politica è ormai parte integrante di un sistema democratico in cui diversi punti di vista vengono articolati nel contesto di un dibattito nazionale, ma è anche vulnerabile ad una presentazione di parte di fatti e argomenti. “In questo senso – ci dice Alfonsi – non è necessariamente compatibile con la trasparenza o integrità, ad esempio”. Questo si rispecchia anche nel livello di fiducia che i cittadini ripongono nei “politici”, inferiore rispetto a quello riservato a istituzioni, media ed altre fonti di informazione, come emerge da sondaggi quali l’Edelman Trust Barometer. “Mantenere una comunicazione istituzionale ben distinta da quella politica e dalle figure pubbliche che la rappresentano può beneficiare alla percezione dell’informazione come più affidabile” continua Alfonsi. Diversi paesi hanno formalizzato questa distinzione, che rimane comunque opaca e complessa nella quotidianità.

“È anche vero che i livelli di fiducia sia verso i politici che verso le istituzioni stesse rimangono poco incoraggianti” hanno sottolineato i nostri interlocutori, facendo notare come nel 2021 solo il 51% dei cittadini in un sondaggio dei paesi OCSE abbia votato di avere fiducia nel proprio governo. “In questo contesto – e soprattutto durante le campagne per promuovere la vaccinazione contro il Covid-19 – abbiamo notato una maggiore enfasi nell’ingaggiare messaggeri intermediari, quali influencer, personalità dello spettacolo e dello sport ma anche membri di comunità (e.g. gruppi di religione o minoranze etniche e linguistiche, etc.) che sono meno raggiungibili attraverso canali mainstream a che sono a volte meno fiduciose nei confronti delle autorità pubbliche”.

A tal proposito il Rapporto OCSE sulla comunicazione pubblica dedica un intero capitolo alla governance della comunicazione pubblica, sottolineando come siano ancora poche le istituzioni ad aver adottato delle strategie di comunicazione chiare e precise, supportate da team di persone qualificate, e soprattutto con un approccio citizen-centred ed un coordinamento centrale. È opportuno in questo caso menzionare il caso del nostro Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, le cui “Linee guida per l’elaborazione dei programmi di comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni” del 2018 viene citato quale buona pratica. Anche il framework delineato dalla legge 150 del 2000 che ha istituzionalizzato la comunicazione pubblica in Italia, di cui abbiamo parlato qui, viene segnalato nel report a testimonianza della necessità di definire bene ruoli e strutture.

L’importanza delle fonti e dei dati

In linea con un approccio data-driven, il Rapporto OCSE sulla comunicazione pubblica si sofferma sull’importanza di un sistema comunicativo evidence-based, inteso qui nella sua accezione più scientifica, ovvero il più possibile basato sulla capacità di misurare e comprovare l’impatto della comunicazione su awareness, attitudini, e comportamenti dei cittadini.

Un focus molto interessante è stato fatto sui cosiddetti audience and behavioural insights intesi come una misura da utilizzare più spesso per comprendere meglio – e quasi in tempo reale – gli effetti di una determinata strategia comunicativa sulla cittadinanza, ma anche per capirne meglio esigenze ed aspettative.

È proprio su questa capacità di ascolto e sull’utilizzo delle nuove tecnologie che secondo l’OCSE si gioca il futuro della comunicazione pubblica: i big data, il cloud computing, gli algoritmi intelligenti e i software analitici hanno sbloccato un enorme potenziale e diminuito i costi di acquisizione ed elaborazione delle informazioni sul pubblico, dando alle amministrazioni pubbliche numerosi strumenti per diventare sempre più “responsive”.

La prospettiva italiana e il contributo al report

L’Italia è sicuramente un partner importante in tutto l’ambito del lavoro sulla comunicazione pubblica. “Il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha partecipato non solo rispondendo al sondaggio – ha detto Bellantoni – ma anche partecipando attivamente all’approfondimento delle pratiche e fornendo riscontri nel processo di elaborazione delle raccomandazioni e stesura del report”. Il Dipartimento ha inoltre contribuito al lavoro svolto in parallelo per identificare i principi di buona pratica nel contrastare la misinformazione e disinformazione (i quali sono oggetto di una consultazione pubblica fino al 28 febbraio). “L’Italia è un paese interessante in quanto notiamo uno sforzo positivo per riformare e rafforzare la comunicazione non solo a livello di implementazione, attraverso i singoli dipartimenti e team di comunicazione, ma soprattutto a livello istituzionale”. “L’informazione è alla base di un sistema democratico e precondizione per la partecipazione dei cittadini – continua Alfonsi – è fondamentale che la comunicazione pubblica venga riconosciuta come una funzione e una professione specializzata e che sia utilizzata nell’interesse pubblico.”

Comunicare nell’era digitale

Fornire una comunicazione “centrata sul cittadino” è e sarà dunque fondamentale, soprattutto nell’ottica di ripresa dalla crisi Covid-19, per ricostruire democrazie più aperte, resilienti e inclusive. Il report evidenzia lo sforzo compiuto dalla maggior parte delle istituzioni nel trasferire la propria comunicazione sui canali digitali più diffusi tra la popolazione – in primis i social media – e nello strutturare i messaggi in maniera sempre più fruibile. In questo senso il report fornisce alcuni esempi di metodologie utilizzate per sviluppare una comunicazione digitale sempre più inclusiva: è il caso delle collaborazioni con social influencers, esponenti della società civile e del mondo industriale volte ad ampliare la platea di cittadini e a mobilitare le comunità locali; o anche del lavoro svolto per migliorare – in ottica user-friendly – le piattaforme dove i cittadini cercano informazioni sui servizi pubblici, con particolare attenzione alle problematiche legate al digital divide.

“Il digitale è centrale soprattutto quando si tratta di ‘ascoltare’ i cittadini e interagire con loro – ha detto Bellantoni – abbiamo invece osservato come il digitale sia ancora visto soprattutto come un canale aggiuntivo per diffondere informazione e contenuti, mentre il potenziale per l’interazione rimane spesso sotto sfruttato”. I canali digitali possono essere invece un punto di contatto importante, come si vede già nell’ambito del servizio clienti di molti enti pubblici, dai trasporti alla sanità.

“Infine non dobbiamo dimenticare il tema dei dati” ha aggiunto Alfonsi, facendo notare come il digitale abbia rimosso le barriere all’accesso di quantità infinite di dati, che oggi permettono di rendere la comunicazione più precisa, mirata ed efficace. Gli stessi dati, gestiti responsabilmente secondo le norme di protezione della privacy in vigore, sono poi utili allo sviluppo di politiche e servizi. Il report si concentra, quindi, sul potenziale abilitante che la comunicazione “responsive” o reattiva può avere sul ciclo di policy-making, sottolineando quanto essa vada integrata in tutte le fasi di progettazione e realizzazione delle politiche. “Tuttavia meno della metà dei paesi che hanno risposto al nostro sondaggio riporta interazioni frequenti tra comunicatori e policy teams” hanno concluso i nostri interlocutori, confermando che molto ancora c’è da lavorare. 

Oltre al report completo, è disponibile una sintesi con i principali risultati.

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